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23/02/2019

Atto XV: lezioni francesi


La “marea gialla” ha superato il suo terzo mese di mobilitazione permanente, ed è il movimento politico-sociale più longevo che ha conosciuto la storia repubblicana della Francia, eccezion fatta – ma si trattava di una dinamica diversa – per l’appoggio alla lotta anticoloniale del popolo vietnamita, o le mobilitazioni “per la pace in Algeria”.

Intellettuali e Potere

Macron e la sua maggioranza governativa non stanno disdegnando alcun mezzo per cercare di far cessare questo movimento, aiutati in questo da una serie di operatori dell’informazione – soprattutto televisiva – e da “intellettuali organici” al proprio entourage, che hanno volentieri indossato l’elmetto nella guerra mediatica per la costruzione scientifica del nemico, stigmatizzando negativamente a tutto tondo i GJ.

I “nuovi mandarini” d’Oltralpe stanno conducendo una vera e propria battaglia culturale a favore delle élites tesa a riaffermare il proprio “etno-centrismo” di classe e la sua narrazione tossica della realtà, visto l’approfondirsi della perdita di egemonia e il riemergere di una visione del mondo in cui torna centrale il mutuo appoggio, l’azione collettiva e l’identificazione in un Peuple che, come ci ha insegnato Tano D’Amico, cambia la percezione di sé, non solo nel senso della sua raffigurazione.

Per comprendere il clima mefitico che si respira nell’Esagono, basti pensare che il Ministro dell’Interno Castaner, nella versione francese del celebre format televisivo “au tableau”, di fronte a degli alunni del set televisivo ha spiegato – legittimandolo – l’uso delle varie “armi non letali” in uso alle forze dell’ordine francesi tra cui, l’LBD, senza nascondere che si tratti di dispositivi pericolosi, mostrando i punti del corpo a cui il personale poliziesco è autorizzato a mirare!

Alla domanda degli alunni – che prevede una risposta obbligatoria da parte dell’improvvisato professore della trasmissione televisiva – su cosa succederebbe se questi dispositivi fossero soppressi, Castaner ha risposto: “Se tu togli [ai poliziotti, NdA] i lacrimogeni, che permettono di tenere a distanza, se tu gli togli gli altri mezzi come l’LBD, ci sarebbe maggior contatto, e ci sarebbero degli scontri che farebbero più male.”

Ecco giustificato lo stillicidio di feriti gravi e mutilati avuto negli ultimi mesi di fronte a dei bambini delle elementari!

Ma anche i media italiani non sono migliori. Non è stata riportata, per esempio, la notizia della manifestazione di più di mille gilets jaunes di fronte alla sede dell’ONU a Ginevra, per denunciare ciò che potremmo definire “lo stato di polizia” in Francia; così come sono state ignorate le puntuali denunce di Amnesty, Lega dei Diritti dell’Uomo, Eurodeputati e ONU che si sono accumulate in questi mesi, oltre ai numerosi appelli del mondo politico culturale.

Chiaramente la questione dei diritti civili violati viene mediatizzata solo quando – talvolta artefatta – si tratta di preparare il terreno per legittimare una azione bellica nelle sue varie forme, sia essa un'aggressione militare, si articoli in sanzioni economiche o si configuri come un ingerenza esterna nei confronti di “regimi” competitor od antagonisti a UE e USA.

Quando non sono direttamente uomini e donne dell’entourage macroniano, che si producono in performance durante i vari talk-show, in interviste o semplicemente tweettando le loro perle di saggezza in stile Maria Antonietta, sono i conduttori televisivi a prodigarsi nella guerra ai GJ; come Yves Calvi, che su “Canal+” ha parlato di una “radicalizzazione nella radicalizzazione”, sparando a zero sui GJ con un furore propagandistico che ricorda più l’Inquisizione durante i processi alla stregoneria che un opinion maker del “Paese dei Lumi”.

