di Roberto Prinzi
La notizia è giunta ieri sera a sorpresa: Mohammad Javad Zarif,
l’architetto dell’accordo sul nucleare con le potenze mondiali, ha
annunciato sul suo profilo Instagram le sue dimissioni. “Tante grazie
alla generosità del caro e coraggioso popolo d’Iran e alle sue autorità
per questi 67 mesi – ha scritto il ministro degli esteri iraniano – Mi
scuso per l’impossibilità di continuare a servire e per tutti i limiti
[mostrati] durante il mio lavoro. Siate felici e meritevoli”.
Zarif non ha fornito spiegazioni sul perché della sua decisione.
E nell’incertezza, sono già partite le prime ipotesi da parte dei
media. Secondo alcuni, l’alto ufficiale si sarebbe dimesso per la visita
ufficiale del presidente siriano Bashar al-Asad al suo omologo iraniano
Rouhani e alla Guida Suprema Ali Khamenei. A sostegno di questa
ricostruzione vi sarebbe il fatto che il ministro degli esteri della
Repubblica islamica non sarebbe mai apparso durante l’incontro con
al-Asad (la prima visita ufficiale del leader siriano da quando è
iniziata la guerra civile in Siria nel 2011) perché, scrive un sito web,
“il ministro non era stato informato”.
Elementi più concreti forse possono essere rintracciati in
un’intervista che è stata pubblicata oggi dal quotidiano Jomhuri Eslami.
Sulla testata iraniana, infatti, Zarif afferma che i dissidi
tra i partiti e le fazioni in Iran sono un “veleno mortale” in politica
estera. Secondo alcuni commentatori queste
dichiarazioni dimostrerebbero che le sue dimissioni sono il frutto delle
pressioni dei conservatori iraniani, da sempre ferocemente
contrari all’intesa del 2015. “Noi – ha spiegato Zarif al giornale –
dobbiamo rimuovere la nostra politica estera dalla questione di partito o
dallo scontro tra fazioni”. Al momento il presidente Hassan Rouhani non
ha ancora accettato formalmente le sue dimissioni che sono state
confermate dal portavoce degli esteri iraniano Alireza Miryousefi.
La sua decisione rappresenta sicuramente una sconfitta della cosiddetta linea “moderata” iraniana:
l’accordo sul nucleare ha rappresentato uno dei punti principali in
politica estera di Rouhani. La sua firma è stata soprattutto una
vittoria personale di Zarif che ha saputo abilmente negoziare con le
potenze mondiali, a partire dai “nemici” statunitensi allora guidati dal
presidente democratico Barack Obama. Teheran aveva promesso – cosa in effetti avvenuta, nonostante la false accuse israeliane – che avrebbe fermato il suo programma nucleare in cambio di una rimozione delle sanzioni finanziarie internazionali. L’intesa fu salutata con gioia dall’UE, ma soprattutto da gran parte della popolazione iraniana
che scese in strada a festeggiare perché pensava che quell’accordo
potesse rappresentare l’inizio di una nuova apertura al mondo da parte
dell’Iran. Ma quella firma fu anche aspramente criticata dai
conservatori iraniani anti-occidentali che parlarono immediatamente di
“resa all’Occidente” e “tradimento”. Ma se in un primo tempo la
loro voce è stata messa in sordina dagli effetti delle rimozioni delle
sanzioni, l’annuncio degli Stati Uniti di Donald Trump del ritiro da
quegli accordi lo scorso maggio ha di fatto fornito loro un ghiotto
assist per attaccare duramente la presidenza del “moderato” Rouhani e la
politica di avvicinamento con il “grande Satana” del suo principale
diplomatico.
La notizia delle dimissioni di Zarif ha scatenato già le
prime reazioni. Diversi politici iraniani hanno chiesto al presidente di
respingere le sue dimissioni perché rafforzano soltanto le forze estremiste presenti in Iran e non servono gli interessi iraniani. Sprezzante,
invece, è stato il commento del Segretario di Stato americano Mike
Pompeo che su Twitter ha definito Zarif e il presidente Rouhani
“rappresentanti di una corrotta mafia religiosa”. “La nostra
politica non è cambiata – ha aggiunto Pompeo – il regime [iraniano] deve
comportarsi come un Paese normale e rispettare il suo popolo”.
Nato nel 1960, Zarif conosce bene gli Usa dove si è trasferito
all’età di 17 anni per studiare a San Francisco e Denver e più dove
tardi (2002-2007) ha ricoperto la carica di ambasciatore dell’Iran
presso le Nazioni Unite. Nel 2013 viene nominato dall’appena
eletto presidente Rouhani come ministro degli Esteri con l’obiettivo di
aprire Teheran al mondo. Una scelta che fu accettata anche
dalla Guida Suprema religiosa Khamenei che tradizionalmente ha in Iran
l’ultima parola sulle nomine governative.
