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04/11/2020

Pandemia, crisi sanitaria e rappresentanza politica

Le curve della pandemia nel nostro paese dimostrano che ormai i “buoi sono usciti dalla stalla”, su questo c’è una polemica continua sui mass media che hanno avuto a loro volta una funzione moltiplicatrice della diffusione del virus (presentando posizioni negazioniste alla Zangrillo come credibili e mettendo tutto sullo stesso piano incrementando così anche il “grafico” della confusione generale). In realtà ci troviamo di fronte più che ad una manipolazione politica degli eventi alla manifestazione concreta della inconsistenza dei gruppi dirigenti dell’occidente.

Questa possibile evoluzione verso una concreta crisi di egemonia, come RdC, l’avevamo analizzata già da tempo in una serie di Forum pubblici e testi. Ora siamo precipitati dentro questa condizione e l’errore più grande che si possa fare è quello di ragionare su parametri e informazioni che ci fornisce l’avversario, cosa che “a sinistra” avviene frequentemente, senza dotarci di chiavi di lettura del tutto indipendenti.

In realtà i rimpalli che vediamo quotidianamente sono il prodotto del gioco di interessi dei diversi gruppi di potere (economico, giornalistico, lobbistico e affaristico di vario tipo, etc.) che cercano di affermare la propria lettura della realtà in base ai propri miopi interessi producendo una “curvatura” nella percezione generale che peggiora la diffusione del virus e il senso di disorientamento generale.

Va detto chiaramente e senza ambiguità che la situazione è drammatica ed è fuori controllo di ogni “autorità” medica o politica che sia e su questo bisogna avere piena coscienza senza alcuna sottovalutazione. Certamente il governo Conte, espressione di una alleanza disomogenea e affetto da protagonismi alla Renzi, sta dando il peggio di se stesso in questa seconda ondata soprattutto sulla necessità di sostenere economicamente quei settori sociali deboli che rischiano di essere travolti dalla crisi sanitaria ma quello che si sta manifestando, non in Italia ma nella UE e negli USA oltre che nelle periferie non socialiste, nasce da dati strutturali e non da scelte politiche di corto respiro. Per questo accanto alla denuncia ed alla mobilitazione è necessario per i comunisti svolgere un lavoro di chiarificazione su un passaggio che ha tutto il carattere di un salto storico.

In altre parole trent’anni almeno di privatizzazioni e taglio della spesa sociale nella sanità, nella scuola e nei trasporti, e non solo, fatti perché “l’Europa lo chiede” non sono recuperabili da nessuna magica capacità operativa di qualsiasi governo fosse anche il più efficiente, nemmeno quello della Grande Germania.

In questo frangente ancora una volta il capitalismo mostra la sua natura antisociale e da apprendista stregone!

Non solo i servizi sociali ma anche la crescita delle diseguaglianze tramite trasferimenti di ricchezza alle classi dominanti hanno ridotto la capacità di tenuta del lavoro dipendente e subordinato, in grande sviluppo in questi decenni, provocando una ripresa della conflittualità sociale ancora confusa ma elemento nuovo in una condizione di asfissiante entropia conflittuale delle classi subalterne.

La feroce vendetta operata dalla borghesia internazionale contro le conquiste proletarie ed operaie del ‘900 con la distruzione dello Stato Sociale ed il furto sul reddito complessivo del lavoro, prodotti dalla lotta di classe di quel secolo, si sta riversando contro un Occidente in crisi anche sul piano della civiltà sociale raggiunta. Difficoltà, questa, chiaramente percepita anche dalla Chiesa e dal Papa, che sono in prima linea per necessità obiettiva e per occupare preventivamente uno spazio che è stato e dovrebbe essere storicamente interpretato dalla soggettività comunista.

Questo ingarbugliamento delle forme del dominio richiamano anche due motivi di fondo.

Uno è la perdita di funzione della politica; la rissa continua tra partiti diversi, tra dirigenti dello stesso partito, tra virologi schierati su diverse posizioni dimostra che la funzione della politica che Gramsci diceva essere la “cerniera”, la congiunzione, tra la società civile e la sua struttura materiale (struttura e sovrastruttura) è saltata e lo è almeno da un quindicennio. Dunque pure questo strumento non può ritrovare la propria capacità di governo con un atto di magia ma sarà, se mai ci sarà, un processo certamente lungo che amplificherà al presente il carattere confusionale sulla gestione dell’attuale pandemia.

In linea di massima si può ragionevolmente credere che entro il 2021 si possa trovare il vaccino che blocchi gli effetti direttamente sanitari ma la pandemia sta debilitando non solo il corpo fisico delle persone ma anche quello sociale, produttivo e finanziario del capitalismo occidentale e, inevitabilmente, incrementerà ulteriormente la competizione interimperialistica/globale. Sugli effetti in prospettiva dobbiamo già da oggi concentrare la nostra analisi perché gli scenari che usciranno da questa situazione non saranno facili da capire ne da gestire, ed avranno bisogno della nostra massima attenzione.

Ma uno sforzo di comprensione delle prospettive dei processi materiali va fatto da subito. Il ritrovato ruolo dello Stato, cosa che è avvenuta almeno dal 2008 (dopo il crack finanziario globale di quell’anno) a sostegno del sistema bancario a livello mondiale, oggi ha il pretesto di sostenere la fase di crisi sanitaria salvaguardando le condizioni sociali ma soprattutto sostenendo le imprese e qui alcuni ragionamenti dovrebbero essere fatti in modo più strutturale.

