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12/02/2019

Iran - 40 anni di rivoluzione e un nuovo isolamento

Sono trascorsi 40 anni dalla nascita della Repubblica Islamica dell’Iran: era l’11 febbraio 1979 quando l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, tornato dall’esilio in Francia, ne dichiarò la nascita. Quella dichiarazione seguiva due anni di proteste contro il governo centrale, due anni che videro scendere in piazza insieme religiosi e laici, la sinistra comunista, gli studenti, i movimenti islamisti. Scioperi e manifestazioni bloccarono il paese per tutto il 1978, fino alla fuga di Reza Pahlavi, nel gennaio ’79, e la presa del potere da parte dell’Ayatollah. Due mesi dopo, il primo aprile 1979, gli iraniani certificheranno la nascita della Repubblica islamica con il voto referendario.

Una celebrazione che giunge in un periodo di grande tensione nel paese, una crisi interna che si pensava superata appena quattro anni fa, nel luglio 2015, quando il presidente Hassan Rouhani firmò l’accordo sul nucleare civile con Europa, Stati Uniti, Cina e Russia. Oggi, mentre centinaia di migliaia di iraniani scendono in piazza in tutto il paese, in tutte le città e i villaggi per festeggiare quattro decenni di rivoluzione, a Varsavia si imbastisce una conferenza guidata dagli Stati Uniti che mira a definire l’offensiva contro Teheran.

Un’offensiva già iniziata, già radicata, nelle politiche mediorientali dell’amministrazione Trump, fatta di attacchi militari israeliani in Siria e di rinnovate sanzioni contro l’economia e la finanza della Repubblica Islamica. Stamattina la folla riunita nel centro di Teheran imbiancata da un filo di neve e in piazza della Libertà (costruita dallo scià filo-americano e ribattezzata dopo il 1979) sventola la bandiera iraniana e grida lo slogan più noto – “Morte all’America” – quasi un marchio di fabbrica delle manifestazioni nazionali. “Il popolo iraniano – ha detto una settimana fa la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, specificando che il grido è rivolto all’amministrazione e non al popolo americano – continuerà a dire ‘Morte all’America’ fino a quando gli Usa agiranno in modo maligno”.

Lungo le strade, in marcia, ci sono i missili del sistema militare iraniano, in mostra per mandare all'esterno un messaggio chiaro, e un capillare sistema di sicurezza dopo l’attacco che bagnò di sangue le celebrazioni per la fine della guerra Iran-Iraq dello scorso anno: uomini armati spararono su una marcia militare e uccisero 29 persone.

Dal palco ha parlato Rouhani: la rivoluzione ha salvato il paese “dalla tirannia, la colonizzazione e la dipendenza. Questa nazione è riuscita a costruire un sistema di repubblica islamica e di governo indipendente”. Teheran, ha aggiunto, aumenterà il suo arsenale. Risposta ben poco velata al summit del 13 e 14 febbraio, in Polonia: a Varsavia si incontreranno gli storici avversari iraniani, Stati Uniti, Israele, paesi del Golfo, sotto il dichiarato obiettivo di “promuovere un futuro di pace e sicurezza in Medio Oriente”, che si traduce – nelle stesse dichiarazioni degli organizzatori – in un vertice “incentrato sull’Iran”.

Un paese composito: in piazza ci sono, oggi, i tanti volti dell’Iran del 2019. Ci sono quelli che 40 anni fa avevano invaso le strade per accogliere Khomeini, simbolo della speranza di un popolo che chiedeva maggiore giustizia sociale e indipendenza dalle potenze occidentali; e ci sono i giovani, la maggioranza della popolazione (un terzo degli iraniani ha tra 15 e 29 anni), ventenni, trentenni che non hanno vissuto la rivoluzione, lo stravolgimento delle istituzioni e dell’ideologia politica iraniana, e che sognano – come i coetanei di allora – un futuro migliore.

Quel futuro è soffocato dalla decisione di Washington di uscire dall’accordo sul nucleare e imporre nuove sanzioni all’Iran, congelando le attività economiche volte ad aprirsi al mondo, a vincere la crisi economica e la caduta del rial, a dare nuova linfa al mercato del lavoro. Subito dopo la firma dell’accordo erano state decine le compagnie straniere che si erano gettate sul mercato economico iraniano, in ogni settore, da quello energetico a quello automobilistico, da quello delle costruzioni e le infrastrutture a quello ferroviario. Contratti miliardari erano stati firmati. Fino al ritorno delle sanzioni che una a una hanno provocato la fuga delle compagnie straniere e il congelamento dei contratti già siglati.

La tensione esterna ne provoca una interna: accanto alla frustrazione della popolazione, in particolare delle giovani generazioni, che si è tradotta negli ultimi mesi in proteste e scioperi alle periferie del paese, si radica la rivalità tra conservatori e moderati, tra l’élite più radicale e quella guidata da Rouhani che ha puntato tutto sul disgelo e la normalizzazione dell’Iran nel mondo.

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