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25/02/2019

“T-34”: eroi di celluloide e veri nazigolpisti

Lo scorso 1 gennaio è uscito nelle sale cinematografiche russe il film di guerra “T-34”. Nella sola prima settimana, ha registrato oltre un miliardo di rubli di incassi. Il film è ora in procinto di uscire nei cinema americani (la versione originale russa è visibile in rete da gennaio) e non è escluso che prima o poi arrivi anche nelle sale italiane.

Le ambasciate ucraine in USA e in Canada hanno chiesto alle case di distribuzione dei due paesi che ne blocchino l’uscita, con la “motivazione” che la pellicola “diffonde apertamente l’attuale aggressione russa nel mondo, vittima della quale è l’Ucraina, utilizzando allo scopo la memoria storica degli eroi della Seconda guerra mondiale”.

Se la cosa non apparisse di per sé assurda, ci sentiremmo di sperare che la proiezione del film nelle sale italiane venga “rinviata a data da stabilirsi”: certo, con tutt’altre motivazioni rispetto ai diplomatici ucraini. Ma, di questo, più avanti.

La sortita delle ambasciate golpiste ha coinciso con l’ultima trovata del rappresentante speciale USA per l’Ucraina, Kurt Volker, che ha presentato il sito “Contrasto all’aggressione russa in Ucraina”, in cui, ha detto, vengono utilizzate “fotografie satellitari, mappe, statistiche, per mostrare nei dettagli le conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina”, venuta dopo che Mosca aveva “espugnato e occupato la Crimea e dato avvio al conflitto armato nell’est dell’Ucraina”.

Forte dunque di questa “novità” yankee, Porošenko & Co. hanno dunque chiesto di bloccare la proiezione di “T-34” in USA. Roba da urlo: i nazigolpisti di Kiev, che da almeno tre decenni, sotto l’occhio benevolo degli ex-“comunisti” al potere a Kiev, osannavano le bande criminali filonaziste di Stepan Bandera e Roman Šukhevič, e che da cinque anni le elevano a “icone di stato”, parlano ora “degli eroi della Seconda guerra mondiale”. Vien da chiedersi a chi si riferiscano: ai loro “eroi” delle Waffen-SS?

Vladimir Malyšev scrive su news-front.info che la ragione della mossa ucraina risiede nel fatto che il film “glorifica l’eroismo dei russi, che furono in grado di infliggere una schiacciante sconfitta all’armata di Hitler, nei cui ranghi c’erano non solo tedeschi, ma soldati di quasi tutta l’Europa conquistata dai nazisti. Quella stessa Europa che oggi è di nuovo in conflitto con la Russia, anche se non più con carri armati e cannoni, ma con sanzioni economiche. Quindi, il film dimostra che nessuno riuscirà a sconfiggere il nostro paese. Non ci riuscirono ieri, non ci riusciranno oggi”.

Retorica nazionale a parte, il senatore russo Aleksej Puškov ha twittato che “Anche gli hitleriani tentarono di fermare il T-34 sui fronti della Seconda guerra, ma non ci riuscirono. Oggi, questi non riusciranno a fermare né un film su uno dei simboli della nostra vittoria, né la memoria di essa”.

Ormai da cinque anni non è una novità che in Ucraina si cerchi di vietare tutto quanto, in un modo o nell’altro, sia collegato alla Russia o alla lingua russa. Per ultimo, lo scorso dicembre, il consigliere del Ministro degli interni Zorjan Škirjak aveva proposto di introdurre la responsabilità penale per la “propaganda del mondo russo” e per la negazione della “aggressione russa”. Nell’aprile 2014 Porošenko aveva firmato la legge sulla proibizione di qualsiasi film o serial televisivo russo, girato dopo il 1 gennaio 2014. Lo scorso anno l’Agenzia statale ucraina per il cinema ha proibito 139 film e serial televisivi russi.

Ora – lo diciamo da profani del cinema, pur se equipaggiati di una discreta dose di pellicole belliche sovietiche e russe – questo nuovo film russo, che ha per protagonista il T-34, il carro armato simbolo della vittoria sovietica, a essere generosi, è abbastanza ingenuo e può forse contare sulle simpatie solo di quel pubblico – ma questo evidentemente è il destino di moltissimi remake – ignaro dello stesso soggetto su cui si basava la pellicola “Žàvoronok” (“L’allodola”), girata nel 1964.