Il primo è capire quali imprese; quelle che sono destinate al fallimento dentro il restringimento del mercato nazionale e internazionale o quelle che invece sono funzionali dentro la dimensione europea alla competizione globale? La pandemia sta producendo un effetto collaterale ancora poco visibile ma reale, infatti la crisi di molte imprese del nord modificherà le condizioni sociali e produttive di quell’area che, detto qui sommariamente ma oggetto di una prossima pubblicazione della RdC, diverrà il Sud di un Nord rappresentato dal centro Europa. Certamente questo non riguarderà tutta la cosiddetta Padania ma quelle imprese che non riusciranno a tenere l’evoluzione dei sistemi produttivi e del mercato.

Qui si innesta il secondo punto che è legato alla ristrutturazione e digitalizzazione del sistema produttivo ed allargamento possibile del mercato verso l’economia “verde”. Andando oltre la retorica degli eurocrati, questo significa che una maggiore automazione porterà all’aumento della disoccupazione, precariato e riduzione dei redditi da lavoro, sia dipendente sia subordinato e falsamente autonomo.

Automazione che non potrà essere praticata da tutte le imprese a cominciare da quelle più piccole per cui la razionalizzazione produttiva su cui la UE punta è quella di mettere fuori mercato, in Italia ma anche in altri paesi europei, imprese e settori produttivi non funzionali alla ristrutturazione continentale finalizzata a sostenere con i “campioni” industriali e finanziari europei la competizione economica a livello mondiale.

D’altra parte, ancora una volta chi cerca di sminuire il ruolo dell’UE perché inefficiente, separata dagli interessi nazionali, o perché subalterna agli USA in realtà rafforza la “necessità” di rendere più forte questa entità sovranazionale, come sta accadendo in questa fase di crisi sanitaria. I fondi stanziati nelle diverse forme stanno facendo nascere di fatto i tanti aborriti bond Europei che cominciano invece ad avere una capacità concorrenziale con quelli denominati in dollari.

Non solo si metterà in moto un processo di rimescolamento sociale verso il basso e una ristrutturazione competitiva e centralizzata dell’industria europea ma anche l’aspetto finanziario continentale avrà una spinta in avanti rafforzando il ruolo finanziario della UE e dell’Euro nel mondo.

Se la prima fase del lockdown ha dato un sostanziale appoggio alle scelte governative, concretizzatosi nei risultati elettorali del settembre scorso, il riproporsi di quella condizione all’inizio dell’inverno con un ulteriore peggioramento, sta mobilitando nelle piazze quei settori sociali magari cresciuti nello spazio dato dall’economia informale o di nicchia ma che ora si trovano di fronte ad una effettiva possibilità di regressione, altro che le sceneggiate da tutti sostenute dell’andrà “tutto bene” andate in onda nella scorsa primavera.

I settori che si stanno muovendo sono quelli del piccolo commercio, dello sport, del turismo, della ristorazione, dei taxi, etc. ma assieme a questi ci sono settori classificabili come proletariato con caratteristiche di precarietà e di basso reddito, settori di operai che vengono espulsi dalle fabbriche con la CIG ma nessuna prospettiva di rioccupazione e soprattutto settori di giovani, di lavoro povero e mentale, che vedono svanire ogni possibilità di futuro certo nel prossimo periodo.

Le mobilitazioni che si stanno sviluppando, anche con livelli di scontro che non si vedevano da tempo e al netto della strumentalità fascista, non possono che avere forme spurie, ibride, non confacenti ai nostri parametri politici ma sono l’espressione diretta, la forma assunta dalla crisi di egemonia che sta investendo l’intero Occidente. I comunisti devono fare i conti con questa “situazione concreta” come vanno fatti i conti con tutti quei “nostri” punti di vista che si stanno mostrando obsoleti nella lettura di una realtà per molti incomprensibile.

Stare – comunque – dentro le mobilitazioni con le forme unitarie possibili o con iniziative indipendenti, aprire una campagna sui motivi reali che hanno portato a questa drammatica situazione, individuare i punti di sedimentazione organizzative nella variegate forme che esprime una società in difficoltà, costruire una identità politica forse non rivoluzionaria ma decisamente di classe in cui il nemico, l’Unione Europea ed il capitale finanziario, sia messo in evidenza agli occhi di chi ora non ha alternative al conflitto.

Questi sono alcuni punti su cui produrre contenuti e mobilitazioni avendo chiaro anche che si apre una nuova fase di crisi di rappresentanza politica sia sul versante istituzionale, sia in quello che attiene l’intera società.

Il M5S è praticamente sputtanato da una gestione del governo che lo assorbirà, come le sabbie mobili, sempre di più. Salvini e la Lega stanno mostrando la loro inconsistenza nell’affrontare una fase in cui non si parla di immigrazione e con contraddizioni interne con i cosiddetti Governatori regionali. Insomma si sta sgretolando quella rappresentanza fasulla del populismo/sovranismo che sapevamo che non avrebbe potuto tenere di fronte alle contraddizioni strutturali del capitalismo.

Anche su questo i comunisti, nelle forme storicamente e oggettivamente concesse, sono obbligati a farci i conti andando oltre il conflitto di classe e la vertenzialità. Mai come ora ritorna il nodo della rappresentanza politica indipendente nelle condizioni, culturali, politiche e sociali odierne e possibili da praticare.

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