Come dicono i saggi: avere una buona analisi della situazione non garantisce che si sappiano fare anche le scelte giuste. Ma se hai un’analisi sbagliata farai certamente solo scelte sbagliate. Anche con le migliori intenzioni.
La sinistra italiana è morta anche per incapacità di sviluppare una qualsiasi analisi della realtà contemporanea, preferendo limitarsi a piccoli giochi di parole per dare un senso “storico” a scelte tutte motivate dalla tattica. Spesso semplicemente dalla necessità di giustificare ambizioni personali (Bertinotti scambiò tranquillamente la funzione politica di Rifondazione per una poltrona da presidente della Camera; ricorda quella storia della primogenitura e un piatto di lenticchie, no?).
Altre volte per una più onesta – ma non meno dannosa – propensione a immaginarsi un mondo che giustifichi quel che vogliamo o possiamo fare, invece che (com’è obbligatorio in ogni lotta) fare quel che si può in base al mondo che c’è. Se preferite le metafore, è la differenza che c’è tra “tagliare il piede per farlo entrare nella scarpa” (cit.) e il comprare una scarpa nuova a misura.
Il baricentro di ogni lotta politica – rivoluzionaria, progressista, conservatrice, reazionaria, ecc. – è l’individuazione del luogo in cui risiede il potere politico. Ed è chiaro che se si sbaglia su questo punto essenziale tutto quel che si farà diventa uno spreco di energie.
Negli ultimi 30 anni molti hanno continuato a ragionare come se Palazzo Chigi e tutta la “ginnastica” parlamentare (le alleanze, i tradimenti, i cartelli elettorali, i doppi turni, gli apparentamenti, i voti disgiunti, ecc.) potessero garantire di avere in mano – prima o poi – le “leve del potere”, con cui iniziare a cambiare questo disgraziato paese per dare alla popolazione e ai lavoratori un futuro decisamente migliore.
Era anche l’illusione nutrita da Syriza, in Grecia, quando finalmente nel 2015prese in mano le redini del governo e scoprì – nell’arco di poche settimane – che non poteva letteralmente fare nulla, se “la Troika” (Unione Europea, Bce, Fmi) disponeva altrimenti.
Memorabile, in questo senso, la testimonianza di Yanis Varoufakis, economista nominato ministro, che registrò le riunioni dell’Eurogruppo e i ricatti espliciti della “classe dirigente europea”. Costa Gavras ne ha tratto il film Adults in the room (Adulti nella stanza), estraendone la cifra dell’atteggiamento dei “potenti” nei confronti del governo di sinistra greco: “ragazzi, lasciate lavorare noi uomini, che sappiamo cosa fare”.
Con i trattati europei, da Maastricht (1992) in poi, il baricentro del potere politico si è progressivamente spostato dagli stati nazionali al “centro” sovranazionali, equamente ripartito tra Bruxelles e Francoforte (sede della Bce).
In linguaggio istituzionale si chiama “cessione di sovranità” su campi che vanno dalle politiche di bilancio (come raccoglie le risorse uno Stato e come le spende, anno per anno) e quella monetaria (centralizzata dalla Bce), dal coordinamento delle polizie (Eurogendfor) a quello delle forze armate, anche se la costruzione di un esercito europeo – formalmente avviata – non sarà né semplice né rapida.
Il potere politico sta insomma per larga parte fuori da Palazzo Chigi e ci viene ricordato in tutti i modi.
Per esempio dal Sole24Ore che, presentando i dibattiti in corso al Festival dell’economia di Trento, dà conto dello stato di avanzamento delle “riforme” previste dal PNRR. Temi di cui non si discute pubblicamente, né forse nemmeno dentro il governo (se non per il comma che riguarda i concessionari degli stabilimenti balneari...), ma che sono a tutti gli effetti modifiche radicali – peggiorative, ovvio – delle nostre condizioni di vita.
Il quotidiano di Confindustria scrive tutto soddisfatto: “A un mese dalla scadenza del 30 giugno che, il governo Draghi è chiamato a centrare per assicurarsi la seconda rata da 21 miliardi collegata al Recovery Plan, l’attuazione del piano italiano procede senza intoppi, almeno sul piano della forma”.
Primo punto rilevante da capire bene: ci sono 21 miliardi di prestiti garantiti dalla UE che arriveranno soltanto se TUTTE le misure poste come “condizionalità” da Bruxelles saranno soddisfatte entro una scadenza fissata al 30 giugno. È così per ogni “tappa” del percorso disegnato a Bruxelles, fino al 2026. Niente “soldi europei in arrivo” per farci quel che vogliamo (che un qualsiasi governo italiano voglia), ma prestiti vincolati a riforme ordinate con direttive europee.
Se non vi sembra potere politico questo, allora non avete idea di cosa sia il potere (“decretare e far rispettare i propri decreti”).
Il Sole registra che “45 obiettivi (44 milestones e un target) da conseguire nel primo semestre del 2022: 18 sono già stati raggiunti e per altri 15 la linea d’arrivo è vicina, questione di giorni, secondo quanto ha potuto verificare il monitoraggio in tempo reale che qui viene riportato”.
Scorrendo l’elenco si può verificare che si tratta di questioni che sono la carne e il sangue di una popolazione. Per esempio la riforma fiscale, quella della “revisione della spesa pubblica” (torna alla mente Carlo Cottarelli nominato “commissario alla spending review”), “progetti di rigenerazione urbana” (elaborati da chi e con chi?), il “reclutamento dei docenti”, l’università e la ricerca, la scuola, un “nuovo modello organizzativo della sanità territoriale”, le “case di comunità” per anziani, la “strategia per l’economia circolare”, “ricerca e sviluppo dell’idrogeno”, “misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati” (privatizzazione dell’acqua), “competitività e resilienza delle filiere produttive”, “riforma della pubblica amministrazione”, “banda larga”, “riforma degli appalti pubblici”, ecc.
Un vero e proprio programma di governo, con tempi e dimensioni strategiche, di lunghissima durata e amplissima portata… di cui nessuno, al di fuori dei “migliori”, ha mai saputo nulla. Se non dettagli…
Davanti a un carro armato che procede in questo modo, che senso hanno i “programmi elettorali” che i partiti o le coalizioni presentano o presenteranno il prossimo anno? Qualsiasi cosa dicano, chi arriverà – se arriverà – nelle “stanze dei bottoni” troverà il lavoro già fatto, non modificabile (se non per qualche dettaglio) altrimenti non arriveranno le altre rate del PNRR o Recovery Fund o NextGenerationEU.
La “sovranità” non è scomparsa, si è semplicemente trasferita altrove. E non è più “nelle mani del popolo” (di nessun popolo europeo), come pure recita l’art. 1 della nostra Costituzione.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento