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15/07/2023

Il vertice di Vilnius e l'atteggiamento sempre più aggressivo della NATO

di Domenico Moro

L’11 e il 12 luglio si è tenuto l’ultimo vertice della Nato a Vilnius, in Lituania. La Nato, acronimo inglese che sta per Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, esiste ormai da 74 anni. La sua nascita risale al 1949, quando l’obiettivo era contrastare l’Urss in Europa nel quadro della guerra fredda. Successivamente, l’Urss diede vita nel 1955 al Patto di Varsavia, un’alleanza dei paesi socialisti in risposta alla Nato. Teoricamente la Nato avrebbe dovuto sciogliersi al momento della dissoluzione dell’Urss e dello scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991. Così non è stato. La Nato ha continuato ad esistere, partecipando a una serie di conflitti dentro e fuori dell’Europa, ad esempio in Serbia, che fu bombardata dagli aerei dell’alleanza per 78 giorni, in Afghanistan e in Libia, dove ha determinato il defenestramento di Gheddafi e la destabilizzazione di quel Paese che dura tutt’oggi. Soprattutto la Nato ha continuato ad allargarsi sempre più a est, inglobando numerosi Paesi del blocco ex sovietico ed estendendo i propri confini a ridosso della Russia, malgrado le ripetute rimostranze di quest’ultima. L’Ungheria, la Polonia e la Repubblica ceca sono entrate nella Nato nel 1999, mentre i Paesi baltici – Lettonia, Lituania ed Estonia – la Romania e la Slovacchia sono entrati nel 2004. Più recentemente era in programma l’ingresso della Ucraina nella Nato, una delle ragioni dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Una estensione della Nato in Ucraina avrebbe rappresentato un chiaro vantaggio strategico per l’alleanza, che avrebbe potuto piazzare basi missilistiche e truppe a pochi chilometri da Mosca, minacciandola direttamente.

L’allargamento a est contraddice quanto promesso dagli Usa ai dirigenti dell’Urss, in particolare a Gorbaciov, al momento della dissoluzione del Patto di Varsavia. In particolare nel marzo 1991 si tenne un vertice tra rappresentanti delle potenze occidentali (Usa, Francia, Regno Unito e Germania) e quelli dell’Urss e della Germania Est nel quale vennero fornite ampie assicurazioni sul mantenimento dei confini della Nato. In particolare, secondo quanto appurato dal settimanale tedesco Der Spiegel, il rappresentante statunitense, Raimond Seitz, dichiarò: “Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione Sovietica nei colloqui 4+2 così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente”. Inoltre, lo stesso Gorbaciov disse in una intervista del 7 maggio 2008 al Daily Telegraph che il cancelliere tedesco Helmut Khol gli aveva promesso che la Nato “non si muoverà di un centimetro più ad est”. Sempre Der Spiegel riporta anche le parole dell’ex ambasciatore Usa a Mosca, Jack Matlock, secondo cui erano state date “garanzie categoriche” all’Unione Sovietica sulla non estensione a est della Nato. La Nato ha quindi mostrato, contrariamente alle promesse seguite alla fine della guerra fredda, un atteggiamento espansivo ed aggressivo, che è stato ben sintetizzato da Papa Francesco quando ha parlato dell’”abbaiare della Nato alle porte di Mosca”.

Ma veniamo al vertice recente della Nato, dove sono emerse nuove divergenze tra i paesi membri, dopo quelle che hanno impedito la nomina di un nuovo segretario generale al posto di Stoltenberg, che è stato riconfermato fino al 2024. Uno dei temi principali, se non il principale, era l’adesione dell’Ucraina alla Nato, che il presidente Zelensky avrebbe voluto immediata. Su questo i paesi della Nato si sono divisi tra di loro. In particolare, mentre il Regno Unito avrebbe voluto un ingresso immediato, la Germania e gli Usa hanno frenato per paura di ritrovarsi in una guerra contro la Russia in base all’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza atlantica, che prevede l’entrata in guerra dei paesi membri dell’alleanza nel caso in cui uno di essi fosse attaccato da un paese terzo. Di conseguenza, la Nato ha promesso “di estendere un invito” all’Ucraina non appena “vi sarà l’accordo degli alleati e le condizioni saranno rispettate”. La dilazione di una vera e propria decisione e di una road map definita ha sollevato l’irritazione di Zelensky che ha scritto su Twitter: “Sembra che non ci sia alcuna disponibilità né ad invitare l’Ucraina nella Nato né a farne un membro dell’alleanza. La Russia potrà continuare la guerra di terrore”. Alla conclusione del vertice si è praticamente rimandato l’ingresso dell’Ucraina nella Nato alla fine della guerra con la Russia. A determinare la mancata decisione della Nato sulla road map per l’ingresso ha pesato la volontà degli Usa, che non sono soddisfatti dell’andamento della guerra in Ucraina. Di fatto l’offensiva ucraina non mostra di fare passi in avanti. L’errore degli ucraini è stato quello di concentrarsi, contro i consigli statunitensi, su Bakhmut, lasciando ai russi il tempo di rinforzare le proprie difese con ampi campi minati e uno strutturato e profondo sistema di trincee, che ora non sembra essere superabile dagli ucraini. Di fatto, è evidente agli occhi degli statunitensi che l’Ucraina non è assolutamente in grado di sconfiggere la Russia e tantomeno di riconquistare la Crimea e gli altri territori del Donbass che si sono dichiarati indipendenti. Di conseguenza, sfumata la possibilità di vittoria, la dirigenza Ucraina ha solo una strada per entrare nella Nato: un trattato di pace con la Russia, che però sancirebbe la perdita di parte del suo territorio. Una condizione che risulterebbe inaccettabile a Zelensky, minando la base del suo potere. L’alternativa è continuare una guerra sanguinosa che esaurisce l’Ucraina e comporta alti costi anche per i paesi della Nato che la sostengono.

