Questa volta si affronta la genesi ed alcune problematiche relative al lungo percorso politico e normativo che si è configurato, nei decenni alle nostre spalle, a proposito della costruzione di una “difesa e/o esercito europeo”.
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Il ministro degli Esteri italiano Carlo Sforza, nel maggio del 1950, propone (mandando un memorandum all’ambasciatore americano Dunn) una prima ipotesi di un esercito europeo integrato. Si tratta di una proposta sempre sul filo dell’ambiguità: poiché con la nascita della Nato si prevedeva un veloce inserimento della Germania nella struttura militare atlantica (a dispetto della diffidenza francese), si poteva procedere all’integrazione militare europea come supporto alla stessa Nato. Un tassello importante del polo imperialista europeo viene presentato (magari sinceramente) come rafforzamento dell’ombrello americano.
Il segretario di Stato Usa Acheson fiuta subito il doppio passo e mostra disinteresse, se non addirittura stizza: l’adesione dei singoli Stati europei alla Nato va più che bene agli interessi americani. Tuttavia un mese dopo le truppe della Corea del Nord di Kim Il-Sung invadono la Corea del Sud. Il surriscaldamento della guerra fredda rimette tutto in ballo: gli Usa avevano bisogno della Germania in quanto Truman temeva un attacco sovietico. La difesa di un eventuale fronte europeo non si poteva attuare senza il concorso di un esercito tedesco. Ma un esercito tedesco autonomo non poteva essere accettato dalla Francia.
C’era bisogno di un rivestimento di “controllo europeo” per mettere in quarantena il riarmo tedesco. Perciò lo spauracchio sovietico sdogana il riarmo tedesco in funzione dell’egemonia Usa. Lo spauracchio tedesco a sua volta sdogana l’esercito integrato europeo in funzione della tendenza revanchista francese rispetto agli Usa. Churchill subito rilancia l’idea dell’esercito europeo unificato.
Acheson la raccoglie a modo suo e propone una forza integrata per la difesa dell’Europa Occidentale (!) teorizzando una strategia di avanzamento (forward strategy) che spostava ad Est la linea di difesa della Nato fino al fiume Elba includendo il territorio della Germania Ovest e dunque rendendo necessario l’utilizzo di truppe tedesche. Sforza plaude alla proposta perché la forza integrata senza tedeschi e senza i rinforzi Usa è una debolezza integrata, mentre il francese Schuman, pur opponendo un netto rifiuto, è costretto ad evocare il mago Monnet perché elabori una controproposta che liberi la Francia dal possibile isolamento.
La controproposta arriva ed è quella del piano Pleven (primo ministro che fa da testa di legno a Monnet) che prevede la costituzione di un esercito europeo composto da contingenti nazionali a livello dell’unità più piccola possibile ovvero sei divisioni dirette da uno stato maggiore internazionale agli ordini del comandante in capo delle forze atlantiche ma il tutto sotto controllo di un Ministro della Difesa europeo (e di un’altra autorità politica da definire).
Tutte le nazioni partecipanti avrebbero dato una divisione all’esercito europeo mantenendo un esercito nazionale. Tutte tranne la Germania, che avrebbe potuto armare solo la divisione offerta all’esercito integrato. Il carattere particolarmente elaborato del piano francese è il frutto di un delicato equilibrio tra le richieste perentorie transalpine e la situazione reale. Infatti la Francia aveva subito cocenti sconfitte in Indocina da parte dell’esercito vietminh di Ho Chi Minh e Giap e dunque Truman, temendo uno Stato vietnamita fantoccio dell’Urss, si era affrettato ad inviare militari ma soprattutto finanziamenti e materiale bellico alla Francia (da 10 milioni di dollari iniziali ai 350 milioni del 1953).
Perciò la dialettica che scandisce la lunga gestazione del polo imperialista europeo passa per l’inferiorità dell’imperialismo francese rispetto all’imperialismo Usa che, non a caso, dopo l’aiuto, succederà ai francesi nel gestire il conflitto in Indocina. Tuttavia, forse Monnet con quella proposta voleva dilazionare il redde rationem per motivi politici interni e al tempo stesso proporre l’esercito di uno Stato inesistente (quello europeo) per fare un altro passo avanti nella costituzione dell’Europa unita.
