E’ probabile che Kiev non si deciderà a un’offensiva diretta e in grande stile contro il Donbass, anche perché le esperienze passate – in particolare, la sonora sconfitta a Debaltsevo, nel febbraio 2015 – hanno dimostrato l’incapacità delle forze ucraine ad avere la meglio sulle milizie popolari in scontri diretti. Ma è altrettanto probabile che i circa 40 giorni che restano alle elezioni presidenziali ucraine del 31 marzo, riserbino tutt’altro che pace agli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk e che, anzi, si faccia sempre più drammatico lo stillicidio di attacchi, cannoneggiamenti, sparatorie contro i villaggi e le cittadine lungo la linea di separazione tra truppe (e battaglioni neonazisti, riportati nuovamente al fronte) ucraine e milizie popolari. Petro Porošenko, che ha da far dimenticare tutte le promesse non mantenute alla popolazione ucraina, ha bisogno di diversivi bellici. Le Izvestija accennano a timori di Mosca per possibili attacchi alla frontiera con la Crimea; ma tale variante è data come molto meno verosimile e i timori si appuntano proprio sul Donbass. A ogni modo, venerdì scorso, mentre Gorlovka veniva ripetutamente bersagliata con obici ucraini da 122 mm, un aereo spia Boeing RC-135U e un drone strategico RQ-4B Global Hawk partito da Sigonella hanno sorvolato per diverse ore la linea di demarcazione nel Donbass, deviando successivamente verso Crimea e Kuban.
I tiri di lanciagranate, mortai, cannoni automatici ucraini, mai cessati, si sono intensificati nelle ultime ore. Dall’inizio dell’anno, almeno 15 miliziani della DNR sono rimasti uccisi. I reparti ucraini fanno fuoco anche sui volontari che portano cisterne d’acqua ai villaggi rimasti all’asciutto per i bombardamenti delle condutture; mortai da 120 mm e pezzi controcarro su affusto colpiscono le squadre intente a riparare i danni a quartieri civili, gasdotti, elettrodotti, stazioni di pompaggio e filtraggio dell’acqua; si spara anche contro civili in coda ai punti di controllo: due persone sono rimaste ferite al “corridoio” Gorlovka-Makhmut. Tiri ripetuti, un po’ con tutte le armi di medio e grosso calibro su Lebedinskoe, Sakhanka, Vasilevka, Donetsk (Volvo-tsentr), Kamenka, Avdeevka, Jasinovataja, Zajtsevo.
D’altronde, alla Conferenza di Monaco “sulla sicurezza”, Porošenko ha di fatto ammesso che il regime ucraino si regge esclusivamente sul terrore contro la popolazione del Donbass: se l’esercito e i battaglioni nazisti cessassero di terrorizzare LNR e DNR, rivolgerebbero le armi contro Kiev. Dunque, se venisse confermato alla carica, Porošenko continuerebbe senz’altro la guerra; non a caso, ha raccontato di aver avuto a Monaco “un incontro molto dettagliato con il vice Presidente Pence... contiamo sicuramente sulla cooperazione, inclusa la fornitura di ogni tipo di armi”: gli USA hanno stanziato “ulteriori 700 milioni di dollari per l’Ucraina”.
Intanto, a Washington, il Ministro degli interni golpista, Arsen Avakov, sotto la dizione di “Meccanismo dei piccoli passi”, ha presentato il suo nuovo “piano di de-occupazione e reintegrazione” del Donbass nella compagine ucraina che, nella sostanza, non fa che ribadire il piano di Kiev di introdurre una “forza internazionale di pace” in Donbass, a fianco delle forze ucraine, che controlli lo svolgimento di “elezioni locali secondo la legislazione ucraina”, insieme al ristabilimento “delle forze di sicurezza ucraine”. Secondo Avakov, che esclude “qualsiasi ipotesi di federazione o autonomia”, gli abitanti del Donbass “passo dopo passo, si convinceranno così a tornare all’Ucraina”.
Alle azioni dirette di guerra, Kiev unisce poi il ricatto contro gli abitanti delle Repubbliche popolari: secondo gorlovka.today, Kiev ha accumulato una cifra di pensioni non pagate agli abitanti del Donbass di circa 72 miliardi di grivne (1 grivna è pari a circa 0,030 euro); dei 672.000 pensionati della DNR, circa 370.000 non hanno la possibilità di riscuotere la pensione in Ucraina. Stessa cosa anche per oltre la metà degli anziani della LNR, cui la pensione è rifiutata con la motivazione che i loro figli sono occupati in strutture e organismi della Repubblica popolare.
