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11/02/2019

In nome della democrazia, ignorando le lezioni della storia. La questione Venezuela

di Angelo d’Orsi

Il Venezuela troneggia sulle prime pagine, ancora. Ed è diventato argomento da bar. Quanti nostri concittadini sapevano qualcosa di questo grande paese latinoamericano? Ora sono tutti pronti a dire la loro, imbeccati opportunamente dagli influencer, ma senza dedicare una mezzora a studiare la questione. L’insegnamento di Gramsci (“studiare approfonditamente le questioni prima di parlarne”) è completamente disatteso: del resto, i primi a non sapere nulla sono gli opinionisti, che infatti giganteggiano sui media, mentre gli esperti vengono tenuti alla larga. Quanti di coloro che stanno firmando un appello a Mattarella in queste ore perché il governo italiano riconosca il golpista Guaidó sanno che cosa è accaduto in Venezuela in questi anni? Quanti hanno cognizione delle leggi venezuelane, a cominciare dalla Costituzione Bolivariana? E così siamo davanti ai due partiti: Guaidó vs. Maduro, e viceversa, e spesso anche dalla parte del secondo gli argomenti appaiono generici e mere petizioni di principio, per giuste che siano. Le tifoserie occupano il campo, “a prescindere”.

Intanto, forte della infelice, scorretta esternazione del Presidente della Repubblica, che ha invitato l’Italia a “raccordarsi” con l’Unione Europea, ossia ad aderire alla mozione passata nel Parlamento dominato da una solida maggioranza di destra, il PD, addirittura sta per presentare una interpellanza parlamentare, pronto ad allearsi, come sul Tav, con l’altra destra (il PD è un partito che con la sinistra non ha più nulla a che fare): una mozione di sostegno al giovane autoproclamato presidente venezuelano. Siamo davvero a un passo dalla follia, il “cupio dissolvi” di quel partito ogni giorno ci riserva una bella sorpresa.

Possibile che solo Gennaro Carotenuto, sul suo blog, e qualche articolo della stampa internazionale ripreso dal Manifesto, o da qualche sito semiclandestino, ci spieghino le cose come stanno? Che Guaidó si è autoproclamato presidente in un comizio di partito, senza votazione, senza verbale, senza alcuna sanzione giuridica? Che, egli, comunque, a prescindere dalle modalità con cui è giunto a diventare presidente ad interim, secondo la legge doveva indire elezioni entro un mese e farsi da parte? E che ora, contro la legge, ha prorogato il “mandato” che nessuno gli ha conferito per un intero anno? E quanti sanno che il suo ingresso in scena è stato determinato da una telefonata della Casa Bianca? E vogliamo ricordare che il Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere del mondo? Non sarà per caso il petrolio, invece che la democrazia l’obiettivo di Trump?

La politica dell’America Latina come cortile di casa degli Usa, sta ottenendo straordinari risultati, non c’è che dire. Resta Cuba, il Messico, felicemente giunto a Lopez Obrador, l’Uruguay, in parte la Bolivia, e, con le sue pesanti contraddizioni il Nicaragua: che altro?

Concentrandosi sul Vecchio Continente, sconcerta il suicidio dell’Unione Europea, che sulla questione Venezuela ho dimostrato due fatti incontrovertibili: 1) la mancanza di autonomia nelle proprie scelte, e la sua pietosa sudditanza alle decisioni di Washington; 2) l’incapacità di agire come soggetto in grado di influenzare le vicende della politica internazionale.

Che il Venezuela chavista fosse in difficoltà è pacifico. Fin dagli ultimi anni di Hugo Chavez, lo era, sia per errori nella conduzione politica, specie di politica economica, sia, non dimentichiamolo, per l’ostilità della vicina Colombia, mandatario di Washington, che provocava tra l’altro un enorme afflusso di profughi (almeno 5-6 milioni) che venivano accolti da Caracas, pure in una società che mostrava i segni di una crisi avanzata. Con Nicolás Maduro la situazione è rapidamente peggiorata, e il ricorso alle maniere forti da parte del presidente non è servito a rafforzare l’opposizione, la quale come in Brasile, o in Colombia, detiene un sostanziale controllo dei mezzi di informazione. Una opposizione che alla violenza del potere ha contrapposto una ferocia inusitata, tradotta in attentati incendiari, in esecuzioni di militari e militanti chavisti, e una campagna mediatica forsennata.

