Si parla di nucleare, in questo periodo; soprattutto di armi nucleari. Se ne parla un po’ meno nello scacchiere occidentale – chissà perché, come se qui non esistesse un pericolo nucleare, con le centinaia di ordigni stipati e schierati in Europa – e si concentra l’attenzione sui sistemi missilistici che, di per sé sono vettori soprattutto di testate atomiche.
Se ne parla principalmente, in questi giorni, nell’emisfero orientale. Mentre Kim Jong Un e Donald Trump sono tornati a riunirsi oggi ad Hanoi, concludendo con un nulla di fatto il summit iniziato ieri e otto mesi dopo il primo incontro a Singapore, rimane incerta la situazione sul fronte indo-pakistano: due paesi che l’arma nucleare ce l’hanno e che, tra l’altro, non aderiscono (ma conta poi veramente qualcosa? come insegnano la storia e gli USA, i trattati si possono ignorare, o anche rescindere) all’accordo sulla non proliferazione nucleare.
Nella prima mattinata di oggi, la coreana KCNA riportava che Kim e Trump si sono ieri scambiati “opinioni sincere e profonde”, che possono rendere “completi ed epocali i risultati” del vertice di Hanoi. Strette di mano ieri, riporta la cinese Xinhua, anche tra il Segretario di Stato Mike Pompeo e Kim Yong Chol, vicepresidente del CC del Partito dei lavoratori della RPDC.
Intanto, sei o settemila chilometri più a ovest, nonostante, dopo la vampata di questi ultimi due giorni, ancora una volta sullo scenario del Kashmir, si bisbiglino dichiarazioni “accomodanti” tra India e Pakistan – il primo ministro pakistano Imran Khan ha invitato ieri l’India al dialogo: “i nostri paesi non possono permettersi errori di calcolo a causa delle armi che possediamo: il Pakistan è pronto per il dialogo contro il terrorismo” – Delhi muove verso la frontiera i T-72M1 e il Pakistan risponde con “Al-Khalid” (il carro di fabbricazione sino-pakistana) e T-80UD (di produzione ucraina, forniti a Islamabad ancora a inizi 2000), mentre topwar.ru sottolineava nelle prime ore di stamani come il conflitto tra i due stati nucleari sia lontano dalla soluzione.
Dopo la battaglia aerea di ieri tra MiG-21 indiani e F-16 pakistani, lungo la cosiddetta Linea di Controllo, oggi si passerebbe già allo scontro terrestre, nel conflitto ormai settantennale che, sulla questione del Kashmir (base di raggruppamenti islamisti, che periodicamente compiono puntate terroristiche in India), vede fronteggiarsi i due stati sorti dalle spoglie dell’India britannica e che contano la seconda (India) e la sesta (Pakistan) popolazione mondiale.
Un conflitto che si inasprisce sullo sfondo della contrapposizione USA-Russia-Cina, soprattutto per Siria, Venezuela, Ucraina. Così che, da una parte, Pechino – anche per lo scontro iniziato sessant’anni fa con l’URSS, tradizionale alleata dell’India – è da lungo tempo schierata con il Pakistan; Mosca, negli ultimi tempi, cerca di sviluppare buone relazioni con entrambi; Washington, storico alleato di Islamabad, tenta oggi un approccio migliore anche con Delhi.
E’ in questa situazione che stamani Kim Jong Un e Donald Trump sono tornati a incontrarsi, dapprima faccia a faccia, a porte chiuse, e poi con le delegazioni coreano-americane al completo: sul tappeto, come nel giugno scorso a Singapore, la questione della denuclearizzazione della penisola coreana. Di fronte alle telecamere, riporta la Xinhua, Kim si è detto convinto di poter ottenere un “risultato che potrà essere salutato da tutti”. Ci sono state una certa sfiducia e incomprensione tra noi, ha detto Kim, ma abbiamo superato gli ostacoli. Trump ha ricordato “il successo” del primo incontro, i “molti progressi” nei rapporti con Kim, ma, soprattutto, non ha mancato di sottolineare che Pyongyang ha un grandissimo potenziale economico, incredibile e illimitato.
Al momento, difficile trovare un giudizio univoco sugli esiti del vertice. I primissimi commenti della Tass erano orientati stamani a un cauto ottimismo: “Vi assicuro” ha detto Kim prima della seconda giornata del summit, “che farò tutto quanto dipende da me per ottenere buoni risultati, quantomeno, oggi”. Ci sono “persone che salutano questo incontro” ha continuato Kim, “e altri che sono scettici. Tutti hanno dei dubbi, ma, per quanto riguarda me personalmente, sento che otterremo buoni risultati”. Secondo le fonti (non citate) riprese dalla Tass, il summit avrebbe dovuto concludersi con una “Dichiarazione di Hanoi”, in cui sarebbero stati concordati almeno tre punti: definizione del concetto di “denuclearizzazione”; passi successivi di entrambe le parti; obiettivi e questioni da discutere nel prossimo futuro.
Già più tardi la stessa Tass riferiva del mancato accordo, data l’indisponibilità USA a eliminare le sanzioni contro la RPDC, in cambio del congelamento del sito atomico di Nyongbyon, un centinaio di km a nord di Pyongyang. Netto e quasi senza appello il primo commento di colonelcassad, secondo cui gli USA “riferiscono che non è stato raggiunto alcun accordo”. Era ingenuo, commenta colonelcassad, aspettarsi dal summit progressi sostanziali sulla questione delle armi nucleari della Corea del Nord, senza significative concessioni americane a Pyongyang: soprattutto, quelle che vorrebbe la Cina. Washington era disposta solo a un accordo per ridurre le richieste di monitoraggio sul programma nucleare nordcoreano; per la RDPC, tali “concessioni” sono di natura insignificante, dato che Kim chiede un effettivo impegno yankee a ridurre la presenza militare ed eliminare i sistemi antimissilistici in Corea del Sud.
Così che, a quanto pare, il summit si è concluso prima della fine del programma ufficiale, senza la firma di una dichiarazione. Non si è giunti ad accordi significativi sulle armi nucleari e Washington non era disposta a firmare una dichiarazione che non contenesse almeno l’apparenza di una vittoria diplomatica internazionale.
Tra i punti appena “auspicati”: l’apertura di ambasciate a Washington e Pyongyang e il proseguimento di ulteriori contatti. In conclusione: scarsissimi risultati. In fondo, nota colonelcassad, la RPDC non è poi così dipendente dagli esiti del vertice: finché continuano i negoziati, “il mondo impara ad accettare la realtà di una Corea del Nord dotata di testate nucleari e missili strategici. E, dopotutto, se anche il processo negoziale fallisse (cosa molto probabile), a Pyongyang possono sempre dire: abbiamo provato, ma a causa degli USA non si è trovato l’accordo e non ci sono dunque motivi perché noi ci sbarazziamo delle armi nucleari. Mosca e Pechino incolperanno gli USA per l’insuccesso e il giovane Kim rimarrà membro del club nucleare”.
L’escalation indo-pakistana assume aspetti più preoccupanti, sullo sfondo del fallimento di Hanoi.
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