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04/11/2020

In Lombardia si muore e Fontana gioca con le figurine colorate

Dopo giorni di attesa e di incertezza, polemiche tra ministri e litigi tra governo e repubblichine regionali, con relativi personalismi dei presidenti che esprimono interessi particolari e locali, l’ennesimo DPCM è arrivato, ma non ha deciso ancora quali saranno le regioni zona “rossa”, “arancione” o “verde”.

In questa Italia arlecchino la Lombardia sembra la regione più in difficoltà dal punto di vista sanitario, anche se il presidente Fontana si arrabbia per non essere stato abbastanza coinvolto nelle decisioni, ma soprattutto perché teme di non poter difendere adeguatamente gli interessi padronali.

Infatti, né Fontana né i sindaci (quelli del PD inclusi, a cominciare da Beppe Sala) vogliono prendere atto di una situazione ormai completamente fuori controllo e seguitano i dichiarare che “l’economia non può sostenere un nuovo confinamento”.

Un ritornello sentito ormai mille volte e dagli echi sinistri, che si avvertono quando ormai tali amministratori parlano di “stabilizzare” la linea dei contagi e non più di farla scendere.

Stiamo ai dati. La Lombardia ha superato, il 3 novembre, gli 8.000 nuovi casi, dei quali 3.000 nell’area metropolitana di Milano e 1.000 nella sola città, dove ormai la prudenza non basta più, perché ci si può contagiare in ogni momento e in qualunque attività.

I morti sono stati 117, oltre il doppio del giorno precedente e 40 i nuovi ricoveri in terapia intensiva. Tutti gli ospedali sono in evidente sofferenza, in particolare a Como due ospedali registrano decine di contagi tra il personale sanitario. Molti posti in terapia intensiva non potranno essere utilizzati per mancanza di personale specializzato.

La Regione pensa di aprire delle nuove aree per i tamponi in automobile, gestiti da personale militare, ma queste zone non potranno essere attivate che tra qualche giorno.

Gli ospedali respingono o annullano i ricoveri di pazienti non Covid, un fatto che presenterà il conto tra qualche mese con un incremento di aggravati, invalidi e decessi di persone non curate in tempo.

La campagna vaccinale contro l’influenza stagionale non funziona, pochi medici hanno ricevuto i vaccini e i centralini della ATS dove si dovrebbero prenotare le vaccinazioni per i soggetti fragili sono travolti ed è impossibile comunicare.

Fontana dichiara la disponibilità dei tamponi antigenici “rapidi”, destinate a scuole, RSA, carceri, pronto soccorso, ma nessuna di queste istituzioni li ha visti né sa esattamente quando li riceverà. È una strategia abituale del duo Fontana-Gallera quella di lanciare dichiarazioni trionfalistiche, quando sono in difficoltà, per calmare l’opinione pubblica.

In questo contesto, come al solito, i privati impazzano, per la gioia loro e comunque anche della giunta regionale che li ha sempre sostenuti. Di fronte all’impossibilità di vaccinarsi contro l’influenza nelle strutture pubbliche, diversi ambulatori e cliniche private propongono vaccinazioni a pagamento a 60 euro a persona.

Dove abbiano trovato i vaccini, che la Regione non è stata in grado di procurarsi e che le farmacie non riescono a distribuire, è da accertare, ma intanto tali strutture fanno affari.

I guadagni arrivano anche dai tamponi, poiché l’ATS di Milano, in piena rotta rispetto ai tamponi, ha consigliato a chi deve fare il secondo, dopo un periodo di positività, per poter uscire di casa e tornare al lavoro (produrre è sempre obbligatorio), di rivolgersi alle strutture private, per guadagnare tempo, e ovviamente far guadagnare tali strutture.

Questa è la situazione oggi in Lombardia, di fronte alla quale Fontana e Gallera ostentano sicurezza permettendosi di mettere in dubbio che un tale caos sanitario possa essere considerato da “zona rossa”.

Non possiamo ancora sapere a cosa porterà la contrattazione economico-politica tra governo, regione (e industriali), ma una certezza è che la situazione sanitaria in Lombardia è molto pericolosa e che la giunta è incapace di controllarla, invischiata come è tra la sua incompetenza e la difesa degli interessi padronali, che hanno già provocato le stragi nella bergamasca di primavera e che oggi stanno trascinando tutta la Regione nel baratro.

Un’altra certezza e che al di là del gioco dei colori – sia se la Lombardia sarà arancione, sia rossa – il confinamento non toccherà comunque l’industria e i servizi, quindi i lavoratori saranno costretti comunque ad andare al lavoro, usando tra l’altro i mezzi pubblici regionali e comunali sporchi e sovraffollati (chi controllerà che la presenza a bordo non superi il 50% non si sa, comunque bus e treni in più non ci sono).

Come se i luoghi di lavoro fossero miracolosamente esenti dal rischio di contagio, a differenza delle scuole, dei ristoranti, dei musei, delle biblioteche. Le grandi imprese saranno quindi ancora una volta ben tutelate, a differenza di altri settori d’attività (artisti, operatori del turismo, artigiani, ristoratori, piccoli commercianti...) a cui andranno gli insufficienti e aleatori “ristori” promessi dal governo e che hanno ben maggiori ragioni di preoccuparsi.

Ancora una volta, come già a primavera, gli interessi di Confindustria e la salute dei cittadini sono in contrasto.

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