Fino a che è spuntato questo rampollo della borghesia, individuato da Washington, per il tramite di Luis Almagro, ex ministro degli Esteri dell’Uruguay, cacciato da quel ruolo e dal Fronte Amplo al governo a Montevideo, finito alla guida dell’OEA o (OAS, in inglese: l’Organizzazione degli Stati Americani) il trentacinquenne Guaidó, coniglio fuoruscito dal cappello, è stato individuato come la persona “adatta” a fare il colpo. Colpo, che in spagnolo suona “golpe”: e di golpe si è trattato, con buona pace del sedicente giornalista che sulla Stampa ha sentenziato che quello di Guaidó non è un golpe perché lui non è un militare! I dirigenti di alcuni Stati europei, guidati dalla nuova coppia di ferro Germania-Francia, che hanno lanciato un “ultimatum” a Maduro, non si rendono conto del ridicolo: e Maduro che cosa poteva fare se non respingerlo, come ingerenza negli affari interni?

Invece di farsi parte attiva di un processo che aiuti il Venezuela a uscire da questa situazione, con la inerte, e incompetente Mogherini (“Alto commissario per la politica internazionale” della UE) che propone di inviare aiuti umanitari dopo che si è perseguito per anni il blocco per affamare il paese e mettere in difficoltà Maduro... la UE non esita, nell’immediato schieramento: con Washington fino alla morte!

E così l’Occidente mostra altri aspetti del proprio inesorabile “tramonto”, enunciato poco meno di un secolo fa da Oswald Spengler, sia pure in una prospettiva che certo non è la mia. La memoria corta, o se si preferisce l'ignoranza dei fattori della storia, sono cattivi consiglieri. E andiamo ora di nuovo in crociata, lietamente, ad abbattere un altro tiranno. Il nostro carniere di guerrieri democratici vanta già ricche prede: Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Muhammar Ghedddafi... Con Assad ci è andata male, perché il tipo si è rivelato più ostico di quanto non si fosse sospettato (sulla base di scarsa informazione) e perché, ora, la Russia (e più defilata, la Cina) costituisce un vero contraltare rispetto agli Stati Uniti. Sicché lui è ancora in sella, più forte di prima, ma abbiamo ridotto il paese in cenere, o quasi. Abbiamo aiutato i terroristi dello Stato Islamico, dando loro armi e denaro, come avevamo già fatto in Afghanistan con i Taliban, e siamo responsabili delle centinaia di migliaia di morti, di senza tetto, di affamati che popolano un paese che come l’Iraq era sostanzialmente in buone condizioni di salute.  E intanto non cessiamo di vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi per fare la guerra allo Yemen, e il papa, in una temeraria visita proprio negli Emirati, si appella alla pace e al rispetto fra i popoli e le religioni, tacendo della guerra sterminazionista allo Yemen. Quello stesso papa che peraltro lancia un messaggio per la soluzione pacifica in Venezuela, offrendosi come mediatore: e ottiene risposta solo dal trinariciuto Maduro, “l’ultimo dittatore comunista”, secondo la etichetta di Salvini, con cui Guaidó è in eccellenti rapporti... Analoga sorte aveva avuto un paziente lavoro di tessitura diplomatica portato avanti per un biennio da parte di Jorge Luis Zapatero; quando l’intesa fu raggiunta l’opposizione sedicente democratica rinnegò l’accordo, convinta di avere dalla sua la superpotenza. E così è stato, in effetti.

Insomma, le lezioni della storia non vogliamo proprio apprenderle. Non è bastato, alle classi dirigenti euroamericane (classi dirigenti, non solo quelle politiche e specificamente governative, ma anche gran parte delle élite intellettuali e la totalità dei ceti imprenditoriali), trasformare paesi come la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan, e in parte la Siria, in luoghi dove la vita non vale ormai neppure un centesimo, dove nulla sembra avere un senso, dove tutti combattono una loro guerra ormai persino priva di obiettivi. Dobbiamo andare avanti su questa linea scellerata, dunque? E dopo aver assistito in silenzio al golpe giudiziario contro Lula, in Brasile, che ha portato al potere un fascista fatto e finito come Bolsonaro, che annunciava agghiaccianti proclami estranei non solo alla democrazia ma all’umanità, ora vogliamo detronizzare Maduro, col piccolo golpe politico-mediatico del giovin signore Guaidó, che non pochi commentatori disinvolti hanno già “kennedizzato”: il JFK venezuelano...

Sempre tutto, naturalmente, per “portare la democrazia” tra i barbari che non hanno questo privilegio.

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