In questa galleria degli orrori non possono mancare il vecchio direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, secondo cui “indossare un gilet giallo è ricoprirsi di vergogna”, e le affermazioni dell’ex ministro del governo Hollande, Manuel Valls, ora candidato sindaco a Barcellona. Questo campione dell’anti-indipendentismo catalano, che non ha disdegnato scendere in piazza con VOX – la formazione dell’estrema destra spagnola – il 21 febbraio in un intervista a RTL ha dichiarato senza mezzi termini che “bisognava colpire duro sin dall’inizio“, dicendosi favorevole alla proposta di vietare le manifestazioni, cioè di fatto – aggiungiamo noi – di instaurare “l’etat d’urgence”.

Questa richiesta è una proposta che “il partito dell’ordine” ha fatto propria – allineandosi ad alcune associazioni di categoria delle forze dell’ordine – e che da mesi torna ciclicamente alla ribalta come uno spettro che incombe sugli ormai residuali margini democratici nel Paese dei “diritti dell’uomo”.

Fortunatamente ci sono anche “intellettuali organici” che invece stanno svolgendo un inestimabile lavoro di inchiesta e di valorizzazione del movimento.

Il simbolo forse più conosciuto e meritorio di questo profilo è senz’altro François Ruffin, con una lunga esperienza di giornalismo indipendente alle spalle, ispiratore delle “Nuit Debout” – le mobilitazioni contro la Loi Travaille durante il governo Hollande – e poi della “Festa a Macron”, ora deputato della France Insoumise per la Somme, dal primo momento attivo nel movimento.

Insieme a Gilles Perret, l’autore di “Merci Patron”, ha girato sui GJ il documentario “J’Veux du Soleil” – uscirà i primi di aprile – di cui si sta svolgendo un tour di pre-visione, con relativo dibattito; e ha pubblicato “a sorpresa” questa settimana un libro che è un pugno nello stomaco alla politica di Macron, “Ce Pays que tu ne connais pas”, edito da Les Arènes. Una inchiesta puntuale e documentata di come vivono i ceti popolari e dell’ignoranza sostanziale del “Presidente dei Ricchi” sulla condizione reale del popolo che dovrebbe rappresentare.

Questo volume, che “Reporterre” ha potuto leggere in anteprima recensendolo in “Ruffin face à son destin”, è un atto d’accusa in cui l’instancabile giornalista si rivolge a Macron: “voi incarnate la corruzione; la corruzione non individuale, ma la corruzione di un sistema, inquinato, mité, di una democrazia decrepita, divorata dall’oligarchia, così sicura della propria forza che insedia un suo banchiere all’Eliseo [...] siete il loro cagnolino, vi tengono per il guinzaglio”.

Con il movimento dei GJ “la vergogna privata è divenuta una collera pubblica”.

E lui, Ruffin, si muove scaltramente tra le pieghe del reale avendo “fiutato” ben prima del 17 novembre cosa stesse bollendo in pentola; e sa che la soluzione alternativa non può riposare ad un presidente “altro” dentro la cornice istituzionale della Quinta Repubblica, come alcuni vorrebbero tra l’altro spronandone la candidatura.

Diciamo che problematizzare il proprio ruolo, dal punto di vista etico e politico, non è cosa da poco al giorno d’oggi, quando la notorietà e la possibilità d’ascensione ad un qualche ruolo di potere fanno schizzare alle stelle il proprio ego.

“Essere fedeli a sé stessi, inventarsi un ruolo personale, bisogna rianimare l’anima del popolo” sono le conclusioni che lui trae, come tutti coloro che si interrogano sinceramente su quale possa essere la propria funzione “intellettuale” all’interno del processo di cambiamento.

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Antisionismo e antisemitismo

Una lunga video-intervista di “Le Point” al filosofo Finkielkraut, contestato da alcuni GJ durante l’Atto XIV a Parigi per il suo acceso filo-sionismo teso a giustificare la politica dello stato d’Israele – su cui i media francesi hanno costruito la fake news di insulti anti-semiti ripresa quelli italiani – ha “vomitato” letteralmente il suo odio di classe, dicendo esplicitamente che: “i gilets jaunes sono divenuti una setta”.

