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03/12/2019

Golfo - I petromonarchi pronti alla distensione, prevalgono gli interessi comuni

di Michele Giorgio

La partecipazione della nazionale di calcio dell’Arabia Saudita alla Coppa delle Nazioni del Golfo, in svolgimento  in questi giorni in Qatar, è solo l’ultimo segnale di disgelo tra Riyadh e Doha. Già da qualche mese ha cominciato a rimarginarsi la lacerazione profonda che si era aperta ai primi di giugno del 2017 con l’annuncio dell’isolamento del Qatar accusato dalla “Nato araba” – Arabia Saudita, Bahrain, Egitto ed Emirati – di mantenere rapporti con l’Iran e di sostenere il “terrorismo”, cioè il movimento dei Fratelli Musulmani. Piccole aperture, toni più moderati sui social, dichiarazioni meno nervose dei leader delle due parti. Infine il mese scorso, hanno rivelato il Wall Street Journal (Wsj) e la Reuters, il ministro degli esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani ha effettuato una visita nella capitale saudita dove ha incontrato alti funzionari sauditi e, pare, fatto un’offerta per chiudere la frattura che paralizza il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg). Non è chiaro se la visita abbia incluso anche un incontro con il principe ereditario Mohammed bin Salman, di fatto reggente.

È stata la visita di più alto livello di un rappresentante di Doha nel regno saudita dallo scorso maggio quando il primo ministro del Qatar, Abdullah bin Nasser bin Khalifa Al Thani, partecipò al vertice di emergenza del Ccg alla Mecca dopo gli attacchi alle petroliere nel Golfo dell’Oman attribuiti all’Iran. Gli analisti arabi sono convinti che la soluzione della crisi sia vicina. In ogni caso il piccolo Qatar può dire di aver vinto ai punti l’incontro di pugilato contro il colosso saudita. Riyadh e i suoi alleati avevano posto 13 condizioni per revocare il boicottaggio, tra cui la chiusura della celebre tv qatariota Al Jazeera, la chiusura di una base militare turca (Ankara è la principale alleata di Doha) e l’interruzione dei legami con l’Iran. Doha non ha accolto neppure una di queste richieste. Anzi, negli ultimi due anni ha lanciato una offensiva diplomatica e di immagine ad ogni livello – investendo una parte consistente dei proventi generati dai suoi giacimenti di gas – che l’ha vista protagonista anche nel calcio professionistico (in attesa dei Mondiali che ospiterà nel 2022) con contratti stellari offerti agli attaccanti Neymar e Mbappé portati al PSG (già di proprietà qatariota).

I sauditi per ora non confermano il disgelo ma il riavvicinamento è visibile ed è giudicato con favore dall’Amministrazione Trump. Gli Usa pur avendo relazioni strette con Riyadh non hanno mai appoggiato il boicottaggio del Qatar che, fatto non secondario, ospita il Comando Centrale Usa nel Golfo. Riyadh ha dovuto fare i conti con la realtà e optare per la riconciliazione in un momento molto delicato per la regione in cui la tensione con l’Iran ha rischiato di sfociare più di una volta in una guerra, quindi ben oltre lo scontro a distanza che Tehran e Riyadh hanno da lungo tempo in Libano, in Yemen, in Siria e in altri scenari di crisi. È stato enorme l’impatto avuto dall’attacco con droni e missili – rivendicato dai ribelli yemeniti Houthi, ma attribuito ancora una volta all’Iran – che lo scorso 14 settembre ha fermato, sia pure per breve tempo, circa la metà della produzione petrolifera saudita. In quei giorni i Saud hanno avuto modo di constatare che aerei, armi e i vari sistemi difensivi, come i missili Patriot, acquistati con 110 miliardi di dollari negli Stati Uniti, erano stati superati facilmente da chi aveva organizzato l’attacco agli impianti petroliferi. La vulnerabilità del regno, nonostante la protezione assicurata da Washington, è apparsa evidente tanto da indurre la monarchia a valutare con attenzione i rischi di una guerra aperta con l’Iran. Trump inoltre ha scelto di non rispondere militarmente all’attacco del 14 settembre tra lo stupore di Riyadh e del resto della “Nato araba”.

Da qui la decisione saudita di rinsaldare i rapporti con i paesi del Ccg, Qatar incluso, per ottenere una protezione collettiva delle petromonarchie, e di tendere, a certe condizioni, una mano all’Iran. Di recente il New York Times ha scritto che Arabia Saudita e Iran dietro le quinte sono impegnati in colloqui indiretti per ridurre le tensioni, con il favore del ministro degli esteri emiratino Anwar Gargash, convinto che una escalation con Tehran non faccia «gli interessi di nessuno».

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