Non a caso Schuman, nel Febbraio del 1951, dirà (in piena sintonia con il funzionalista Monnet) che l’Europa non si sarebbe fatta di getto, come una città ideale, ma si sarebbe costituita settore per settore, e l’esercito europeo era un tassello di questo processo.
A scuotere lo stallo arriva la nomina di Dwight Eisenhower, il liberatore d’Europa, a comandante in capo della futura forza integrata. Questi si fece convincere da Monnet a non ingaggiare uno scontro con la Francia sulla partecipazione tedesca e perciò pronunciò un discorso nel Luglio 1951 a favore dell’unificazione europea. In realtà gli Usa volevano utilizzare l’integrazione europea delle forze armate per avere un contributo finanziario più cospicuo da parte dell’Europa in questa impresa.
La Germania, da spauracchio francese usato contro l’egemonia Usa, diventa convitato di pietra americano per il controllo di un polo imperialista in gestazione. Cadono per opera dei vietnamiti le piazzeforti di Cao Bang e Lang Son: Eisenhower può accettare le truppe europee perché la tigre francese è una tigre di carta e non può forzare contro l’egemonia Usa.
A questo punto De Gasperi, timoroso che la nascita di questa forza integrata (se non di una vera e propria comunità europea di difesa) subordinasse l’Italia ad un ruolo marginale (rispetto all’asse conflittuale franco-tedesco), privandola anche dell’opportunità di interagire con l’alleato americano per conto proprio, decide di dare all’Italia un ruolo più dinamico in questa complessa trattativa. Egli, ideologicamente più vicino ad un’Europa che non sacrifichi eccessivamente l’autonomia dei singoli Stati, vede con diffidenza una integrazione solo militare che non consenta all’Italia di beneficiare economicamente della cooperazione intra-europea e con gli Usa.
Perciò incarica Altiero Spinelli di preparare un memorandum (presentato da Lombardo e Taviani alla Conferenza di Parigi, che ha già istituito mesi prima la CECA) in cui si cerchi di forzare l’integrazione europea non solo in senso militare, ma anche in senso economico-politico. In questa proposta italiana infatti si parla di un’assemblea parlamentare con membri eletti a suffragio universale.
La forzatura ha effetti in parte centrifughi: il Benelux, cuore siderurgico dell’intreccio conflittuale tra Germania e Francia, si nasconde dietro la scettica Gran Bretagna (la CECA deve bastare alla fame di cooperazione economica italiana). Inizialmente, però, Germania e Francia accolgono con favore la proposta di De Gasperi e anzi fanno collegare il progetto di studiare un’organizzazione federale europea alla costituzione stessa della Comunità europea di difesa (CED).
Sembra un’accelerazione decisiva ma finisce per danneggiare, come tutte le fughe in avanti, il circuito di relazioni esistente. Infatti, quando si arriva al dunque, Adenauer, lamentandosi dell’eccessivo contributo da destinare alla CED, cerca di porre la questione dell’ammissione della Germania alla Nato, causando l’irrigidimento riflesso della Francia. A questo punto gli Usa nel Febbraio 1952 (la guerra di Corea volgeva in un’altalena tra trattative di pace e riprese del conflitto che sarebbe finita nell’estate del 1953 e dunque anche gli Usa erano stanchi) intimarono agli alleati europei di trovare un accordo militare altrimenti avrebbero riarmato la Germania di propria iniziativa.
A Lisbona gli Stati europei, fin lì riottosi, si piegano all’ultimatum dell’imperialismo egemone (che ha bisogno di supporto per finanziare il riscaldamento della guerra fredda) e decidono i contenuti del compromesso che li porterà a Maggio a firmare il trattato istitutivo della CED.
A questo processo si affianca l’accordo di pace che consente alla Germania il recupero della sovranità nazionale (recupero sino ad allora congelato) e la rendeva capace giuridicamente di firmare il trattato della CED. Nell’estate dello stesso anno viene ratificata l’istituzione della CECA e Spaak, presidente del Movimento Federalista europeo (e già Primo ministro socialista del Belgio, oltre che zio dell’omonima attrice) convince De Gasperi a proporre che fosse non l’assemblea ancora costituenda della CED, ma quella già costituita della CECA, a fare da Assemblea Costituente della svolta federale.
De Gasperi trova anche l’accordo con il francese Schuman per questo nuovo tentativo di mettere un cappello compiutamente politico alla Comunità del carbone e dell’acciaio (quasi che i processi politici si potessero sovrapporre immediatamente a quelli della concentrazione del capitale). Nel Febbraio del 1953 venne redatto da una commissione apposita lo statuto della CPE (Comunità politica europea).