E’ in questo quadro che l’Ucraina si prepara alle elezioni presidenziali; con la Rada che, su proposta di Porošenko, ha approvato le modifiche costituzionali, secondo cui viene istituzionalizzato il corso per l’ingresso in UE e NATO: “innovazioni” che, secondo tutti gli osservatori minimamente imparziali, allontanano definitivamente ogni soluzione pacifica per il Donbass, dato che LNR e DNR non torneranno mai più in uno stato imbarcatosi nella NATO.
E dunque, Porošenko ha aperto la propria campagna, dichiarando che “la pace con la Russia è necessaria: una pace fredda, ma una pace”; al che ha risposto il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov: “Non c’è guerra tra Ucraina e Russia; c’è una guerra civile in Ucraina, provocata dalle autorità di Kiev”. “Ora è il momento di costruire e non di fare false promesse” ha avuto l’ardire di dichiarare Porošenko, “non siamo populisti, non diciamo che i cambiamenti avverranno immediatamente, ma le riforme stanno già funzionando e gli standard europei diventeranno una realtà. Tra pochi anni inizieremo le procedure per aderire alla UE e intendiamo firmare la road map per l’adesione alla NATO”. Un discorso, il suo, privo di qualunque prospettiva, come ha rilevato il politologo Ruslan Bortnik; frasi prive di analisi di ciò che non ha funzionato e perché, oltre al silenzio sulle cose negative di cui gli si può chiedere conto: tasso di natalità, medicina, istruzione, corruzione, redditi.
Di contro a quello di Porošenko, si è tenuto anche, tra gli altri, il congresso di debutto di “Piattaforma di opposizione – Per la vita”, in appoggio alla candidatura dell’ex Ministro per l’energia (sotto il presidente Janukovič) Jurij Bojko che, secondo i sondaggi, sembra collocarsi tra i primi tre o quattro papabili per il secondo turno. Il presidente del Consiglio politico di “Per la vita”, Viktor Medvedčuk (nei primissimi tempi del conflitto nel Donbass, rappresentava DNR e LNR ai tentativi di mediazione con Kiev) ha definito la politica del governo “stupida e limitata” e “una minaccia al paese” e ha detto che tra le “maggiori disgrazie ci sono guerra nel Donbass, genocidio tariffario, corruzione, crimine, nazionalismo radicale, governance americana, povertà e l’ingiustizia sociale”. Medvedčuk ha accusato il governo di privare i cittadini del diritto di parlare nella lingua madre, ignorando il buon senso e la Costituzione, mentre in questa stessa “Costituzione ignorata, Porošenko stipa il proprio desiderio di unirsi a NATO e UE”. Medvedčuk ha detto che obiettivo della Piattaforma è quello di arrivare “alla pace, sulla base di una struttura federale e di uno status speciale per il Donbass”.
Il regista Karen Šakhnazarov ha dichiarato alla TV “Russia 1” che il “piano di autonomia per il Donbass proposto da Medvedčuk rappresenta l’unica opportunità, purtroppo già persa, di salvare l’integrità dell’Ucraina. Dopo queste elezioni, agli abitanti della parte orientale dell’Ucraina sarà assolutamente chiaro che non avranno alcun potere, non sceglieranno mai candidati, e l’unica via d’uscita sarà quella di lasciare l’Ucraina”.
Del resto, l’altra candidata, la pulzella dell’occidente Julija Timošenko, quella che nel marzo 2014 proponeva di spianare il Donbass con l’atomica, ha escluso categoricamente che possa essere concessa autonomia al Donbass come condizione per la cessazione delle ostilità: “il Donbass è Ucraina, è nostro territorio, è terra nostra, allo stesso modo della repubblica autonoma di Crimea” e ha anche rifiutato di riconoscere il conflitto nel Donbass quale guerra civile, parlando per l’ennesima volta di “aggressione russa al sudest ucraino”. Ora che si vede scavalcata nei sondaggi dallo stesso Petro, la Timošenko denuncia che procedimenti penali per “arricchimento illegale” (su cui non si esita a credere) sarebbero stati aperti contro di lei e l’ex Ministro della difesa Anatolij Gritsenko (anch’egli candidato) per “screditarli di fronte all’elettorato e afferma che i coniugi Lutsenko – Jurij, elettrotecnico e Procuratore generale; Irina, rappresentante presidenziale alla Rada – stanno apertamente operando per eliminare quanti più possibile avversari di Porošenko dalla competizione elettorale.
