Il metodo utilizzato è quello del controllo sintetico che raffronta le performance dei paesi entrati nella moneta unica rispetto ad alcuni “paesi-controllo” che ovviamente non sono entrati. Naturalmente la disamina parte dall’anno dell’introduzione della moneta.
Manco a dirlo il paese che ha subito le maggiori perdite dall’adozione dell’Euro è stata l’Italia, con una perdita di 4.300 miliardi di euro ovvero 73.600 euro a testa. Sì, avete capito bene: ognuno di voi che sta leggendo ha subito secondo questo studio un danno di 73.600 euro.
Al secondo posto tra i paesi danneggiati la Francia, che ha subito un danno pro capite di 56.000 euro. I maggiori vantaggi li hanno ottenuti la Germania con un guadagno di 23.000 euro a testa e l’Olanda con un guadagno pro capite di 21.000 euro.
Come tutte le stime, naturalmente, è criticabile nella metodologia, ma senza temere di essere smentito vorrei ricordare che i danni per l’Italia sono iniziati ben prima, almeno dal 1992, ovvero da quando iniziò la folle rincorsa per entrare in quell’area euro che ci avevano fatto credere fosse il paradiso e si è rivelata un inferno.
Rincorsa folle fatta di continua austerità per far convergere i conti dell’Italia verso i parametri di Maastricht necessari per entrare nella moneta comune, e privatizzazioni selvagge con licenziamenti di massa perché – secondo le sacre ideologie europoidi – non poteva esistere uno “stato imprenditore” come quello esistente in Italia sin dalla fondazione repubblicana. E non parliamo poi delle modalità con cui avvenne questa svendita, che è meglio non mettere altro sale nelle ferite.
Poi ci sarebbe il danno prospettico, ovvero quello che dovremmo contabilizzare in futuro anche se uscissimo dalla gabbia europoide domani mattina: mi riferisco a trenta anni di assenza di ricerca e di innovazione, causata dalla necessità di rispettare il dogma tedesco secondo cui, nel mercato mondiale, ci si sta competendo al massimo ribasso sul costo del lavoro e non aumentando la qualità dei prodotti. Ed ecco che ci ritroviamo un tessuto industriale sbrindellato e obsoleto in ossequio al Sacro Dogma dell’Austerità.
Un danno al momento non quantificabile ma finanziariamente enorme.
E infine che dire di quelli che Federico Caffè chiamava “costi non risarcibili”?
Quanto vale la sofferenza di 5 milioni di poveri assoluti? E quella dei malati non adeguatamente curati in ossequio ai tagli allo stato sociale? E le sofferenze dei disoccupati, dei sottoccupati e dei lavoratori poveri? E quella dei pensionati al minimo? Costi sociali ed economici non facilmente valutabili che fanno dire che quanto calcolato dai tedeschi – per quanto talmente iperbolico da far venire il capogiro – è solo la punta dell’iceberg.
Poi, altro discorso è dire che uscirne non è facile. Ma non si può negare che i danni dovuti all’entrata nella zona euro ha causato una tragedia enorme.
Il documento completo, in inglese: cepStudy_20_years_Euro_-_Winners_and_Losers
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