di Fabio Mini
Sulla mappa dell’Ucraina finalmente ritornano le freccette (simbolo di direzione di movimento), i cerchietti (simbolo di aree di combattimento) e la designazione degli obiettivi strategici ovvero quelli da conquistare e mantenere per dichiarare la vittoria. Mancano ancora i soldatini e i carrarmatini così cari ai nostri narratori di guerra, ma è questione di poco, arriveranno anche loro.
La controffensiva ucraina è già iniziata o quasi. Per qualcuno è un’offensiva caratterizzata da azioni multiple su 4-5 direzioni d’attacco, per qualcun altro “soltanto” su tre. Non è un atto unico “come lo sbarco in Normandia”, ma una serie di azioni offensive calibrate in relazione alla resistenza opposta dal nemico che vede impegnate quattro brigate ucraine armate e addestrate dalla Nato per un totale di 70mila uomini.
In verità anche lo sbarco in Normandia non è stato un atto unico e proprio lo sbarco in corrispondenza delle difese tedesche è stato un massacro. Basta visitare i cimiteri di guerra della zona o aver visto il film Salvate il soldato Ryan di Spielberg.
Le brigate ucraine impegnate in questa prima fase, che dovrebbe portare allo “sfondamento” delle difese russe, sono senz’altro ben addestrate ed equipaggiate, anche se gli stessi ucraini ammettono che non siano al completo. Ma anche ammettendo che lo siano, il fatto che siano state addestrate dalla Nato non è garanzia di efficacia. Basta pensare all’Afghanistan.
Di certo la stessa entità delle forze non è la condizione ottimale per partire con un’offensiva su vasta scala. Né tantomeno per raggiungere la pace con la guerra. Eppure la narrazione prevalente dei combattimenti di questi giorni è rivolta chiaramente a risvegliare l’attenzione, più o meno morbosa, sulla guerra, quella vera, quella combattuta, quella dove “finalmente” si torna ad ammazzarsi sul serio. O meglio ad ammazzarsi e basta, perché la tragedia della guerra diventa poco seria se viene raccontata come un fumetto.
Con la presunta offensiva sono infatti ricomparsi i riferimenti iperbolici al blitzkrieg e alla muraglia di fuoco, alle ondate successive di squadroni corazzati e blindati e così via in una “confusione” che tuttavia rivela le linee di attacco.
Chi abbia partecipato anche da semplice soldato soltanto una volta nella vita a un’esercitazione meccanizzata e corazzata a Capo Teulada o Candelo Massazza o Monteromano o sul Cellina Meduna riconoscerebbe tutte le azioni descritte per rappresentare l’attuale fase della guerra in Ucraina per quello che veramente sono.
Ricorderebbe anche le difficoltà del superamento di una semplice striscia minata e il rischio di essere colpiti dalle proprie artiglierie e aerei, visto che quelli avversari erano solo ipotizzati. Ricorderebbe la difficoltà di coordinamento degli attacchi fra forze distanti qualche centinaio di metri e di rifornimento della prima linea da parte della logistica schierata un paio di chilometri dietro.
Ricorderebbe la “confusione” che inevitabilmente si verifica quando un manipolo di attivatori ti fa spuntare un carro armato sul fianco. Il tutto in un’esercitazione, in un poligono organizzato di due chilometri di fronte e quattro di profondità, in piena sicurezza e con la certezza di conquistare un obiettivo che tutto sommato è sempre una sagoma o un rudere.
Purtroppo ciò che sta accadendo in Ucraina non avviene in un poligono e contro un avversario ipotetico. La linea di contatto fra ucraini e russi è lunga qualche migliaio di chilometri. Secondo la descrizione dei narratori e le loro sintetiche mappe, l’offensiva ucraina si starebbe sviluppando da Bakhmut a Zaporizhzhia: oltre 300 chilometri l’una dall’altra.
Le tre principali direzioni d’attacco distano fra loro di 60 km ( Zaporizhzhia-Orekov), 187 km (Orekov-Vodiane) e 85 km (Vodiane-Bakhmut). I presunti obiettivi “strategici” sarebbero Melitopol e Mariupol (entrambi a 90 km dalla linea di contatto) e Lugansk (a 115 km).
Il terreno non è agevole,una parte è allagata dalla premeditata e preparata distruzione della diga di Kakhovka sulla quale, a partire dallo scorso anno, si erano concentrate le attenzioni ucraine.
Prima con i bombardamenti della strada sovrastante, poi con i test di sfondamento delle paratie con gli Himars americani. Le difese russe tengono le posizioni e le artiglierie, i missili e gli aerei bombardano di continuo.
Gli ucraini hanno annunciato il successo di varie azioni minori, mentre i russi sono stati più espliciti: agli attaccanti respinti sono state inflitte perdite pesanti con un migliaio di morti e decine di carri armati distrutti.
Fatta anche la doverosa tara alle propagande, c’è poco che consenta di amplificare la sceneggiatura dei combattimenti elevandoli a “offensiva su larga scala “, quando proprio la scala enorme in confronto alle forze disponibili è la principale vulnerabilità.
E si deve essere prigionieri di una propaganda insulsa se azioni tattiche locali, ancorché eroiche o disastrose, vengono spacciate per “guerra lampo”, “manovre a tenaglia” e “sfondamenti” strategici.
L’impressione da queste prime fasi della presunta controffensiva è che le forze ucraine stiano cercando di strappare qualche metro di terreno dovunque sia possibile e individuare qualche varco che le porti avanti di qualche centinaio di metri. Quel tanto che basta per cantare vittoria. Gli obiettivi strategici sono infatti irraggiungibili con l’attuale schieramento di forze.
Che l’Ucraina stia “concentrando” gli sforzi su tre o cinque linee di attacco è ridicolo. In realtà agire su tre o cinque direttrici e quindi condurre decine di azioni tattiche significa diluire le forze disponibili su un fronte troppo ampio perché si parli di controffensiva. Significa spalmare un velo in prima linea senza seconda linea e altre riserve.
Se la dispersione è dovuta alla necessità d’individuare un varco per raggiungere uno degli obiettivi ha un senso, ma occorre essere certi che le forze che penetrano abbiano la possibilità di proseguire o mantenere le posizioni acquisite e non diventino i tonni nella tonnara. Se invece è una strategia d’ingaggio per mantenere gli avversari impegnati, occorre avere la certezza che qualcun altro o qualcos’altro arrivi agli obiettivi.
Usa, Europa e Nato si sono già candidati per farlo, a parole. Ma con i rischi che corrono non è detto che lo facciano veramente. Gli stessi ucraini non vogliono che Nato, Usa ed Europa possano vantare il merito di avere liberato l’Ucraina, a parole.
Ma potrebbero essere indotti ad accettare l’aiuto “bilaterale” di Gran Bretagna, Polonia e Stati baltici. Sapendo però che non potrà essere un aiuto finale, che il conflitto continuerà ulteriormente allargato e che l’Ucraina e l’Europa, come minimo, non ne usciranno né integre né vittoriose.
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