Questa si sarebbe occupata direttamente delle relazioni internazionali e della Difesa e avrebbe provveduto al coordinamento delle politiche economiche e finanziarie degli Stati membri. Lo Statuto venne approvato dall’assemblea allargata della CECA e venne inviato alle nazioni partecipanti perché fosse ratificato dai singoli parlamenti nazionali.
Sembrava fatta. Ma, come si è detto, le fughe in avanti vengono spesso raggiunte, come in una gara ciclistica. I governi prima di approvare lo statuto della CPE avrebbero dovuto ratificare il Trattato sulle CED, ma la questione militare che avrebbe dovuto essere il volano del federalismo europeo ne divenne la pietra d’inciampo. In quel frattempo era morto Stalin.
Il giovane Samuelson (premio Nobel per l’economia 1970) due anni prima aveva rimproverato ai sovietici di considerare inevitabile un collasso del capitalismo e nel contempo di muoversi politicamente in modo che i paesi capitalistici facessero spese militari tanto cospicue da rendere impossibile qualsiasi tipo di depressione (qualcuno in casa nostra gridava al “meccanismo unitario della guerra capitalistica”). Nel nostro caso si evidenziava il fatto che l’accelerazione europeista nasceva nella culla della guerra fredda e da questa riceveva il suo propellente.
La morte di Stalin allentò un po’ la tensione. Altiero Spinelli (ormai consegnato al “mondo libero”) intuì che lo stato di grazia stava finendo e disse che l’unificazione federale e l’alleanza con gli Usa erano una necessità della nostra civiltà, più che una difesa contro il comunismo. Fu un’interessante quanto vana operazione retorica: il federalismo europeo viene messo insieme all’alleanza con gli Usa (facendo intuire che nasceva sotto il suo ombrello) e la battaglia di civiltà diventava qualcosa di diverso dalla difesa del comunismo (quando invece ne era l’apparenza ideologica).
Spinelli finge di ignorare la relazione indistruttibile tra l’europeismo e la paura dell’Altro (del dispotismo asiatico e/o della Russia Mater Tenebrarum), relazione che è uno dei fondamenti ideologici del polo imperialista europeo. Ormai però era troppo tardi perché le sue speranze si realizzassero: quell’attimo di sollievo fece risalire a galla tutte le perplessità sul progetto europeo che erano state superate da quello che si rivelò purtroppo essere un salto della quaglia.
Da un lato Eisenhower lasciò l’Europa per diventare Presidente degli Usa e nomina un segretario di Stato (Foster Dulles) poco flessibile rispetto ad Acheson. Dall’altro Francia e Italia, protagoniste della fuga in avanti, si impantanarono a causa anche di problemi interni: il governo de Gasperi (alcuni studiosi di relazioni internazionali pensano che la sua forzatura europeista fosse un modo per alzare la posta e compromettere anche il progetto della CED) si inabissò a causa della legge truffa e questo porterà alla fine del percorso politico del leader democristiano (che morirà l’anno successivo).
In Francia la destra francese e i comunisti convergevano contro la ratifica del trattato: da un lato si protestava contro il riarmo della Germania mentre la Francia disarmava in Indocina, dall’altro l’Urss faceva trapelare una maggiore volontà di distensione. Le minacce di Foster Dulles di favorire ulteriormente la Germania mettono benzina sul fuoco e il radicalsocialista Mendes France diventa capo di governo. Egli mette termine al conflitto indocinese (ratificando una forte battuta d’arresto dell’imperialismo francese) e contestualmente pone condizioni eccessive alla ratifica del trattato CED. La dura replica di Foster Dulles finisce per far precipitare la situazione e la ratifica viene respinta con un espediente procedurale.
Il fallimento della Comunità Europea di Difesa costringerà gli attori in campo ad abbandonare in parte l’approccio eccessivamente intergovernativo, i cui limiti (come l’eccessiva instabilità causata dalla costante possibilità di tornare indietro rispetto alle intenzioni iniziali) si erano evidenziati nel corso di questi eventi.
Tuttavia il punto è che fu la guerra fredda a provocare le accelerazioni federaliste e al tempo stesso il fattore che lacerava la Germania e con una Germania divisa il decollo del polo imperialista europeo era quasi impossibile.
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