Che i fanatici del più ottuso atlantismo stiano inquinando il dibattito sulla guerra con un idealismo da terza liceo, ormai al limite della parodia, è un fatto conclamato.
Ad avviso di questi sedicenti ‘figli di Kant’, il boom della spesa militare occidentale si spiegherebbe esclusivamente con l’altissimo proposito di difendere la libertà e la democrazia nel mondo, giammai gli affari.
I campioni di grottesco, tra questi crociati della guerra, sono forse i liberisti filo-americani. Usciti ideologicamente acciaccati dalla grande crisi economica e vogliosi di riciclarsi, i cantori del laissez-faire dimenticano i loro vecchi entusiasmi per l’ingresso della Cina nel WTO e chiudono gli occhi dinanzi alla svolta degli Stati Uniti verso la politica del “friend shoring”, un protezionismo unilaterale aggressivo che è alla base degli attuali venti di guerra.
L’involontaria comicità liberista è ormai senza freni.
Anche dal lato dei pacifisti, tuttavia, bisogna ammettere che le cose non vanno benissimo. Nelle loro argomentazioni c’è ancora molta retorica e poca analisi materiale dei fatti, il che non aiuta a fronteggiare le mistificazioni dei guerrafondai.
Tralascio per pietà i frastornati che si ostinano a intravedere in Putin un surrettizio continuatore della rivoluzione bolscevica. Per smentirli, del resto, bastano le stesse parole del presidente russo, che senza alcuna vergogna non perde occasione di dichiarare la sua ammirazione per l’orrida dinastia degli Zar e la sua aperta ostilità verso il “traditore” Lenin.
Piuttosto, mi soffermo sul fatto che troppi pacifisti appaiono sedotti da letture del conflitto in Ucraina alquanto semplicistiche, che si concentrano sui meri aspetti territoriali della guerra mentre tralasciano i sotterranei meccanismi capitalistici che la alimentano.
A titolo di esempio, consideriamo un convincimento piuttosto diffuso tra gli oppositori dell’invio di armi all’Ucraina. È l’idea secondo cui la Russia avrebbe aggredito l’Ucraina per difendersi dalla minaccia militare dell’avanzata NATO a est.
Questa tesi molto in voga rappresenta una tipica banalizzazione del problema, che aiuta poco alla comprensione dei fatti. Per capirlo, basterebbe ricordare che ai tempi dell’adesione al G7 la stessa Russia considerava anche l’ipotesi di un suo ingresso nella NATO.
È chiaro che da allora ad oggi qualcosa deve esser cambiato. Ma cosa?
La risposta è economica. All’epoca USA e UE erano ancora ubriacati di globalismo e accoglievano a braccia aperte i capitali e le merci provenienti dalla Russia, dalla Cina e dal resto dell’oriente non allineato.
Ma a partire dalla grande crisi finanziaria del 2008, gli americani e gli europei al traino hanno cominciato a erigere barriere protezionistiche sempre più alte. È da questo sconcertante rovesciamento nei rapporti capitalistici tra occidente e oriente che nasce l’ostilità di Putin e dei suoi verso la NATO. Il resto è secondario.
Abituati a dissetarsi al basso abbeveratoio dei soliti esperti di geopolitica, troppi pacifisti appaiono impreparati su questi fondamentali meccanismi capitalistici alla base dei massacri in corso. La terribile conseguenza è che ai costruttori di pace manca tuttora una lettura onesta e disincantata della guerra.
Forse anche per questo, diversamente dal passato, oggi si fatica a intravedere un forte movimento pacifista. Senza comprendere la realtà, è impossibile incidere sulla realtà.
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