Nel dibattito di questi giorni sul
reddito di cittadinanza si è sottolineato, da più parti, che tale misura
avrebbe come effetto collaterale indesiderato quello di scoraggiare i
disoccupati dalla ricerca di un posto di lavoro.
L’accorato allarme è stato lanciato da
diversi dei soggetti coinvolti nelle audizioni informali che si stanno
tenendo al Senato. Tra i primi a suonare il campanello d’allarme
troviamo Pierangelo Albini di Confindustria, a capo dell’area Lavoro e
Welfare dell’organizzazione padronale. Ai senatori della Commissione
Lavoro ha voluto sottolineare
che “i 780 euro mensili potrebbero scoraggiare dal cercare un impiego
considerando che in Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30 si attesta a 830 netti al mese”. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dall’onnipresente Fondo Monetario Internazionale, che nel consueto report
sulla situazione del Paese ha affermato che il livello del reddito di
cittadinanza è troppo alto, addirittura “fissato al 100% della linea di
povertà relativa in confronto al 40-70% indicato nelle buone pratiche
internazionali”. Inoltre, l’immancabile presidente dell’INPS Tito Boeri ha parlato
di “rilevanti effetti di scoraggiamento”, in quanto quasi il 45% dei
dipendenti privati del Sud ha “redditi da lavoro netti inferiori a
quelli garantiti dal reddito di cittadinanza a un individuo che dichiari
di avere un reddito uguale a zero”. Infine, le ‘preoccupazioni’ di
Confindustria e Boeri sono state prontamente fatte proprie dal PD, nella persona della senatrice Iori.
I timori di tutti i soggetti citati,
senz’altro preoccupati, in maniera del tutto disinteressata, delle sorti
dei giovani e dei disoccupati, sono commoventi. Vogliamo, però, fare
qualche considerazione aggiuntiva.
In primo luogo, ci preme dare una notizia
a Confindustria, a Boeri e al PD: nel caso in cui non se ne fossero
accorti, gli scoraggiati, in altri termini quelli che in passato
venivano affettuosamente denominati come fannulloni o choosy,
che non cercano lavoro e, peccato capitale, stanno sul divano,
resterebbero tali anche senza il reddito di cittadinanza. Le ragioni per
le quali tali soggetti non cercano attivamente lavoro non sono da
ricercare nella scarsa voglia di lavorare, come vorrebbero alcuni, ma
nella contemporanea sussistenza di due condizioni strettamente
interconnesse che, reddito di cittadinanza o meno, dissuadono dalla
ricerca del lavoro. Da un lato, l’alta percentuale di disoccupati.
Dall’altra, le condizioni, retributive e non retributive (orari di
lavoro, precarietà, vessazioni, diritti sindacali ridotti al minimo),
che i ‘fortunati’ neo-assunti dovranno nella maggior parte dei casi
affrontare. Entrambe le condizioni, per quanto possano eccepire
Confindustria, Boeri, il PD e il Fondo Monetario Internazionale, sono il
risultato nefasto di più di un decennio di politiche di austerità proprie
dell’impianto dell’Unione Europea volte a deprimere la domanda
aggregata e i salari reali, con il contestuale peggioramento delle
condizioni di vita di milioni di lavoratori, disoccupati e scoraggiati.
Gli oppositori del reddito di
cittadinanza sembrano, inoltre, poco informati sulle norme fortemente
stringenti del sussidio: infatti, se non si cerca attivamente lavoro e
non si accettano le proposte di lavoro ricevute (in ultimo, su tutto il
territorio nazionale), si perde il diritto a percepire il reddito di
cittadinanza. Questa condizionalità,
che è un inasprimento delle norme che regolavano l’erogazione del
sussidio di disoccupazione noto come NASpI e fa parte di una strategia
politica di riduzione dei lavoratori a pedine mobili alla mercé delle esigenze del mercato unico europeo, è
già di per sé, nell’architettura del reddito di cittadinanza,
sufficiente a limitare l’effetto scoraggiamento tanto sbandierato dal
codazzo liberista.
Veniamo poi ad un altro aspetto
evidenziato dai preoccupatissimi osservatori: il reddito di cittadinanza
garantirebbe, a loro dire, un reddito troppo alto, perché maggiore dei
salari da fame che i disoccupati troverebbero sul mercato del lavoro, o
di quanto guadagnano attualmente gli occupati. Ora, è assolutamente vero
che in molti casi il reddito di cittadinanza pagato ai disoccupati
potrebbe rivelarsi maggiore dei salari ottenibili sul mercato del
lavoro. Anche qui, però, il problema non è il reddito di cittadinanza:
il problema è che lo stipendio mediano dei giovani under 30 sia pari a 830 euro netti al mese e che il 45% dei lavoratori meridionali guadagni meno di 780 euro al mese.
Ancora una volta, in altre parole, le
preoccupazioni di Confindustria e di Boeri sono rivolte in una sola
direzione: quella di garantire manodopera a buon mercato agli
imprenditori. Il ricatto del
reddito di cittadinanza, evidentemente, non basta. Il vero obiettivo
del ‘partito dell’ordine’ liberista è l’abbassamento del salario. Gli
attacchi di Confindustria e seguaci sono infatti tutti rivolti al
livello del reddito di cittadinanza più che al meccanismo di
condizionalità in sé. Il sogno proibito della classe padronale viene
allora chiaramente alla luce, ed è quello di poter disporre liberamente
di una schiera di schiavi sottostanti a un duplice ricatto: quello della
condizionalità e quello di un livello salariale che a malapena
permetterebbe loro di sopravvivere.
Se non altro, comunque, il vespaio
creatosi attorno al reddito di cittadinanza ci offre ragioni in più per
imparare a diffidare sia del Governo gialloverde sia dei suoi
interessati oppositori. Da un lato, tutte le insidie
insite nei meccanismi di condizionalità. Dall’altro, una Confindustria
che, non paga della condizionalità, strepita ad ogni occasione per un
ulteriore abbassamento del salario medio, attaccando l’entità del
sussidio: il non plus ultra per la classe capitalista è il meccanismo di workfare
del reddito di cittadinanza, che consiste nell’elargizione di briciole
di stato sociale in cambio della disponibilità a lavorare a qualsiasi
condizione. Tale meccanismo è incarnato dal ricatto della
condizionalità, ma con un’asticella sempre più bassa, perché dal loro
punto di vista abbassare il sussidio significa, in ultima istanza,
spingere ancor più al ribasso il salario medio. In un contesto di alta
disoccupazione in cui le rivendicazioni salariali sono già deboli, tale
sussidio potrebbe funzionare da attrattore verso il basso per i salari
più alti senza diventare attrattore verso l’alto dei salari più bassi,
perché lo Stato compensa la differenza tra il salario pagato
dall’imprenditore e l’importo spettante al lavoratore in virtù del
reddito di cittadinanza.
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