di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Due mesi, 57 morti e
mille arresti dopo, il presidente sudanese Omar al-Bashir reagisce con
il pugno di ferro alle manifestazioni che da metà dicembre invocano la
sua cacciata.
Venerdì ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno,
sciolto il governo centrale e quelli locali: al posto dei 18 governatori
civili arrivano i militari. Sabato ha nominato un nuovo premier e il
suo nuovo vice: primo ministro diventa Mohamed Tahir Ayala, ex
governatore e «delfino» di Bashir nel caso avesse mai deciso di porre
fine al suo trentennale regime personale; il ministro della Difesa Awad
Mohamed Ahmed Ibn Auf (ex capo dell’intelligence militare) è invece
stato scelto come vice presidente.
Tutto in nome, dice, «della riconciliazione nazionale e del dialogo». Infine, Bashir
ha sospeso la riforma costituzionale che gli avrebbe permesso di
estendere l’attuale mandato fino al 2020, per puntare l’anno prossimo
alla rielezione in un paese militarizzato.
Le strade non si calmano: venerdì a Khartoum i manifestanti sono stati dispersi con i gas lacrimogeni e sabato l’Associazione
dei professionisti, organizzatrice delle proteste, ha annunciato nuove
manifestazioni, a 48 ore dall’arresto (e il successivo rilascio) di
dieci leader di opposizione, tra cui il vice presidente e il segretario
dell’islamista Umma party, il leader del Partito comunista e quello del
Baath. Marciavano sul palazzo presidenziale per consegnare a Bashir la petizione popolare che ne chiede le dimissioni.
Di andarsene non se ne parla, nonostante il linguaggio “conciliante”:
«La richiesta del nostro popolo di migliori condizioni di vita sono
legittime», ha detto nello stesso discorso tv in cui dichiarava uno
stato di emergenza che permetterà a polizia ed esercito di condurre
perquisizioni e arresti senza mandato in nome della «sicurezza
nazionale». Potere alle forze armate, dunque, che in questi due
mesi hanno arrestato attivisti, giornalisti, semplici cittadini, sparato
sulla folla e ucciso in carcere con stupri e torture almeno una
persona, l’insegnante Ahmed al-Kheir.
In contemporanea il governo bloccava i social, usati per organizzare
le proteste, e accusava non meglio definiti «agenti stranieri» di aver
aizzato il popolo sudanese. A scatenare le proteste è stato ben altro:
la carenza di carburante che ha triplicato il prezzo di pane e medicine.
AGGIORNAMENTO
Ieri in migliaia hanno manifestato a Khartoum e Omdurman lungo il
Nilo dopo l’annuncio dello stato di emergenza nel paese, mentre il nuovo
governo nominato dal presidente Bashir giurava. Le forze armate
sudanesi hanno lanciato gas lacrimogeni per disperdere la folla. I
manifestanti hanno dato fuoco a pneumatici e bloccato le strade al grido
di “Libertà! Libertà!”.
Dopo il discorso tv di Bashir, parla anche il suo partito, il
National Congress Party, che definisce lo stato d’emergenza lo strumento
per affrontare la crisi economica: “Serve ad affrontare il caos negli
affari economici, a risolvere la questione della carenza di contante e a
combattere la corruzione, ma anche a fermare le pratiche che hanno
effetti negativi sull’economica, in particolare il contrabbando d’oro”,
ha detto il capo della segreteria del Ncp, Abdel-Rahman al-Khidir,
durante un meeting del partito a Jebel Awliya.
Resta la questione di un’eventuale nuova candidatura alla
presidenza di Bashir, alle elezioni del prossimo anno. Secondo il
direttore dei servizi Niss, la Costituzione glielo impedisce ma potrebbe
correre “nel caso di consenso politico e misure prese dalle
istituzioni competenti”. Ovvero, modifiche costituzionali che in uno
stato di emergenza sarebbero facilmente imponibili dal presidente.
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