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11/02/2019

Abruzzo. Cinque Stelle in caduta libera, e noi che facciamo?

Il dualismo di potere non dura mai a lungo. Neanche quando è una più banale coabitazione conflittuale al governo di un paese in profonda crisi da un trentennio.

Le elezioni regionali abruzzesi hanno emesso una sentenza che conferma le peggiori proiezioni dei sondaggi, chiarendo però le dinamiche ondivaghe che attraversano l’Italia “profonda”.

I dati non sono equivocabili: il centrodestra raggiunge quasi il 50% (48), ma al suo interno è la Lega (27,5%) a coprire più della metà dei consensi raccolti dalla coalizione, con i berlusconiani fermi al 9,1% ed i “meloni” ad appena il 6,4 (nonostante fosse loro il candidato “governatore”).

Sopravvive solo grazie alle liste civiche il Pd (11,1%), sostenendo un vecchio democristiano maneggione come Legnini, in una coalizione che supera comunque il 31%.

Si squacquerano i Cinque Stelle, che precipitano in pochi mesi dal 40% dello scorso marzo al 20,2 attuale. Ovvio che il voto regionale sia più un voto “territoriale” (e clientelare), mentre il nazionale è più “d’opinione”, ma il dimezzamento è un po’ troppo pesante per essere spiegato in questo modo.

Vedremo la conferma tra 15 giorni, con le regionali sarde, poi non resterà che attendere il voto delle europee (massimamenete “d’opinione”) per avere la misura esatta dell’afflosciarsi della narrazione grillina.

Con qualche sforzo di autocritica alquanto insolito da quelle parti, la senatrice Elena Fattori ha ammesso che “Spostarsi a destra non paga. Abbiamo lasciato troppo spazio a Salvini, alle sue modalità comunicative. E gli elettori hanno scelto l’originale [..] Io dico da sempre che il Movimento è una realtà particolare, ha uno spirito eclettico e come tale va tutelato. Il fatto di aver lasciato così tanto spazio alle propaganda di Salvini e alle sue modalità di comunicazione è stato un errore. Il popolo pentastellato è più pacifico, dobbiamo mantenere il nostro stile comunicativo oltre che i nostri contenuti”.

Un’analisi non nata oggi, viste le critiche alla gestione del “capo politico” (dizione resa obbligatoria dalla legge elettorale Rosatellum) Luigi Di Maio, che hanno obbligato il più “movimentista” Alessandro Di Battista a rientrare velocemente dall’America Latina.

Il tracollo pentastellato era nelle cose e nella logica, lo andiamo dicendo da molto tempo. Le ragioni che ne hanno creato la rapidissima esplosione sono le stesse che ne producono l’altrettanto veloce crisi: un’ideologia vaga (né... né...), appoggio strumentale ad alcune vertenze territoriali (No Tav, No Tap, No Triv) o a certe follie complottistiche (No Vax su tutti), una narrazione sempliciotta sul “rispetto delle leggi” e la “riduzione dei costi della politica”.

Le promesse elettorali principali – su tutti il “reddito di cittadinanza” – hanno dato l’impressione di una qualche concretezza programmatica, peraltro molto “divisiva” (entusiasmo credulone al Sud, ostilità confindustriale al Nord), ma alla prova dei fatti (vedi il “decreto dignità”, ormai scomparso anche dalla lista delle “cose fatte” da rivendicare) impraticabili nel quadro attuale (tra veti Ue, ricaduta in recessione, mal di pancia leghisti supportati da piddini e CgilCislUil).

“Onestà” e “legalità”, che sembravano parole scolpite nel marmo, sono state velocemente messe in crisi dalla necessità – tutta e propriamente politica – di fare nuove leggi insieme al partito che più rappresenta (insieme a berlusconi e Pd) il mondo delle imprese che campano a ridosso della spesa pubblica (costruttori, concessionari, subappaltatori, ecc).

Accettare l’enfasi salviniani sull’“invasione degli immigrati” è stato infine un vero e proprio suicidio collettivo e assolutamente gratuito.

Evidente che questo crollo acceleri il redde rationem per il governo all’indomani delle elezioni europee, con la prevista e già definita estromissione dei Cinque Stelle dal governo.

Più incerta è la soluzione a breve termine. Teoricamente a Salvini converrebbe chiedere elezioni anticipate, ma il contesto di crisi in via di peggioramento rafforza enormemente sia la pressione Ue vera e propria che quella “interna” e istituzionale (Mattarella). Con i numeri parlamentari attuali, insomma, non resta che la soluzione del governo di centrodestra appoggiato da un gran numero di nuovi “responsabili”. L’identikit si adatta sia ai grillini preoccupati di perdere il seggio sia ai renziani ansiosi di andarsene da un’altra parte.

Dai risultati abruzzesi è assente qualsiasi “sinistra”, con qualsiasi aggettivo la si voglia accompagnare, tra rinunce volontarie e insuccesso nel raccogliere le firme.

Questa è la situazione con cui dobbiamo fare i conti e che non può essere aggirata con la stupidissima coazione a ripetere che chiama all’“unità” senza più neanche provare a dire “per fare cosa?

A noi sembrano infatti evidenti alcune cose:

a) il voto popolare non è più “proprietà” di nessuno. Non esistono “zoccoli duri”, e quel tanto di “appartenenza” che ancora sopravvive è esistente soprattutto a destra;

b) le alchimie, i calcoli “combinatori” che provano a sommare questo più quello più quell’altro sono assolutamente indigeribili per l’elettorato; gli “allargamenti” che stanno nella testa dei piccolissimi leader di microscopiche formazioni non corrispondono a nessuna dinamica sociale (proprio perché le “appartenenze” sono ormai aleatorie), anzi...;

c) senza un’idea chiara di quel che si vuol fare, nel paese e per il nostro “blocco sociale” non esiste alcuna ragione per essere votati.

Se è così, come ci sembra, allora è necessario che le soggettività migliori nel nostro campo – a partire da Potere al Popolo, naturalmente – iniziano immediatamente a ragionare sul programma politico-sociale con cui organizzare e farsi riconoscere dalla nostra gente. I temi stanno lì davanti a noi, nessuno – assolutamente nessuno, nel panorama politico nazionale – fa neppure finta di volerli far propri.

Il tracollo dei Cinque Stelle ci chiama a farci avanti, ad alzare lo sguardo dalle nostre miserie passate e a dire come pensiamo di risollevare la nostra gente e questo disgraziato paese.

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