In effetti, il sociologo Victor Neboženko osserva che la Commissione elettorale non ha mai rifiutato candidature “con tali motivi artificiosi come questa volta: d’altronde, il governo ha riempito la Commissione di persone fidate”, e il politologo Vadim Karasev dichiara che “la parte sociologica delle elezioni è di una falsità senza precedenti. Tutta una serie di istituti sociologici di rispetto “disegna” apertamente i sondaggi del principale candidato governativo, e nessuno batte ciglio”. E succedono anche di queste cose: mentre è stata respinta la candidatura del leader del PCU Pëtr Simonenko, il deputato del “Blocco Porošenko”, nonché leader del Partito social-democratico e candidato, Sergej Kaplin, nel corso di una diretta TV, mentre il conduttore gli elencava, senza citarne la fonte, un cosiddetto “programma in 25 punti”, egli ne approvava i contenuti, non rendendosi conto che gli era stato appena letto per scherno il programma del NSDAP hitleriano.
E’ così che, in pochi giorni, pur se in testa ai rilevamenti rimane lo showman Vladimir Zelenskij, Porošenko è catapultato al secondo posto, seguito da Timošenko, Jurij Bojko, Oleg Ljashkò e Anatolij Gritsenko. Se un (molto probabile) secondo turno si tenesse ora, pare che Zelenskij doppierebbe qualunque altro avversario. Naturalmente, i sondaggi sono fatti a uso e consumo interno ucraino: il “voto” sarà poi funzione dei piani del Dipartimento di Stato, che non tiene certo conto dell’opinione, ad esempio, del candidato Evgenij Muraev, leader del partito “Nostri”, secondo il quale la vittoria di Porošenko porterebbe l’Ucraina al tracollo definitivo: “l’economia è in un abisso profondo, abbiamo litigato con tutti i nostri vicini. Altri cinque anni di un tale governo e il paese sarà trascinato via come una coperta rattoppata. Fa tutto per scatenare un grande incendio, ci sta dividendo secondo la storia, la lingua e ora anche la fede”.
A ogni modo, diversi candidati alle presidenziali riempiono le “terze e quarte file” delle classifiche di Forbes – nelle prime file, ma in posizione non preminente, il solo Porošenko – come l’oligarca Sergej Taruta (che dichiara che l’Ucraina può sostituire la Russia nel fornire gas all’Europa), la “martire” Julija Timošenko o lo stesso (anche se quotato di “poche decine” di milioni di dollari) Viktor Medvedčuk. Una situazione, quella dei candidati e dei loro sostenitori materiali, a dir poco nauseabonda, se si pensa anche solo a quella dei 100.000 nuclei costretti a mandare i propri figli in case-famiglia, per l’impossibilità di mantenerli. Ne ha parlato il Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia, Nikolaj Kuleba, dichiarando che ci sono oggi in Ucraina 106.000 bambini nei 750 collegi del paese e di essi solo seimila sono orfani: cioè “100.000 bambini hanno i genitori, ma essi, per motivi diversi, hanno dovuto lasciare i figli”. Certo, Kuleba ha assicurato che entro il 2026 tali strutture “dovrebbero scomparire, in tutto o in parte. In questi otto anni, dobbiamo sviluppare servizi a livello di comunità locale, in modo che il bambino possa vivere in famiglia, sviluppando il sistema dei supporti scolastici e dei servizi sociali”. Per far ciò, “lo stato dovrebbe sostenere le famiglie: procurare lavoro ai genitori, provvedere all’alimentazione dei bambini a scuola, all’assistenza sociale”. Pur accordando le migliori intenzioni al Commissario presidenziale, è quantomeno enigmatico il meccanismo per cui “lo stato dovrebbe sostenere...”, quando si pensa alla catastrofe economica delle “riforme europeiste” dei nazigolpisti, di cui Viktor Medvedčuk ha fornito alcuni esempi: “tariffe del gas aumentate del 1.080%, del riscaldamento del 1.240%, dell’acqua calda e fredda del 560-650%, dell’elettricità del 380%”, mentre il salario minimo non ha più raggiunto il livello di 408 dollari del 2013, fermo oggi a 320 $”. Il “genocidio del popolo ucraino” ha dichiarato l’economista Igor Garbaruk, tacendo pudicamente sulle imposizioni di FMI e Banca Mondiale, “è dovuto alla politica tariffaria e ai prezzi dei beni di consumo non regolamentati”. Era stato già “il governo di Aersenij Jatsenjuk a liquidare l’ispezione statale sui prezzi” e poi “il governo Grojsman ha definitivamente distrutto la legislazione sulla regolamentazione dei prezzi dei beni socialmente necessari”. Propagandando “l’Europa senza visti”, ha detto Garbaruk, il governo “ha portato solo al fatto che la forza lavoro ucraina abbandona sempre più il paese. La Polonia dice di aver bisogno di circa cinque milioni di lavoratori migranti: immaginiamo dove li prenderanno; il governo sta facendo di tutto per spingere le persone fuori dal paese”.
D’altra parte, alle mire strategiche di NATO, USA e UE e ai profitti delle compagnie energetiche e agro-alimentari occidentali, interessa l’Ucraina, non gli ucraini.
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