Ripeto: siamo al livello della demonizzazione del proprio nemico politico e sociale, come se fossimo alla vigilia della strage di San Bartolomeo!

La classe politica dirigente francese ha subito preso la palla al balzo, dopo sabato, per cercare di far passare il concetto che dietro alla critica al sionismo si nasconda “una forma occulta di antisemitismo moderno”, che dovrebbe essere sanzionata per legge, oltre a tacciare di presunto antisemitismo il movimento dei GJ, riprendendo in questo caso la sovra-mediatizzazione di alcuni episodi marginali precedenti di cui si sono resi protagonisti alcuni esponenti del fascismo “identitario” che hanno cercato più volte di infiltrarsi nel movimento per guadagnare visibilità.

Un articolo di “Mediapart” di René Backmann si spinge giustamente a dire che Macron è sulla stessa lunghezza d’onda di Netanyahu sull’“antisionismo”. Il presidente “dei ricchi” chiama il leader israeliano “Cher Bibi” ed aveva già dichiarato proprio in sua presenza, nel luglio del 2017, per la commemorazione dei rastrellamenti del Vél d’Hiv – uno degli episodi più orrendi del governo collaborazionista del Maresciallo Petain – che “noi non cederemo nulla all’antisionismo, perché è la forma reinventata di antisemitismo”.

Una affermazione del tutto fuori contesto, in odore di revisionismo storico...

Francis Kalifat, alla cena annuale del CRIF – il consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia, di cui è presidente – si è unito questa settimana al coro liberticida nei confronti del diritto di manifestazione suggerendo “misure drastiche per fare cessare queste manifestazioni che non servono più a rivendicare il potere d’acquisto, ma ad esprimere l’odio per le istituzioni, la Repubblica e gli ebrei”.

Nel tentativo di fatto di blindare le critiche verso la politica dello stato d’Israele ha anche dichiarato che: "lo ‘sporco ebreo’ di ieri è divenuto lo ‘sporco sionista’ di oggi”.

Basterebbe leggere una delle quattro principali ricerche scientifiche sui GJ di cui i quotidiani hanno dato notizia, e che abbiamo puntualmente ed abbondantemente citato negli interventi precedenti, per rendersi conto che i temi propri della destra sono meno che marginali all'interno del movimento e che siamo ben lontani da quell’orda reazionaria di massa dipinta dai media nostrani.

Il governo francese, fortemente implicato nella guerra in Yemen per gli stretti rapporti che intrattiene con l’Arabia Saudita, è altrettanto allineato alla peggiore destra israeliana nel perseguire una politica anti-palestinese, ed in questo momento di difficoltà non può che appoggiarsi a un asse politico che giustifica il colpo di stato in Venezuela, l’occupazione della Palestina e la strage di civili in Yemen.

Il “liberismo autoritario” (altro che “campo progressista”!), di cui Macron è uno dei principali esponenti, per ciò che riguarda la politica estera si dimostra ferocemente reazionario.

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Macron campione dell’antifascismo?

Lo scioglimento di tre gruppi dell’estrema destra deciso da Macron – tra cui il gemello di “CasaPound”, ovvero il Bastion Social – non è stata riportata per nulla correttamente dai media italiani, che hanno sbrigativamente fatto del Presidente una specie di “campione” dell’antifascismo.

Questa decisione era stata presa già a dicembre, in base all’articolo 212 del “codice della sicurezza interna”, per incitazione alla costituzione di un gruppo armato.

