di Stefano Mauro
Il Libano ha da una settimana un nuovo governo.
Dopo nove mesi di tensioni tra le due diverse correnti politiche – l'“8
marzo” (Hezbollah, Amal, Partito Comunista Libanese, Corrente
Patriottica Libanese di Aoun ed il partito sunnita “Blocco
dell’Incontro”) e il “14 marzo” (i sunniti di Mustaqbal del primo
ministro Hariri, i maroniti delle Forze Libanesi di Samir Geagea ed i
drusi di Jumblat) – si è trovato un accordo per la formazione del
governo.
Il nuovo esecutivo, guidato dal premier sunnita Saad Hariri, conta in tutto 30 ministri con 4 donne
– una novità – che occupano anche due ministeri di peso come quello
degli interni e quello dell’energia. Un “governo di unità nazionale” che
ha accontentato tutte le forze politiche e confessionali del paese, nel
rispetto di una costituzione che suddivide il numero dei ministeri e
delle cariche istituzionali su base confessionale, retaggio del passato
coloniale francese.
L’ultimo ostacolo era legato alla richiesta del “Blocco dell’incontro”, raggruppamento politico sunnita opposto al partito Mustaqbal di Hariri e alleato di Hezbollah,
che richiedeva un ministero. Istanza ottenuta grazie alla mediazione
del Direttore Generale della Sicurezza, Abbas Ibrahim, incaricato da
Aoun di portare avanti i colloqui ad oltranza per la formazione del
governo. La Corrente Patriottica Libera (Cpl), ed i suoi alleati sciiti
di Hezbollah e Amal mantengono una maggioranza all’interno
dell’esecutivo – grazie alla vittoria elettorale delle parlamentari di
maggio 2018 – con 11 ministeri per il Cpl, 3 per Amal e 3 per Hezbollah.
Il nuovo esecutivo nasce “già in salita” perché avrà 30
giorni di tempo dalla sua formazione per firmare la propria legge
finanziaria, con l’obiettivo di dare un deciso rilancio all’economia
nazionale che ha raggiunto un debito pari a circa il 150% del PIL.
La stessa agenzia di rating Moody’s aveva declassato a gennaio il paese
considerando “numerose carenze strutturali e l’alta possibilità di un
default”.
Ad una settimana dalla sua formazione la stampa libanese ha
accolto il nuovo governo senza troppi entusiasmi, a causa soprattutto
dell’estenuante impasse politica legata ai singoli interessi di tutte le
confessioni all’interno del panorama politico libanese.
Richieste e veti incrociati che, come accaduto nel 2011 e nel 2015,
hanno causato, “un rallentamento della vita istituzionale del paese con
l’attesa di quasi un anno per la formazione di un esecutivo”, come
scritto sul quotidiano Al Akhbar.
Altro fattore che ha influito, in maniera considerevole, nella
formazione del nuovo governo sono state le pressioni internazionali per
alimentare tensione tra i due diversi schieramenti politici. Secondo il
quotidiano online Rai Al Youm la stessa operazione
israeliana “Margine settentrionale”, con la scoperta dei tunnel
costruiti da Hezbollah nella guerra del 2006, aveva come obiettivo
quello di creare divisioni e fratture tra il partito sciita ed il suo
principale alleato la Cpl di Aoun: tentativo fallito con la formazione
del nuovo governo.
L’amministrazione Trump, in sostegno alla politica di Tel
Aviv e Ryadh contro l’Iran ed Hezbollah, ha mal digerito la formazione
del nuovo governo ed il recente boicottaggio libanese della conferenza
di Varsavia per la creazione di una “Nato Araba” in funzione
anti-iraniana. Il vice-segretario americano al Tesoro per la lotta contro il finanziamento del terrorismo, Marshall Billngslea,
in visita a Beirut la scorsa settimana, ha immediatamente lanciato un
monito al governo Hariri . “Se vedremo che Hezbollah tenterà l’utilizzo
dei propri ministeri (in riferimento a quello della Sanità, ndr) per
far passare denaro a sostegno delle proprie attività di terrorismo” – ha
dichiarato – “bloccheremo qualsiasi finanziamento a vostro favore ed il
governo libanese avrà seri problemi”.
Sintetica la risposta ufficiale di Hezbollah e del nuovo
ministro della Sanità, Jamil Jabak: “Il nostro compito è quello di
superare la corruzione, la crisi economica e sociale nel nostro paese
per il bene di tutti i libanesi, evitando le pressioni strumentali di
paesi esterni destabilizzatori”. Ultimo elemento di scontro con
l’esterno sono i continui sconfinamenti dell’esercito israeliano nello
spazio aereo e marittimo libanese. Il ministro degli esteri, Gibran Bassil,
ha dichiarato che Tel Aviv ha violato la sovranità territoriale per
1417 volte nel 2018 etichettando l’atteggiamento israeliano come “un
perenne affronto al nostro stato, in violazione della risoluzione 1701
dell’Onu”. Il Sriferimento è legato anche alla recente decisione
del governo Netanyahu di autorizzare una società straniera nello
“sfruttamento lungo il confine dell’area marittima nove” per
l’estrazione delle ricche risorse petrolifere e gassose offshore al
largo delle coste libanesi.
Un tentativo giudicato dal presidente del parlamento, lo sciita di
Amal, Nabih Berri, come “un’ulteriore riprova della volontà
espansionistica e colonizzatrice di Israele” visto che quell’area
“contesa” è già stata assegnata dal governo di Beirut ad un consorzio
formato dalla francese Total, dall’italiana Eni e dalla russa Novatek.
“L’atteggiamento di Tel Aviv” – ha concluso Berri – “è molto pericoloso
perché rischia di portarci ad un conflitto, anche armato, per la difesa
delle risorse del Libano”.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento