Marghera, 3 agosto 1970. In una giornata di sole pieno, abbiamo ricordato ciò che avvenne allora a Porto Marghera, andando sui luoghi degli avvenimenti di quel 3 agosto: il punto più alto e drammatico del grande sciopero dei circa 2000 operai delle imprese del polo industriale.
Quando un ennesimo grande corteo, frutto dell’unione di tre distinti cortei provenienti da distinte zone della grande area, si era formato davanti alla porta dello stabilimento chimico della Montedison per andare verso il centro di Mestre e la stazione ferroviaria, l’intero Secondo Celere di Padova, centinaia di poliziotti speciali che stavano lì dalla notte prima e quindi pieni di rancore, sbarrò la strada all’altezza della Chiesa del Cristo Lavoratore e fermò il corteo con durissime cariche e ci fu una sparatoria contro gli operai, due dei quali vennero feriti (uno molto gravemente).
La manifestazione e gli scontri durarono per ore. Il prete aveva chiuso la chiesa per impedire che gli operai vi si rifugiassero. Mentre, poi, alcuni operai trovarono rifugio in diverse case del quartiere retrostante, altri furono respinti dalle case in cui erano stati collocati i profughi reazionari giuliani che gli gettarono vasi di fiori contro.
Anche gli operai del petrolchimico non tennero un bel comportamento e non uscirono a dar man forte. Furono poi accolti all’uscita della mensa con un lancio di monetine dagli operai delle imprese che pure avevano partecipato alle loro lotte per il premio di produzione dell’estate-autunno precedente.
Questo mostrò i limiti e le fratture tra lavoratori presenti allora e che purtroppo oggi si sono accentuati tra lavoratori "garantiti" e precari, specie se immigrati.
Ho girato anche dei piccoli spezzoni video della testimonianza di Emilio che era uno degli operai in lotta e uno dei componenti del Coordinamento delle imprese, l’organismo di massa che assieme all’assemblea diede forma e organizzazione a quel movimento proletario, il più duro e antagonista di tutto quel ciclo di lotte.
Gli operai delle imprese (i neri dell’epoca) chiedevano in sostanza parità di diritti e di salario con gli operai degli stabilimenti, il diritto alla mensa, agli straordinari, alle ferie come quello degli operai fissi meglio garantiti degli stabilimenti chimici, metalmeccanici, metallurgici.
Abbiamo ripercorso i siti degli stabilimenti, oggi in massima parte spettrali ruderi abbandonati penetrati da fasci di rotaie abbandonate. Decine di chilometri di ferrovie abbandonate, darsene abbandonate, dove al sole ex operai pensionati, quietamente, attendevano che alle lenze si impigliasse qualche pesce, quasi una metafora visiva di una conclusione catastrofica dell’esito della lotta di classe, conclusa appunto con la rovina comune delle due parti.
Tutto quel grande ciclo di lotte è stato allora fermato dalla repressione, dal collaborazionismo degli opportunisti e dei traditori e dalla guerra vera e propria contro le masse a suon di stragi.
Quel ciclo è stato fermato a Porto Marghera, in Italia nel mondo. Ma i suoi principi di eguaglianza restano più giusti e attuali che mai.
A un’altra generazione di lotta il compito di raccoglierli, affossare questo sistema e costruirne uno di più giusto.
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