Altro tema importante è stato quello dell’ingresso della Svezia nella Nato. L’Ungheria e soprattutto la Turchia precedentemente si erano opposte a questo nuovo ingresso, perché la Svezia offre asilo politico a esponenti di organizzazioni curde che la Turchia giudica terroristiche. Ma dietro le ritrosie di Ankara c’era anche la questione dell’ingresso della Turchia nell’Ue, osteggiato da diversi paesi europei, e la questione della mancata disponibilità degli Usa alla vendita di alcuni armamenti, in particolare degli aerei da caccia F-16. Recentemente, però, c’è stata la disponibilità dei vertici europei a rilanciare la negoziazione sulla modernizzazione del trattato che regolamenta l’unione doganale tra Turchia e Ue, cosa di cui la Turchia ha bisogno data l’alta inflazione e la sua precaria situazione economica. Questo e la annunciata disponibilità statunitense alla vendita degli F-16 hanno contribuito a far sì che la Turchia desse il suo assenso all’adesione della Svezia alla Nato, a cui ha fatto seguito anche il via libera ungherese.

Infine, nel vertice di Vilnius va segnalata la presenza dei capi di governo di paesi dell’area dell’Indo-pacifico, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. L’incontro tra i paesi Nato e quelli dell’Indo-Pacifico nasce dalla volontà degli Usa di creare un unico blocco di Paesi alleati per contenere la Cina. Infatti, l’obiettivo è quello di rafforzare i rapporti con “una regione del mondo segnata dall’assertività della Cina”, dove è già attiva l’Aukus, l’alleanza recentemente siglata tra Australia, Regno Unito e Usa in funzione anti-cinese. Il coinvolgimento della Nato in questa area del mondo è un fatto grave che testimonia, come l’espansione in Europa orientale, che l’alleanza sta assumendo un atteggiamento sempre più espansivo e aggressivo andando anche ben oltre non solo le ragioni ma anche il contesto europeo per il quale era stata fondata nel 1949. Di fatto, la Nato sta diventando una alleanza con una volontà di proiezione della forza a livello globale. Non si vede, però, quale sia, per i Paesi europei come l’Italia, l’utilità di una alleanza che si estenda all’area dell’Indo-Pacifico, a parte provocare la Cina. Del resto, la Francia si è opposta all’apertura di un ufficio Nato a Tokyo. Il presidente Macron a Vilnius ha affermato: “L’Indo-Pacifico non è l’Atlantico del Nord. Sono d’accordo nel creare partenariati militari e intimità strategica con i paesi asiatici, ma senza per questo estendere il dominio della lotta”.

L’utilità di una estensione globale del raggio d’azione della Nato, del resto già raggiunta con l’intervento in Afghanistan, è solo per gli Usa, che mirano a separare l’Europa dalla Cina, così come è stata separata dalla Russia grazie alla guerra in Ucraina. L’unica difficoltà è che la Cina non è la Russia e economicamente è un gigante. La Cina, dalla globalizzazione in poi, è strettamente interconnessa con le economie statunitense e europea, che ne sono dipendenti. Per questo non è facile attuare politiche di separazione e di sostituzione con altri fornitori di beni, semilavorati e materie prime, specie quelle che servono alla costruzione dei microchip, sempre più strategici nell’industria, compresa quella bellica. Recentemente la Cina ha messo il blocco all’esportazione di alcune materie prime strategiche per la produzione di microchip, come risposta all’embargo contro la Cina decretato dagli Usa sui microchip. A tutto questo bisogna aggiungere che la Cina detiene gran parte del debito pubblico statunitense. Se la Cina decidesse di non acquistare più i treasury bill, i titoli di stato americani, l’amministrazione Biden si troverebbe in guai grossi, perché non riuscirebbe a finanziare il proprio debito e di conseguenza avrebbe difficoltà a garantire quel sostegno pubblico all’economia statunitense che è sempre più necessario data la stagnazione in cui si trova.

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