Il BS è nato dalle ceneri di un altro gruppo dell’ultra-destra francese, il GUD, nell’estate del 2017. I suoi membri erano costantemente monitorati dai RG – i servizi segreti francesi – che si sono allertati per il tentativo – solo parzialmente riuscito – di utilizzare l’appuntamento parigino per l’Atto III, il primo dicembre, per avere un “palcoscenico” per farsi pubblicità negli scontri, come desiderava il capetto strasburghese Valentin Linder.

È però l’azione militante degli Antifa francesi, organici al movimento, a permettere di difendersi ed espellere la destra identitaria da questo movimento di massa; destra ora molto più orientata a dare man forte alle forze dell’ordine nelle aggressioni ai militanti d’estrema sinistra, che non a “scontrarsi con la polizia”.

I neofascisti d’Oltralpe sono particolarmente attivi nelle aggressioni e servono da “utili idioti” all’entourage macroniano per dipingere questo movimento di massa con i tratti di un movimento reazionario, razzista e antisemita, anche se lo Stato è costretto a monitorare i movimenti della galassia della destra radicale perché non si autonomizzino o trascendano, nella la propria azione “funzionale”, arrivando all’omicidio politico o alla formazione di gruppi para-militari. Ipotesi piuttosto concreta, visto il recente omicidio di Clement Méric o le recenti inchieste nell’ottobre 2017 contro otto persone sospettate di avere costituito una cellula terroristica il cui nome si rifaceva espressamente all’OAS.

Diciamo che l’annuncio macroniamo è una ennesima boutade, fatta in un contesto teso a farne il campione della battaglia contro il pregiudizio anti-ebraico, e per costringere a più miti consigli le frange dell’ultra-destra che non vogliono stare nel limite dei ruolo affidatogli dal potere.

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I martedì dell’“emergenza sociale” e le manifestazioni dell’Atto XV

Anche questo martedì di “emergenza” sociale ha visto il sindacato CGT e GJ uniti, bloccando il cuore dell’economia, prendendo di mira porti, depositi petroliferi e raffinerie in differenti punti dell’Esagono.

La vulgata macroniana dipinge il movimento come il fondo del barile degli strati meno eruditi, ma la sua intelligenza collettiva gli fa colpire lì dove fa più male, con buona pace del governo.

Anche questo sabato le giacche rosse del sindacato hanno invitato a partecipare alle mobilitazione dei gilets jaunes, e la convergenza si è trasformata in vera e propria unità d’azione dalla regione parigina a Marsiglia, da Tolosa a Bordeaux...

A Parigi ci sono stati cinque concentramenti “dichiarati” ed uno degli obiettivi è una marcia nei quartieri-bene che dovrebbe terminare di fronte alla sede del padronato francese.

Sulle giacche gialle sono apparse numerose scritte contro il razzismo e l’antisemitismo, com’è costretto ad ammettere “Le Monde” pubblicando un tweet di Aline Lecrerc, che cita le tradizionali richieste dei GJ: “potere d’acquisto, fine dei privilegi, referendum di iniziativa cittadina”...

La manifestazione dovrebbe concludersi a piazza Trocadero.

Eric Drouet, insieme ad altri GJ, si è recato in mattinata al salone dell’Agricoltura inaugurato da Macron. Mentre il Presidente pronunciava il suo discorso rassicurante nei confronti della filiera agricola i GJ hanno tentato una contestazione.

J. Rodrigues, figura di spicco dei GJ, gravemente ferito alcune settimane fa nella capitale, ancora oggi a Parigi, intervistato da “RT-France” ha invitato i giovani ad unirsi alla mobilitazione: “il numero farà la differenza e non potranno che cedere. E’ importante che siamo visibili, se tornassimo a casa, spariremmo”. Ha poi aggiunto: “abbiamo appena iniziato il lavoro [...] Hanno talmente distrutto la Francia in quarant’anni, e non sarà in tre mesi che riusciremo […] Quando incominceranno ad accettare le nostre rivendicazioni ci sarà lavoro per tutti [...]"

