“Il problema non è l’analisi costi-benefici. Nessuno vorrà investire in Italia se il paese dimostra che un governo che cambia non sta ai patti, cambia le leggi o le rende retroattive”.
Il ministro dell’economia, Giovanni Tria, apre ufficialmente la crisi della maggioranza all’indomani delle elezioni abruzzesi e sarde, che hanno confermato la crisi profonda dei Cinque Stelle. E’ notevole sia il tema che la tempistica, a indicare chiaramente che i Cinque Stelle non possono più pretendere nulla.
Lo fa quasi con le stesse parole di Wolfgang Schaeuble durante la crisi greca, davanti al “riformista” illuso Yanis Varoufakis: “Questo è stato accettato dal governo precedente e che non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla. Perché abbiamo elezioni ogni giorno, siamo in 19, se ogni volta che c’è una elezione e qualcosa è cambiato, i contratti tra noi non significherebbero nulla”.
E’ la logica dei trattati europei e chiunque dica di volerli “riformare” racconta cazzate. In modo inconsapevole, se non si cura di esserne informato, in modo luridamente consapevole se invece sa di cosa parla.
Tria stava rispondendo a una domanda sul Tav da Torino a Lione, che divide il governo da mesi (insieme a molti altri dossier), ed ha scelto di metter fine alla finta discussione “unitaria” presentando il conto dei “mercati” e dei trattati. Non si può cambiare nulla, a certi livelli, anche se ci converrebbe farlo (per problemi di finanziamento, per rispetto delle popolazioni residenti, per inutilità palese di certe opere, ecc). Salvini, non a caso, si è immediatamente allineato al garante dei conti per conto dall Ue.
A pensarci bene, si apre la fine non solo per “il governo del cambiamento”, ma per qualsiasi futuro “governo del cambiamento”, seppellendo anche i fantasmi del “populismo”. A meno che non tracolli la struttura di governance dell’Unione Europea.
Cinque Stelle sulla via del rapidissimo tramonto, dunque, per manifesta impossibilità di far vivere concretamente una visione (e soluzioni) che solo in astratto potevano sembrare decisive (onestà, “uno vale uno”, due soli mandati, uso della rete, ecc) per cambiare il paese e la corruzione politico-morale della sua classe politica.
Ma attenzione a dare la Lega per trionfante nel medio periodo, anche se nell’immediato appare quasi incontrastabile, specie tenendo conto lo smorto panorama parlamentare e la non esaltante conflittualità sociale (che c’è, ma riguarda ancora soltanto singoli settori). Anche la Lega, infatti, deve la sua fortuna a una serie di soluzioni impraticabili.
Sul tema immigrazione ha ancora gioco facile. “Contrastarla” con i suoi metodi in fondo costa poco, praticamente nulla; una volta seppellito l’”umanitarismo”, senza troppe resistenze, tanto meno europee, su quella linea ci stanno praticamente tutti (ricordatevi sempre del piddino Minniti).
Ma su tutto il resto si trova esattamente nella stessa posizione dei grillini, con una “quota 100” ridotta a pochi intimi e per poco tempo, con una flat tax scomparsa dai radar già nella scorsa estate, con la minaccia di applicazione automatica degli aumenti dell’Iva il prossimo anno (o già in questo, con la “manovra correttiva”) e addirittura con il prelievo forzoso sui conti correnti all’orizzonte.
La Lega puntava manifestamente a cannibalizzare sia il centrodestra che una gran parte dei grillini, ma il gioco non gli sta riuscendo. O per lo meno non nella misura necessaria ad assicurarle una “posizione maggioritaria”.
Le azioni di “disturbo”, nel campo della destra, sono già iniziate. Il “ritorno in campo” di Berlusconi, per molti versi patetico, ha il chiaro significato di cercare di organizzare un “centrodestra europeista”, altrettanto autoritario sul piano interno ma molto meno blaterante contro la Ue.
Sul fronte opposto, la probabile investitura di Zingaretti alla testa del Pd riapre per la milionesima volta il cantiere di un “nuovo Ulivo”, in cui rappattumare tutte le frattaglie nostalgiche del ceontrosinistra prodiano, europeista senza se e senza ma, con qualche verniciata “umanitaria” e un po’ meno rozza in fatto di vaccini, religione, diritti civili. Su cui a malincuore potrebbero in prospettiva convergere quegli elettori grillini ma refrattari al neofascismo leghista.
Dunque lo scenario prossimo venturo potrebbe volgere nel giro di pochi mesi verso il vecchio “bipolarismo” tra centrodestra e autodefinito “centrosinistra”. Entrambi, però, completamente screditati agli occhi dell’“opinione pubblica”.
A questo stanno manifestamente lavorando in tanti, sia in Italia che in sede europea (l’iperattivismo di un Tajani dovrebbe far sospettare qualcosa). E anche i molti “tavoli paralleli” imbastiti intorno alla lista “di sinistra” da presentare alle europee – una esplicita, con alla testa De Magistris con “tutti dentro”, compreso Potere al Popolo, l’altra rivelata da Cofferati (tutti col Pd, senza Dema e Pap) – verranno travolti dallo spostamento d’aria dei riposizionamenti dei soggetti più grandi.
Mattarella, dal canto suo, si vede ora consegnare tutte le leve per guidare “la politica” verso nuove elezioni, che nessuno dei due “vincitori” del 4 marzo, a questo punto, vuole.
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