di Michele Giorgio – il Manifesto
Nizar Hassan, giovane economista, è
uno degli esponenti più noti del campo progressista delle proteste
popolari in corso in Libano contro corruzione e carovita. I suoi podcast
raccontano il disastro libanese e ciò che desidera una popolazione
disperata che per 1/3 vive sotto la soglia di povertà. Gli chiediamo al
telefono di spiegarci come i libanesi guardano al negoziato che il
governo sta conducendo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) volto
ad ottenere un vitale finanziamento da 10 miliardi di dollari. «In
Libano tutto è polarizzato» ci dice «Inevitabilmente la trattativa tra
il governo e l’Fmi è vista da alcuni come un passo necessario per uscire
dalla crisi economica e finanziaria e invece da altri come
un’autostrada che porterà il Libano a cadere nelle braccia
dell’imperialismo. Alla fine della giornata però tutti i libanesi
guardano a cosa hanno potuto mettere a tavola».
La trattativa con l’Fmi è fondamentale poiché potrebbe
determinare il futuro economico e anche l’allineamento geopolitico del
paese. Da qui lo scontro, anche su questo punto, tra le forze
filo-Usa del fronte “14 marzo” e quelle del fronte “8 Marzo” che fanno
capo al movimento sciita Hezbollah alleato di Siria e Iran.
Scontro sfociato nella disputa – che frena i colloqui con l’Fmi – tra il
governo del premier Hassan Diab (sostenuto da Hezbollah) e la Banca
centrale sull’entità delle perdite nel sistema bancario.
L’esecutivo le stima in 62 miliardi di dollari calcolandole al tasso di
cambio attuale della lira libanese che si è svalutata dell’80% rispetto
al dollaro. La Banca centrale parla di «cifra gonfiata». E da qui si
sono fatti pochi passi in avanti. Accusato dagli avversari di
aver ostacolato, in una prima fase, la trattativa con l’Fmi, il leader
di Hezbollah, Hassan Nasrallah, la scorsa settimana ha affermato che la
sua organizzazione non porrà veti a una intesa sul finanziamento da 10
miliardi di dollari e neppure a un aiuto «sincero» degli Usa al Libano.
Sullo sfondo è in corso una partita politica e strategica decisiva. Lo
sanno bene gli israeliani, spettatori molto interessati e sostenitori
delle sanzioni economiche di Donald Trump per strangolare l’Iran, la
Siria di Bashar Assad e Hezbollah, la “Mezzaluna sciita” nemica di Usa,
Israele e Arabia Saudita. Trump, ha scritto su Haaretz Zvi
Barel, tra i principali analisti israeliani, «ha deciso di
neutralizzare Hezbollah anche a costo di distruggere il Libano. La politica
di Trump volta a estromettere Hezbollah dal governo libanese è chiara.
In una intervista – aggiunge Barel – con la televisione saudita Al-Hadath,
l’ambasciatrice Usa in Libano, Dorothy Shea, ha accusato Hezbollah di
destabilizzare il paese e di mettere a repentaglio la sua ripresa
economica, ha aggiunto che Washington sosterrà qualsiasi governo
riformista non controllato da Hezbollah». In poche parole, fa capire
l’analista, gli aiuti andranno al Libano solo se Hezbollah non sarà più
nell’esecutivo.
Placata la rabbia, Nasrallah ha reagito con prudenza, suggerendo di
rilanciare la produzione agricola e l’industria nazionale, proponendo
alternative all’Fmi e agli Usa e invitando a guardare ad oriente, a
Pechino. «Se la Cina investirà in Libano, ciò non significa che
trasformeremo il Libano in un paese comunista» ha spiegato. Nella
polarizzazione libanese i suoi suggerimenti hanno raccolto le reazioni
entusiastiche dei sostenitori e la bocciatura inappellabile degli
avversari. «Comunque sia» commenta laconico Nizar Hassan «la popolazione
sa che chiunque finanzierà il Libano lo farà solo per favorire i suoi
interessi e non a beneficio del nostro paese».
Fonte
Nelle ultime tre righe dell'articolo c'è tutto il succo della questione e il limite stesso del testo.
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