La battaglia contro le forze conservatrici iraniane sarà uno
dei leitmotiv dei suoi 6 anni alla guida della politica estera della
Repubblica islamica. Una lotta dura incominciata già alla fine
del 2013 quando iniziò a negoziare sul nucleare con le potenze
mondiali. Un avvicinamento con l’Occidente inaccettabile a loro giudizio
al punto che il ministro è stato convocato più volte in parlamento per
spiegare le sue politiche. Un’ostilità che ha raggiunto il suo
culmine con la firma dei trattati del 2015: alcuni arrivarono anche al
punto di minacciarlo. E di certo non aiutarono a placare la
rabbia delle forze estremiste iraniane le sue dichiarazioni del febbraio
del 2014 quando condannò pubblicamente l’Olocausto, argomento tabù in
Iran per decenni. Il ministro fu immediatamente convocato in parlamento
per chiarire quelle parole.
L’ostilità nei suoi confronti da parte dei suoi nemici interni è ben
riassunta dalle parole al veleno pronunciate lo scorso mese da Hassan
Abbasi, ex comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione
islamica. Senza troppi giri di parole Abbasi ha affermato che il popolo
iraniano sputerebbe addosso a lui e a quegli ufficiali che hanno
sostenuto l’intesa sul nucleare. “Rouhani, Zarif e [il presidente del
Parlamento] Larijani vadano all’inferno” concluse lapidario.
“Dovresti sempre ridere in diplomazia – ha scritto Zarif nelle sua
autobiografia del 2013 – ma non dovresti mai dimenticarti che stai
parlando a un nemico”. E Zarif quel “nemico” lo conosceva bene
dato che negli Usa ha studiato e vissuto a lungo. La sua familiarità
con la cultura occidentale – scrivono oggi alcuni analisti – l’ha
aiutato a tessere relazioni con gli statunitensi. Contatti
iniziati già negli anni ’90 quando prese parte ai negoziati per liberare
alcuni ostaggi americani in mano al gruppo sciita libanese pro-iraniano
Hezbollah. Uno scambio di mail tra Zarif e l’ex Segretario di Stato Usa
John Kerry (con cui costruì un buon rapporto) disinnescò le tensioni
provocate nel 2016 dall’arresto di 10 marines americani in acque
iraniane.
Ospite qualche anno fa del talk show americano di Charlie Rose, disse
che “nessun accordo può essere perfetto. Perfetto per un lato sarebbe
disastroso per l’altro”. Il filo diretto che Zarif aveva pazientemente costruito in questi anni con Washington (Iran e Usa non hanno rapporti diplomatici dal 1980) è stato bruscamente interrotto dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.
Di lui Zarif ha usato parole sprezzanti: “Il suo discorso ignorante
[carico] di odio appartiene al Medio Evo, non al 21esimo secolo”. Il
riferimento era al primo discorso del presidente americano all’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite durante il quale il leader repubblicano
definì l’intesa con Teheran un “imbarazzo” e “uno dei peggiori e più
unilaterali negoziati in cui sono entrati gli Usa”.
AGGIORNAMENTO
ore 10:55 Parlamentari iraniani raccolgono firme per far restare Zarif
Una maggioranza di parlamentari iraniani ha firmato una lettera
indirizzata al presidente Hassan Rouhani in cui chiedono che Javad Zarif
continui ad essere il ministro degli esteri dell’Iran. A riportarlo è
Irna, l’agenzia di stato della Repubblica islamica. Ali Najafi
Khoshroodi, portavoce della commissione della politica estera e della
sicurezza nazionale, ha detto ad Irna che ha firmato la lettera e sta
raccogliendo altre firme.
Al momento il presidente iraniano Rouhani non ha ancora deciso se
accettare o meno le dimissioni del suo ministro degli esteri. Tuttavia,
secondo sempre quanto riporta Irna, ha detto oggi che Zarif è in prima
linea nella battaglia contro l’America. Rohani ha anche riferito che il
presidente siriano Bashar al-Asad in visita ieri a Teheran ha
ringraziato il suo ministro per il lavoro svolto in politica estera.
Proprio la visita di al-Asad in Iran, secondo alcuni media, avrebbe
portato l’alto diplomatico iraniano a dimettersi.
Intanto da Israele il premier Benjamin Netanyahu si dice rallegrato
per le dimissioni del ministro degli esteri iraniano. “Arrivederci – ha
affermato – finché ci sarò io qui, l’Iran non avrà armi nucleari”.
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