In due parole: i tedeschi devono sperimentare il nuovo cannone anticarro PaK 97/38 da 75 mm, in grado di perforare l’impenetrabile corazza frontale del T-34. Prendono un carro sovietico catturato; ci mettono dentro quattro prigionieri sovietici e lo fanno manovrare contro alcuni “Tigre” e contro i suddetti cannoni.

Con un miracolo cinematografico, l’equipaggio trova a bordo del T-34 (che i tonti tedeschi non hanno assolutamente ispezionato, tanto che dentro ci sono ancora i cadaveri del precedente equipaggio) un discreto numero di proiettili, un secchio di gasolio, ma di quello da 300 chilometri a litro... tedeschi messi ko, tra proiettili avversari che si sfiorano a rallenty, evitando diligentemente ufficiali nazisti, tra fiammate computerizzate e panorami in hi-tech, il carro sfonda il perimetro del poligono di sperimentazione, lungo il tragitto fa il pieno a una pompa di benzina, poi l’equipaggio si ferma per le vivande in un vicino villaggio e trova il tempo per un bagno rigenerante nel fiume.

Quindi, ultimo duello tra capo-carro sovietico e carrista nazista rivale, una stretta di mano tra i due e l’SS precipita nel vuoto. Happy end con l’eroe che prende a bordo, a una fermata d’autobus, la giovane traduttrice – anche lei prigioniera sovietica – formosa e rubiconda che, più che da un lager nazista, sembra uscita da un resort cinquestelle; tutti felici e contenti se ne vanno tranquilli verso le linee sovietiche che, tra l’altro, nella primavera del 1944 erano ancora a dir poco lontane dalla Germania.

Non è il caso di soffermarsi sull’infinita serie di incongruenze storiche (dove passi la linea del fronte o quale torretta sia in dotazione ai carri sovietici nel dato periodo, ecc.) e di dabbenaggini tedesche che rendono “T-34” a dir poco risibile. Ma, come evitare l’istintivo paragone con l’originale di oltre mezzo secolo fa? Sarà per via dell’inguaribile affezione filosovietica e la spontanea ritrosia per l’eredità gorba-eltsiniana? Chissà.

“L’allodola” è ambientato non nel 1944, bensì nel 1942. Al poligono di artiglieria tedesca, stanno testando la nuova arma anticarro. Un Hauptsturmführer seleziona tra i prigionieri sovietici un meccanico-autista che, alla guida del T-34, dovrebbe avvicinarsi il più possibile all’artiglieria. Con il guidatore, vengono scelti altri tre prigionieri, tra cui un francese: tutti dovranno poi essere eliminati, indipendentemente dall’esito dei test. Artiglieria tedesca schiacciata sotto i cingoli; fuga dal poligono, sosta per la birra e gli abiti civili nel vicino villaggio, i cui abitanti sono terrorizzati alla sola vista del carro.

Morale: come l’allodola è “messaggera dei cieli e dell’alba”, così la prima “allodola d’acciaio” annuncia l’arrivo dello stormo e i borghesi tedeschi capiscono cosa accadrà quando molti di questi carri arriveranno in Germania. Finale tragico: tutti e quattro i carristi muoiono, uccisi uno dopo l’altro dai tedeschi.

Il soggetto dei due film nasce da una leggenda in cui si mescolano un po’ di realtà e molte voci. Di sicuramente vero, la fuga dal lager di Peenemünde, l’8 dicembre 1945, di un gruppo di prigionieri a bordo di un bombardiere tedesco He-111 guidato da un pilota da caccia sovietico. Le voci sulla vicenda dei carristi erano nate per lo più in Germania, a proposito di un carro sovietico che sarebbe stato visto circolare fuori dell’area del poligono Ohrdruf e degli adiacenti mini-lager “KZ-Hftlinge” e “Auenkommando Ohrdruf S III”, in Turingia o, in alternativa, di un carrista sovietico portato appositamente dal vicino lager di Buchenwald e che, per la destrezza dimostrata, sarebbe stato ucciso personalmente dal generale carrista Heinz Guderian.

