L’AIVACS (Associazione Italiana dei Volontari Antifascisti in Spagna) ha recentemente realizzato e reso disponibile in rete un documentario di grande interesse ed efficacia sulla guerra civile spagnola, in cui la documentazione storica generale s’intreccia con le vicende dei volontari italiani che vi presero parte. Realizzato da Luciano D’Onofrio e da Italo Poma, che dell’AIVACS è presidente, il documentario ha una durata di oltre tre ore ma si fruisce con facilità poiché sfrutta intelligentemente le potenzialità informatiche, presentandosi come una sorta di ipertesto in cui l’utente può stabilire un proprio percorso attraverso un menu generale ben strutturato, che propone la fruizione di interviste e filmati della durata di una decina di minuti che costituiscono, ciascuno, un documento completo in sé. Il risultato è una ricca fonte d’informazione sulla guerra di Spagna in cui hanno un posto di rilievo le testimonianze di molti volontari che vi parteciparono, alternate a interventi di storici e filmati d’epoca.
Il documentario ha come titolo La lunga Resistenza (ed è rintracciabile appunto al link www.lalungaresistenza.it) a sottolineare che la guerra di Spagna si pone come un antecedente in cui si formò politicamente e militarmente una parte consistente di quella che sarebbe stata, qualche anno dopo, la Resistenza italiana.
Forse basterebbe citare il nome di Luigi Longo, che delle brigate internazionali fu Commissario Generale per poi essere vice-comandante del Corpo Volontari della Libertà italiano e comandante delle brigate comuniste a rendere evidente tale continuità, ma nel documentario si citano molti altri volontari che ebbero un posto importante nella Resistenza e anche, in seguito, nella Repubblica Italiana, come Pietro Nenni, Giuliano Pajetta, Ilio Barontini, Antonio Roasio, Giuseppe Di Vittorio.
Sono molte, interessanti e vissute le testimonianze dirette dei combattenti, i più noti dei quali sono Giovani Pesce, che partecipò giovanissimo alla guerra di Spagna e Alessandro Vaia, ma molti altri come Anello Poma, Cesare Menarini, Italo Nicoletto contribuiscono a ricostruire un quadro palpitante di quella sfortunata quanto eroica impresa. Un’impresa che vide impegnati circa 5000 volontari italiani, inquadrati in maggior parte dapprima nel battaglione “Garibaldi” poi in una brigata mista italo–spagnola.
Diversi italiani, tuttavia, furono presenti in Spagna in altre formazioni, primo tra tutti Vittorio Vidali che contribuì in modo decisivo alla costituzione del famoso Quinto Reggimento considerato il “reggimento di ferro” dell’Esercito Popolare Spagnolo. Dato che l’Italia è un paese di emigranti, altri nostri connazionali fecero parte di brigate legate ai paesi dove vivevano e lavoravano al momento della guerra, come per esempio gli USA o il Belgio. Dei volontari italiani, almeno un quarto morì in combattimento.
Le Brigate Internazionali furono un modello nuovo di concepire la lotta militare. Composte da militanti di 53 diversi paesi, tanto che si dovettero organizzare brigate di gruppo linguistico per potersi facilmente capire nella rapidità delle azioni militari, superavano completamente le barriere etniche, di genere, di orientamento sessuale.
Furono molte le donne, anche se in genere non impiegate in combattimento, come la nota fotografa italiana Tina Modotti che in quell’occasione, tuttavia, abbandonò la macchina fotografica per assumere il ruolo d’infermiera. Oliver Law, comunista nero texano comandò una brigata di bianchi; George Nathan, inglese, fu stimato comandante anche se dichiaratamente omosessuale. Entrambi morirono in combattimento.
Da un punto di vista ideale, le Brigate Internazionali rappresentavano non singole forze politiche ma erano una proiezione dei Fronti Popolari degli anni trenta che si ergevano a barriera contro il fascismo dirompente in Europa.
I volontari delle Brigate Internazionali non furono i soli italiani a combattere in Spagna, poiché ci furono anche i cosiddetti volontari organizzati dal regime fascista, alcuni dei quali reclutati con l’inganno poiché credevano di essere diretti a lavorare nelle colonie, altri disoccupati in cerca di mezzi per vivere, che si aggiunsero a truppe anche regolari dell’esercito e dell’aviazione.
In ogni caso, già nella guerra di Spagna si trovarono ad affrontarsi italiani antifascisti e fascisti, soprattutto nella famosa battaglia di Guadalajara, conclusasi con le resa dei secondi. Uno scontro quindi inusuale, che diede luogo a episodi altrettanto inconsueti, come i comizi che, attraverso un grande megafono, Giuliano Pajetta, Luigi Longo e Teresa Noce tennero verso le linee nemiche, invitando gli italiani inquadrati nell’armata fascista a rinunciare a combattere e a disertare.
