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12/11/2020

Una chiusura al giorno toglie il lockdown di torno...

Se guardiamo con occhio distaccato cosa stanno combinando governo, opposizione di destra e regioni (gran parte dell’azione della destra viene da lì), è difficile reprimere l’insulto che sale dal profondo.

Tutti dicono di non volere il lockdown completo, tutti lamentano che nei Dpcm sono state inserite misure “poco drastiche” prima di esser prese ma che diventano “esagerate” quando si decide di stringere una vite qua, un bullone là, un po’ a casaccio.

Di fatto, si va verso un lockdown morbidissimo per le aziende maggiori, molto duro per la popolazione, drammatico per le piccole attività commercial-turistiche (che non hanno alle spalle né grande liquidità, né un occhio di riguardo da parte delle banche, ma rappresentano una grande quota dell’occupazione reale, quasi sempre precaria o “in nero”).

Niente di nuovo rispetto a marzo-aprile, semmai qualcosa in meno. Anche a Palazzo Chigi avvertono l’insofferenza sociale per misure che distruggono la vita e i rapporti, ma che non servono a combattere il virus.

La “strategia” regional-governativa – al netto dei protagonismi individuali di mezze figure in campagna elettorale perenne – è quasi trasparente: evitare che esplodano gli ospedali, in primo luogo le terapie intensive e subintensive. Passato il momento critico, si cerca di tornare alla “normalità” il prima possibile...

Si tratta di interventi, insomma, fatti per “distanziare la fila”, per non superare i limiti, per “limitare il danno” o rinviare il collasso. Non per estirpare il coronavirus, ormai diffuso dovunque nel Paese.

È il risultato di una scelta fatta fin dal primo momento, in Italia, in Europa e nel resto del mondo occidentale: convivere con il virus, continuare con la produzione.

Ma se devono stare aperte le grandi aziende, oltre alla marea di attività indispensabili (alimentari, energia, rifiuti, sanità, ecc.), il traffico e gli assembramenti sono inevitabili. Dannosissimi, specie in una stagione in cui si deve stare in luoghi chiusi.

Non poteva funzionare, non ha funzionato, non funzionerà.

Con questa scelta governo e regioni hanno realizzato il disastro totale: il virus fa strage dappertutto (e non solo di “vecchietti non indispensabili allo sforzo produttivo”), e l’economia inchioda per la seconda volta in pochi mesi, moltiplicando i danni.

E continuerà così per molti mesi ancora, tra un allentamento natalizio a fini psico-microeconomici e una “terza ondata” dal peso imprevedibile, fin quando un vaccino non sarà disponibile nei quantitativi necessari per una popolazione di 60 milioni di abitanti.

E anche in quel caso, sentiremo addosso l’incredibile inefficienza di un sistema semi-privatizzato e regionalizzato in cui, in questo momento, mancano all’appello 15 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale. Quello “normale”, di tutti gli anni, che si conserva quasi a temperatura ambiente e non ai -75°C della promessa di Pfizer.

Ma è quasi inutile prendersela con una classetta politica indecente – a livello regionale e nazionale – che prende decisioni sulla base delle telefonate che riceve dagli “imprenditori del territorio”, come avvenuto questa estate in Sardegna. Ma in Val Seriana, a marzo, non è che sia andata diversamente...

Perché, come andiamo ripetendo da mesi, la vera scelta non è tra “lockdown duro” e “lasciar perdere”, tra “allarmismo” e “nagazionismo”, ma tra il nulla attuale e il fare un lockdown serio il tempo necessario a testare tutta la popolazione, e poi isolare i contagiati fino a guarigione mentre si riprende a vivere normalmente.

Decidere chiusure temporanee e non fare un tubo per tracciare la popolazione significa solo rimandare il problema, alla “io speriamo che me la cavo”.

In tutto l’Occidente capitalistico le cose vanno però nello stesso modo, o anche peggio (Usa, Brasile, Regno Unito, Francia...). E allora il problema è di sistema, non del primo pirla che passa su una poltrona da cui si decide. O meglio: le decisioni vere sono prese da altri, non dalla “politica”.

E lo si capisce guardando gli Usa, la superpotenza mondiale dove un presidente in carica viene ormai quotidianamente censurato da media in mano a società private. Se lo merita, certamente, perché è un infame suprematista nazistoide. Ma non può passare in secondo piano il fatto che siano dei privati a silenziarlo, e non i “contrappesi di potere” tipici di ogni architettura istituzionale “democratica”.

Significa appunto che “il potere vero”, quello che determina decisioni e “svolte”, non sta più nel processo democratico e nei suoi riti.

Comanda l’impresa privata, non l’interesse pubblico.

Chiunque sia al governo, naturalmente.

Tutt’altro accade in quelle “dittature” così crudeli da porre la salute dei propri cittadini al di sopra della “libertà delle imprese”. E che – ma guarda un po’ che strano – ottengono due risultati completamente opposti: il minimo di contagiati e morti, il massimo di crescita economica dopo un semestre di recessione.


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