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27/02/2019

Iran - Dimissioni a sorpresa del ministro degli esteri Zarif

di Roberto Prinzi

La notizia è giunta ieri sera a sorpresa: Mohammad Javad Zarif, l’architetto dell’accordo sul nucleare con le potenze mondiali, ha annunciato sul suo profilo Instagram le sue dimissioni. “Tante grazie alla generosità del caro e coraggioso popolo d’Iran e alle sue autorità per questi 67 mesi – ha scritto il ministro degli esteri iraniano – Mi scuso per l’impossibilità di continuare a servire e per tutti i limiti [mostrati] durante il mio lavoro. Siate felici e meritevoli”.

Zarif non ha fornito spiegazioni sul perché della sua decisione. E nell’incertezza, sono già partite le prime ipotesi da parte dei media. Secondo alcuni, l’alto ufficiale si sarebbe dimesso per la visita ufficiale del presidente siriano Bashar al-Asad al suo omologo iraniano Rouhani e alla Guida Suprema Ali Khamenei. A sostegno di questa ricostruzione vi sarebbe il fatto che il ministro degli esteri della Repubblica islamica non sarebbe mai apparso durante l’incontro con al-Asad (la prima visita ufficiale del leader siriano da quando è iniziata la guerra civile in Siria nel 2011) perché, scrive un sito web, “il ministro non era stato informato”.

Elementi più concreti forse possono essere rintracciati in un’intervista che è stata pubblicata oggi dal quotidiano Jomhuri Eslami. Sulla testata iraniana, infatti, Zarif afferma che i dissidi tra i partiti e le fazioni in Iran sono un “veleno mortale” in politica estera. Secondo alcuni commentatori queste dichiarazioni dimostrerebbero che le sue dimissioni sono il frutto delle pressioni dei conservatori iraniani, da sempre ferocemente contrari all’intesa del 2015. “Noi – ha spiegato Zarif al giornale – dobbiamo rimuovere la nostra politica estera dalla questione di partito o dallo scontro tra fazioni”. Al momento il presidente Hassan Rouhani non ha ancora accettato formalmente le sue dimissioni che sono state confermate dal portavoce degli esteri iraniano Alireza Miryousefi.

La sua decisione rappresenta sicuramente una sconfitta della cosiddetta linea “moderata” iraniana: l’accordo sul nucleare ha rappresentato uno dei punti principali in politica estera di Rouhani. La sua firma è stata soprattutto una vittoria personale di Zarif che ha saputo abilmente negoziare con le potenze mondiali, a partire dai “nemici” statunitensi allora guidati dal presidente democratico Barack Obama. Teheran aveva promesso – cosa in effetti avvenuta, nonostante la false accuse israeliane – che avrebbe fermato il suo programma nucleare in cambio di una rimozione delle sanzioni finanziarie internazionali. L’intesa fu salutata con gioia dall’UE, ma soprattutto da gran parte della popolazione iraniana che scese in strada a festeggiare perché pensava che quell’accordo potesse rappresentare l’inizio di una nuova apertura al mondo da parte dell’Iran. Ma quella firma fu anche aspramente criticata dai conservatori iraniani anti-occidentali che parlarono immediatamente di “resa all’Occidente” e “tradimento”. Ma se in un primo tempo la loro voce è stata messa in sordina dagli effetti delle rimozioni delle sanzioni, l’annuncio degli Stati Uniti di Donald Trump del ritiro da quegli accordi lo scorso maggio ha di fatto fornito loro un ghiotto assist per attaccare duramente la presidenza del “moderato” Rouhani e la politica di avvicinamento con il “grande Satana” del suo principale diplomatico.

La notizia delle dimissioni di Zarif ha scatenato già le prime reazioni. Diversi politici iraniani hanno chiesto al presidente di respingere le sue dimissioni perché rafforzano soltanto le forze estremiste presenti in Iran e non servono gli interessi iraniani. Sprezzante, invece, è stato il commento del Segretario di Stato americano Mike Pompeo che su Twitter ha definito Zarif e il presidente Rouhani “rappresentanti di una corrotta mafia religiosa”. “La nostra politica non è cambiata – ha aggiunto Pompeo – il regime [iraniano] deve comportarsi come un Paese normale e rispettare il suo popolo”.

Nato nel 1960, Zarif conosce bene gli Usa dove si è trasferito all’età di 17 anni per studiare a San Francisco e Denver e più dove tardi (2002-2007) ha ricoperto la carica di ambasciatore dell’Iran presso le Nazioni Unite. Nel 2013 viene nominato dall’appena eletto presidente Rouhani come ministro degli Esteri con l’obiettivo di aprire Teheran al mondo. Una scelta che fu accettata anche dalla Guida Suprema religiosa Khamenei che tradizionalmente ha in Iran l’ultima parola sulle nomine governative.

