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02/08/2020

Aboubakar merita affetto, ma ha torto

Abou espone in un video le ragioni del suo abbandono della militanza sindacale in USB rispondendo ad una serie di critiche che sostanzialmente mettono in discussione la sua onestà intellettuale e più o meno velatamente lasciano intendere che le reali motivazioni risiedano nella seduzione che il PD, o comunque quell’area magmatica, hanno esercitato su di lui in termini di potere e magari anche di poltrone parlamentari.

Io credo ad Abou quando nega tutto ciò! Non dubito della sua sincerità, ma trovo nella sua risposta due grandi debolezze.

La prima è l’opacità del suo proclamato progetto; davvero ci sono un pò troppe contraddizioni. Se ne va dicendo che vuole continuare l’impegno in “forme nuove”, poi che “non c’è nulla di nuovo sotto il cielo”, che si tratta di una “scelta dolorosa”, quindi che occorre “costruire una comunità” ed ancora che “finalmente bisogna dare rappresentanza agli invisibili”.

Questi intendimenti a me suonano come una sconfessione di ciò che di buono, di buonissimo, proprio lui ha fatto con i braccianti USB. Forse che il settore bracciantile del sindacato che egli ha diretto in questi anni intendeva nascondere gli “invisibili”? Forse che la struttura organizzativa dei braccianti USB era concepita come funzionale “all’uomo solo al comando” e non come comunità di vita e lotta? Tra gli obiettivi della nuova soggettività che viene proposta vi è l’opposizione alle “gabbie salariali” che è tema squisitamente sindacale e valorialmente costituente proprio di USB. Insomma non si riesce a capire in cosa consista la necessità di differenziarsi dal cammino in corso fino a ieri e nemmeno cosa si intenda per “forme nuove” se poi la gran parte degli obiettivi ha una dimensione tradizionalmente sindacale.

Giova ricordare che proprio nell’ultimo congresso USB ha scelto non solo il rafforzamento dei segmenti della catena del valore (braccianti, facchini, commercio), ma pure di dar vita a quella Federazione del Sociale che mette in connessione le figure sociali della marginalizzazione, della plebe intellettuale, dei bisogni metropolitani, ossia quegli invisibili che portano le pizze a casa sgambando in bici, che fanno gli accompagnatori turistici, le guide nei musei, che fanno lavori di cura, i camerieri, i tecnici nei teatri, i giardinieri, i braccianti agricoli, i cassieri solo per il week end in Ikea, gli occupanti di casa, in una parola di quelli che sono invisibili perchè il capitale si vergogna a mostrare il volto ed il risvolto cinicamente drammatico del lavoro in Italia oggi.

Tralascio la critica alla declinazione moderata di una serie di rivendicazioni, concordo con Francesca Fornario che sul Fatto Quotidiano definisce il programma di Abou come una lista di obiettivi talmente generici e asessuati che paiono fatti apposta per non litigare con nessuno. Anche a me una certa new age sociale non convince poichè penso che la proposta debba necessariamente avere una dimensione di protesta altrimenti non si capisce in che mondo viviamo.

A prescindere da ciò, la seconda debolezza la estrapolo (in questo forse mi sbaglio, ma gli elementi di giudizio che Abou ci da, quelli sono) da una citazione a braccio che fa di Nelson Mandela quando sostiene che ciò che conta è ciò che abbiamo determinato nella vita degli altri, “il modo in cui abbiamo fatto la differenza nella vita degli altri”.

Leggo queste affermazioni come il bisogno di dare efficacia alle domande di resistenza e liberazione sociale. E’ uno dei grandi problemi che si trova ad affrontare il movimento operaio organizzato oggi.

Dentro la fase di questa nostra sconfitta storica, ci sta tutta la nostra fragilità, ma è una fragilità dalla quale non si esce con tatticismi, con fughe, con rassemblements spuri, raccontandosi come una novità politica asettica.

Il torto che vedo nell’azione di Abou sta qui, la politica è anche relazione, è anche capacità di interloquire con la parte dialogante ed assertiva dei nemici, è cercare alleanze con i Sindaci, i ministri, gli intellettuali di palazzo, è anche questo, MA NON SOLO.

La politica nell’epoca della GUERRA DI CLASSE consiste nel farla questa dannata guerra: si parlamenta coi generali avversari, ma si alzano le proprie bandiere e si va all’arma bianca (quando si può), si ripiega (quando si deve).

Per me Abou non merita rispetto, questo è scontato, merita affetto per quello che ha fatto e continuerà a fare, merita affetto perchè ha torto, perchè sbaglia per generosità.

I compagni che sbagliano devono essere ringraziati perchè hanno cose da insegnarci.

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