Nelle testimonianze dei volontari emerge, anche a distanza di decenni, il rimpianto per le sorti della battaglia dell’Ebro, che avrebbe potuto concludersi diversamente e cambiare le sorti della guerra se solo il governo francese non avesse bloccato i rifornimenti d’armi destinati alle Brigate Internazionali e all’esercito repubblicano. La battaglia terminò con la vittoria dei franchisti che disponevano di artiglieria pesante e del supporto aereo italiano e della famigerata Legione Condor tedesca, già responsabile del bombardamento di Guernica e di molte altre azioni.
Il grande divario di mezzi e di armamenti tra l’armata repubblicana e quella franchista, sostenuta dalla Germania nazista e dall’Italia fascista fu peraltro determinante lungo tutto il corso della guerra. Gli unici aiuti internazionali ai repubblicani giungevano dall’Unione Sovietica ma, seguendo la via del mare, compivano un viaggio lungo e pericoloso che non sempre arrivava a destinazione.
La speranza che Italia e Germania, causa l’approssimarsi di una guerra contro Gran Bretagna e Francia potessero abbandonare il sostegno militare ai franchisti fu in parte la ragione per cui Juan Negrin, capo del governo repubblicano, nel 1938 chiese la smobilitazione delle Brigate Internazionali. Negrin pensava, illudendosi, che il ritiro delle Brigate Internazionali avrebbe potuto distogliere Italia e Germania, impegnate su altri fronti, dalla Spagna.
Al contrario, la conferenza di Monaco, dove si dimostrò l’arrendevolezza delle potenze occidentali verso la Germania concesse di fatto a Hitler di poter continuare il suo impegno in Spagna. Quello di Negrin fu un errore politico e militare che tra l’altro mise in gravissima difficoltà quei componenti delle Brigate, come gli italiani, i tedeschi e i polacchi che non potevano rientrare nel loro paese poiché erano esuli politici. Per questi militanti, che dovettero riparare in Francia, si aprì quindi un periodo di sostanziale detenzione nei campi concentramento di tale paese, in condizioni assai dure1.
La difficoltà della vita nei campi non impedì comunque che vi si svolgesse un’intensa vita artistica e di studio organizzata dagli ex combattenti. Tuttavia, la durezza della situazione nei campi francesi era tale che alcuni internati riconsegnati all’Italia e inviati a Ventotene trovarono la vita del confino meno disagevole. Ventotene era il luogo dove si trovavano tutti i più importanti esponenti dell’antifascismo e fu per molti un’occasione di formazione politica nelle lunghe discussioni che i confinati, pur continuamente spiati e costretti ad accompagnarsi in non più di tre, riuscivano a sviluppare. Una formazione che, accompagnandosi a quella avuta in Spagna, forgiò quella generazione di quadri che, già sperimentata sui campi di battaglia iberici, fu decisiva per l’affermazione della Resistenza italiana.
Quando il Partito Comunista formò la prima direzione delle brigate partigiane, i soli Secchia e Giancarlo Pajetta non avevano mai combattuto, essendo tutti gli altri reduci dalla Spagna. Anche la struttura di comando delle brigate partigiane italiane fu ripresa da quella spagnola, peraltro già sperimentata nella rivoluzione russa. Questa struttura prevedeva la presenza di un commissario politico a fianco del comandante, a significare che ogni decisione militare andava valutata politicamente, ma anche che i componenti delle brigate avevano diritto al rispetto personale e che le loro esigenze e proposte dovevano essere ascoltate con criteri politici.
Si può quindi ben cogliere quanto fosse stato prefigurante il messaggio – Oggi in Spagna, domani in Italia! – lanciato da Radio Barcellona dal volontario e dirigente azionista Carlo Rosselli che purtroppo non poté partecipare personalmente alla liberazione italiana perché ucciso in Francia da sicari collegati ai fascisti, insieme al fratello Nello, già nel 1937.
Tra le iniziative dell’AIVACS c'è anche la pubblicazione del CD Al pueblo y a la flor, interpretato da La Desbandá (Massimo Sartori, Tiziana Cappellino e Ángeles Aguado López) che raccoglie vari canti della guerra di Spagna (tra cui l’inno della Brigata italiana “Garibaldi”) e anche della clandestinità del periodo franchista. Inoltre l’AIVACS ha anche collaborato, lo scorso anno, alla realizzazione di un pregevole doppio CD realizzato in collaborazione con l’“Istituto Ernesto De Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario” che raccoglie ventisette canti della guerra di Spagna, sotto il titolo Spagna 36 un sogno che resiste.
I canti sono proposti in versioni e arrangiamenti curati da alcuni dei migliori protagonisti della musica popolare italiana come i Gang, Giovanna Marini, Sandra Boninelli, Gualtiero Bertelli e Yo yo mundi.
Note
1 La condizione vissuta in Francia dai reduci della guerra di Spagna è documenta in alcune opere autobiografiche, tra cui Teresa Noce: Rivoluzionaria professionale, Milano, La Pietra, 1974 e Alessandro Vaia: Da galeotto a generale, Milano, Teti, 1977
Fonte
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