A Clermont-Ferrand c’è stata una delle più importanti mobilitazioni, con un dispositivo poliziesco “eccezionale” ed un centro cittadino che nel pomeriggio ha chiuso esercizi commerciali, parchi ed edifici pubblici, con spettacoli e concerti annullati come se si trattasse di un coprifuoco durante una occupazione militare.

Bordeaux è stata uno degli epicentri del movimento, a causa della “gentrificazione” della città, trasformata in poco tempo da centro regionale in nodo rilevante di una rete continentale di centri urbani, vedendo schizzare alle stelle il valore degli immobili e diventando la seconda città più cara dell’Esagono. Questo processo ha costretto gli abitanti a cercare casa oltre la cerchia dei comuni limitrofi, ma anche a doversi spostare quotidianamente per lavorare nel centro cittadino; rendendo così indispensabile l’uso della vettura, con relativa congestione del traffico. Nel centro città, invece, ha iniziato ad insediarsi una classe medio-alta che ha ridefinito lo spazio urbano con le sue abitudini di vita, inaccessibili ai più.

Qualche dato: in dieci anni la città girondina ha visto salire del 40% il prezzo degli immobili, del 15% nel solo 2017, come riporta l’Union des syndacats de l’Immobilier.

Nel 2018 questa tendenza non ha rallentato, tanto che delle 81 città francesi che hanno conosciuto il maggiore incremento dei prezzi, tre sono dei comuni dell’area metropolitana di Bordeaux: il capoluogo con un più 12,7%, Mérignac con un più 13,6%, e Pessac con un più 16,4%.

Laurent Chalard, geografo all’università della Sorbona e specializzato in questioni della geografia continentale e della popolazione, ha dichiarato a Le Monde – in un inchiesta sulla città girondina, dove ogni sabato si manifesta – che queste fratture prodottesi nel corpo sociale hanno una precisa rappresentazione spaziale: “l’immagine è quella di una Bordeaux in crescita, che si imborghesisce, e il resto della popolazione si sente lasciata ai margini”. Sebbene la città sia sempre riuscita a rifuggire dalle criticità avvenute nei quartieri popolari delle altre aeree urbane dell’Esagono, ora le cose stanno cambiando, afferma Chalard: “ma queste tensioni provengono oggi dagli operai, gli impiegati, tutti coloro che sono percepiti come non facenti parte dei benefici del boom di Bordeaux”.

Priscilla Ludosky, insieme ad altre figure di spicco della protesta, ha partecipato ad un gigantesco picnic (erano più di 1100 persone secondo gli organizzatori) a Chambord, davanti al castello in cui Macron ha festeggiato i suoi quaranta anni nel 2017.

A Tolosa, altro epicentro della marea gialla, in mattinata un centinaio di GJ insieme ad Attac hanno bloccato il deposito di Amazon, impedendo le consegne. In uno dei volantini distribuiti si poteva leggere: “Emmanuel Macron vuol far pagare la transizione ecologica ai più poveri. Perché non far pagare i grandi inquinatori che devono già dei soldi alla società?”

Le forze dell’ordine nel pomeriggio agiscono contro i manifestanti già all’inizio dell’atto XV.

Ad Avignone, i manifestanti tentano di entrare sul Pont Saint-Bezenet dopo avere attraversato il centro cittadino.

A Grenoble, Julien Terrier, una delle figure di spicco del movimento ed un altro attivista sono stati posti in “guarde à vue”, in quanto avevano chiamato ad una operazione di “pedaggio gratuito” sulla A48, in un weekend che si annuncia molto trafficato.

“Cerveaux non disponibles” mostra i video di partecipate manifestazioni a Clermont Ferrand, Lille, Rennes, Nantes...