La battaglia contro le forze conservatrici iraniane sarà uno dei leitmotiv dei suoi 6 anni alla guida della politica estera della Repubblica islamica. Una lotta dura incominciata già alla fine del 2013 quando iniziò a negoziare sul nucleare con le potenze mondiali. Un avvicinamento con l’Occidente inaccettabile a loro giudizio al punto che il ministro è stato convocato più volte in parlamento per spiegare le sue politiche. Un’ostilità che ha raggiunto il suo culmine con la firma dei trattati del 2015: alcuni arrivarono anche al punto di minacciarlo. E di certo non aiutarono a placare la rabbia delle forze estremiste iraniane le sue dichiarazioni del febbraio del 2014 quando condannò pubblicamente l’Olocausto, argomento tabù in Iran per decenni. Il ministro fu immediatamente convocato in parlamento per chiarire quelle parole.

L’ostilità nei suoi confronti da parte dei suoi nemici interni è ben riassunta dalle parole al veleno pronunciate lo scorso mese da Hassan Abbasi, ex comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. Senza troppi giri di parole Abbasi ha affermato che il popolo iraniano sputerebbe addosso a lui e a quegli ufficiali che hanno sostenuto l’intesa sul nucleare. “Rouhani, Zarif e [il presidente del Parlamento] Larijani vadano all’inferno” concluse lapidario.

“Dovresti sempre ridere in diplomazia – ha scritto Zarif nelle sua autobiografia del 2013 – ma non dovresti mai dimenticarti che stai parlando a un nemico”. E Zarif quel “nemico” lo conosceva bene dato che negli Usa ha studiato e vissuto a lungo. La sua familiarità con la cultura occidentale – scrivono oggi alcuni analisti – l’ha aiutato a tessere relazioni con gli statunitensi. Contatti iniziati già negli anni ’90 quando prese parte ai negoziati per liberare alcuni ostaggi americani in mano al gruppo sciita libanese pro-iraniano Hezbollah. Uno scambio di mail tra Zarif e l’ex Segretario di Stato Usa John Kerry (con cui costruì un buon rapporto) disinnescò le tensioni provocate nel 2016 dall’arresto di 10 marines americani in acque iraniane.

Ospite qualche anno fa del talk show americano di Charlie Rose, disse che “nessun accordo può essere perfetto. Perfetto per un lato sarebbe disastroso per l’altro”. Il filo diretto che Zarif aveva pazientemente costruito in questi anni con Washington (Iran e Usa non hanno rapporti diplomatici dal 1980) è stato bruscamente interrotto dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. Di lui Zarif ha usato parole sprezzanti: “Il suo discorso ignorante [carico] di odio appartiene al Medio Evo, non al 21esimo secolo”. Il riferimento era al primo discorso del presidente americano all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite durante il quale il leader repubblicano definì l’intesa con Teheran un “imbarazzo” e “uno dei peggiori e più unilaterali negoziati in cui sono entrati gli Usa”.

AGGIORNAMENTO  

ore 10:55 Parlamentari iraniani raccolgono firme per far restare Zarif

Una maggioranza di parlamentari iraniani ha firmato una lettera indirizzata al presidente Hassan Rouhani in cui chiedono che Javad Zarif continui ad essere il ministro degli esteri dell’Iran. A riportarlo è Irna, l’agenzia di stato della Repubblica islamica. Ali Najafi Khoshroodi, portavoce della commissione della politica estera e della sicurezza nazionale, ha detto ad Irna che ha firmato la lettera e sta raccogliendo altre firme.

Al momento il presidente iraniano Rouhani non ha ancora deciso se accettare o meno le dimissioni del suo ministro degli esteri. Tuttavia, secondo sempre quanto riporta Irna, ha detto oggi che Zarif è in prima linea nella battaglia contro l’America. Rohani ha anche riferito che il presidente siriano Bashar al-Asad in visita ieri a Teheran ha ringraziato il suo ministro per il lavoro svolto in politica estera. Proprio la visita di al-Asad in Iran, secondo alcuni media, avrebbe portato l’alto diplomatico iraniano a dimettersi.

Intanto da Israele il premier Benjamin Netanyahu si dice rallegrato per le dimissioni del ministro degli esteri iraniano. “Arrivederci – ha affermato – finché ci sarò io qui, l’Iran non avrà armi nucleari”.

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