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12/02/2019

Sanremo. L’ideologia nascosta nelle battute di “Pio e Amedeo”

Quando l’atmosfera a Corte si fa più tesa, lo spazio satirico per il giullare si restringe, e il pericolo di sbagliare la battuta, quella che porterebbe alla sua sostituzione con un altro dell’esercito dei giullari di riserva, cresce notevolmente. Perciò, meglio stare in guardia e scagliare, sì, qualche frecciatina al Re, ma senza affondare troppo e chiudendo poi con una strizzata d’occhio e il più ipocrita dei “buon proseguimento”.

Catapultatevi all’oggi, e precisamente alla seconda serata del Festival di Sanremo, di scena il 6 febbraio al teatro Ariston, ascoltate l’intervento della coppia di comici Pio e Amedeo e capirete come, magari ogni tanto, alla storia capiti di ripetersi, in questo caso davvero come farsa.

Gli «scoppiettanti» (Corriere della sera versione online del 7 febbraio, che gli concede un bell’8 nel pagellone) comici foggiani offrono, in venti minuti, un sunto dell’ideologia a-conflittuale e deresponsabilizzante, con una punta di sano tradizionalismo, che domina la cultura di questo primo scorcio di secolo.

Che questo sia il livello della satira politica del paese, nella trasmissione pubblica (se non andiamo errati) più seguita dell’intera stagione, non è altro che l’espressione della tendenziale riduzione delle possibilità di opposizione alle politiche del Re della situazione, nella fattispecie, il ministro dell’interno italiano.

Che infatti gradisce la performance, e se l’oggetto della caricatura apprezza l’intervento del giullare di turno, o quello ha una faccia di bronzo degna del Cavaliere di Arcore, oppure si è solo portato acqua al suo mulino. In questo caso, propendiamo per la seconda.

Infatti, i concetti che emergono a un ascolto non passivo del pezzo del duo, dunque oltre ai sorrisi disinteressati che comunque alcuni passaggi possono suscitare, sono tre.

Il primo, è la più classica gag che pone al centro lo stato d’illegalità in cui vivono i “meridionali”, ché le tasse le lasciano pagare agli ingenui che ancora credono nello Stato e nelle sue funzioni, scenetta in cui non manca mai il “commercialista connivente”. Ma in un clima di attacco da più fronti al pur minimo ossigeno portato al sud dal Reddito di cittadinanza (ultimo in ordine di tempo, il Fmi), non sembra una genialata continuare ad alimentare stereotipi (tradizionali per definizione) senza affrontare i nodi centrali che strutturano la condizione, non certo a partire da oggi, di subalternità del mezzogiorno nei confronti del resto del paese.

Il secondo, è che Salvini oramai può tutto, persino decidere chi presenterà la successiva edizione del Festival. «Prima gli italiani», fanno dire “scherzosamente” Pio e Amedeo a Baglioni, in modo da potergli assicurare la terza edizione consecutiva della kermesse, e magari la loro partecipazione anche per il 2020. Come sempre, e specialmente in periodi di crisi, l’offerta di lavoro nel pubblico è scarsa e la domanda elevata, meglio quindi sfruttare le relazioni già create.

Per ultimo, su la maschera dell’ipocrisia e via con una passata di candeggina sulle contraddizioni della realtà odierna, oltre che sulle due mezze battute arrischiate sul palco. «Siamo tutti uguali perché siamo stati tutti bambini», dicono, e infatti «eravamo tutti un po’ guardie e ladri, a turno, per gioco. Poi da grandi, sentiamo questa strana esigenza di scegliersi un ruolo. Noi non lo sappiamo chi c’ha ragione, e sinceramente figuriamoci se noi scegliamo da che parte stare: non ci resta che augurare il meglio a quelli che prendono le decisioni importanti, e ricordare a tutti che siamo stati bambini. Non bisogna fare gli ultrà, bisogna solo tifare che si calmino le acque».

Lasciate stare i bambini, i giochi (non è tempo), le guardie e magari anche i ladri, e sfogliate un giornale a caso, anche solo alla pagina di cronaca: il cimitero chiamato Mediterraneo, le difficoltà di avere un tetto sulla testa, la repressione, la stampa muta, le morti bianche, il rifiuto dell’autodeterminazione, sia questa di un corpo o di un popolo.

Sinceramente, di acque calme ne vediamo fin troppe, di prese di posizione invece troppo poche, o tutte immancabilmente dalla stessa parte, quella del più forte (di turno), comunque tutti o quasi sempre pronti a saltare da una barca all’altra in caso di cambio in testa, tanto col mare piatto è più facile.

Ecco, se questa è la situazione, non ci resta che tifare tempesta. Sapendo bene da che parte sceglieremo di stare.

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