Dopo la guerra, nella stessa regione (nella DDR) era acquartierata una divisione sovietica: i militari udirono allora dalla popolazione locale le voci sul carrista sovietico e su un carro che aveva dato filo da torcere alla guarnigione SS. Giornalisti sovietici raccolsero il racconto di una ex infermiera della vicina Crawinkel, che aveva curato una grande quantità di soldati tedeschi vittime di non meglio precisati esperimenti al poligono di Ohrdruf. Il cameriere zoppo di un ristorante aveva poi raccontato di essere uno degli artiglieri investiti dal T-34 (in “L’allodola”, il carro sovietico era privo di proiettili e si era aperto la strada schiacciando sotto i cingoli cannoni e serventi). Stesso soggetto, dunque; risultati molto diversi.

Sintetizzando in misura estrema, si potrebbe notare: un tempo, inquadrature suggestive alla Dziga Vertov – oggi, immagini da play station; prima, epopea collettiva di liberazione dal giogo nazista (i carristi in fuga attraversano il campo di grano di una nobildonna tedesca, in cui sono al lavoro giovani prigioniere sovietiche che li credono l’avanguardia di tutta l’Armata Rossa) – ora, duello individuale all’americana tra il carrista sovietico e quello nazista; a base de “L’allodola” c’era la pièce di un drammaturgo e due poeti veterani di guerra si erano occupati della sceneggiatura; per “T-34”, un regista da commedie leggere e il “nume” della cinematografia russa osannata in occidente: il monarchico antisovietico, ortodosso osservante, Nikita Mikhalkov.

In definitiva, questo “T-34”, con i tedeschi che in ogni occasione agiscono come un branco di stupidi, è stato abbastanza giustamente definito da warhead.su “un film su una guerra virtuale in una realtà alternativa, senza alcun rapporto con la Grande Guerra Patriottica. Con i popcorn in mano, può anche passare; ma, se si vuol vedere un film su quella guerra, si deve tornare al vecchio, ingenuo, bianco-nero de L’allodola”.

Forse ancor più tranciante il giudizio di Argumenty i Fakty: una “bella pellicola, presa letteralmente da un buon gioco al computer. Ma non si può evitare il confronto con l’originale del 1964. “L’allodola” è un dramma di guerra su persone stremate dalla prigionia, che riescono a liberarsi e che fungono da precursori di quella vendetta che inevitabilmente si abbatterà sui borghesi ben nutriti dei pacifici villaggi tedeschi, i cui figli e padri hanno portato dolore e sofferenza nella terra sovietica. “L’allodola” non ha un lieto fine: tutti gli eroi sono destinati a morire. Ti prende però l’anima”.

Un lato positivo di “T-34”, scrive ancora AiF, “potrebbe essere l’allontanamento dai cliché ideologici, se non ci fosse un “ma”. La presenza, tra gli sceneggiatori, del team che fa capo a Nikita Mikhalkov e che ci ha offerto un’altra manifestazione di quella che può definirsi “magia bellica ortodossa”. All’interno del carro si inquadra un vassoio – preso nella cittadina tedesca attraversata – su cui è raffigurato qualcosa che dovrebbe simboleggiare un’icona e che fa sì che i proiettili dei “Panther” nazisti all’inseguimento rimbalzino sul carro sovietico. Ancora una volta, sono le divinità a schiacciare le fortezze nemiche”.

Pavel Lytkin ha scritto su livejournal.com che mentre “L’allodola” era stato “un capolavoro di livello mondiale”, non solo in URSS, ed era stato tra i “candidati alla palma d’oro a Cannes nel 1965”, uscito in Francia e in molti altri paesi col titolo di “L’Odyssee du T.34”, oggi i “mediocri plagiatori hanno rubato persino il titolo, ma non sono stati in grado di imitare il film di 55 anni fa a un nuovo livello tecnico”. Ne è uscito “un film patetico su “carristelli” e su la loro guerretta”. Il loro obiettivo non era quello di narrare le “gesta del popolo sovietico, bensì di cancellarne il ricordo: senza anima e autentiche sofferenze”. Secco e senza appelli il giudizio di un anonimo spettatore, riportato da topwar.ru: “Come al solito, hanno annientato tutto e hanno fatto una favola. Guardate “L’allodola”: quello è cinema!”.

Così che, contro i nazisti, quelli di ieri e i loro odierni epigoni ucraini, l’originale sovietico continua a esser più resistente della nuova celluloide russa.

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