A Perpignan GJ e sindacati (CGT, FSU e Solidaires) hanno bloccato il supermercato Auchan la mattina. Come riporta “L’Indipendent”, il segretario della CGT del dipartimento ha dichiarato: “abbiamo voluto rimarcare un momento particolare affermando la nostra disapprovazione al progetto del primo centro commerciale automatico senza personale aperto 24 ore su 24. È simbolico ed è per questo che ci siamo voluti recare in questa zona commerciale. Se noi li lasciamo fare, a breve potranno essere soppressi 180.000 posti di lavoro. Questo progetto è indegno soprattutto per i disoccupati e per coloro che hanno un impiego.”

A Marsiglia, altro punto caldo della protesta, si è svolta una manifestazione nel centro cittadino che ha toccato la Plaine, dove la piazza più grande del centro è oggetto di lavori per un progetto di “gentrificazione”. Uno dei manifestanti ha dichiarato ad un giornalista della “Provence”: “oggi non siamo più in democrazia. Dal momento in cui diamo il potere a qualcuno, è tutto finito. Approvano delle leggi sulle nostre teste senza discuterne. Abbiamo bisogno di trasparenza e abbiamo bisogno soprattutto di misure dal e per il popolo.”

Immagini e video mostrano una alta partecipazione al corteo.

Sulla piazza della Prefettura a Montpellier, la polizia usa gli idranti antincendio nel tentativo di disperdere la folla. “France 3” riporta circa 4.000 manifestanti.

E questa non è che un report parziale fatto “in tempo reale” della giornata.

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Non sappiamo se i media francesi e quelli italiani, particolarmente proni a ripetere le menzogne della propaganda macroniana, decideranno di ignorare questa ennesima giornata di lotta che dimostra la vitalità del movimento, o inventeranno un episodio per screditarlo, oppure prenderanno un particolare irrilevante e marginale dandogli l’attributo di “carattere generale”: ormai, alle castronerie contro i GJ, manca all’appello solo l’accusa di pedofilia!

Ciò che sappiamo è che questo movimento sta mostrando un “rottura possibile” nell’assetto dell’autoritarismo liberale della UE e che nella sua direzione generale marcia in direzione esattamente contraria a quell’onda reazionaria e xenofoba creata – ed allo stesso tempo sfruttata – dalle forze del populismo di destra a livello continentale.

La marea gialla, ormai “gialla” e “rossa”, insieme al movimento catalano tornato dopo l’autunno scorso ad una grande vitalità con il recente sciopero generale e alle partecipatissime mobilitazioni, definiscono gli orizzonti di una possibile exit strategy radicale all’attuale ordinamento polito sociale “ingabbiato” dalla UE.

Se la sinistra nostrana, che ha fatto del “politicismo” la sua ragion d’essere, è cieca di fronte a questo, mostra in tutta evidenza il proprio scarso valore d’uso a chi si pone come obiettivo la trasformazione dell’esistente ed una rappresentanza politico-sociale degna di questo nome.

Anche il “populismo di sinistra”, nella sua forma più nobile, se non si adatta alle forme del movimento reale e non si trasforma in “delegato politico” delle istanze che scaturiscono dal magma sociale, perde la sua funzione di catalizzatore, in termini di consensi anche elettorali, del sentimento di riscatto dei subalterni, e rischia la marginalità o l’implosione. Reinventarsi o perire è la probabilmente “la linea di condotta”, stando dentro le contraddizioni reali che sono il motore reale della Storia e non un particolare marginale da mettere tra le “varie ed eventuali” dell’agenda politica.

Quando l’azione collettiva riemerge in superficie come un fiume carsico dando forma alla lotta di classe del XXI secolo, spazza la palude melmosa della politica dell’ordinaria amministrazione e dei compromessi al ribasso tipiche delle alchimie di un ceto politico residuale alla canna del gas.

Per parafrasare un cattivo maestro, probabilmente non abbiamo bisogno di una opposizione credibile in preda alla bulimia tattica, ma di una incredibile opposizione credibile agli occhi del blocco sociale perché i gilet gialli sono tra noi.

Altre strade non sono percorribili, all’oggi, se non vogliamo condannarci ad un suicidio politico foriero di pesanti ripercussioni per il futuro.

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