Almeno per il momento la Russia è riuscita ad uscire dalla ‘crisi Prigozhin’ forse nel migliore dei modi possibili: per la sua gente e per il resto del mondo. Ma è presto per giudicare in profondità i risvolti della cronaca russa delle ultime novantasei ore.
È del tutto evidente che quello messo in atto non fosse un evento improvvisato: oltre a confermare le ambizioni coltivate in questi anni da Evgenij Prigozhin, la vicenda costituisce forse il più violento terremoto interno avvenuto in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica. In confronto, le guerre cecene e l’annesso fenomeno del terrorismo, hanno comunque avuto un perimetro politico limitato.
Uno dei temi di fondo di questa vicenda è di certo il monopolio della forza da parte dello stato, tanto più in una grande potenza: presupposto problematizzato da Evgenij Prigozhin nella Russia dei nostri giorni.
Quanto sia profondo il solco scavato da Prigozhin nella società russa e tra le forze armate lo dirà il tempo. Sta di fatto che la guerra civile su cui alcuni scommettevano non è cominciata.
Restano fatti gravi, comunque: la morte di alcuni militari – da ambo le parti –, l’abbattimento di alcuni velivoli dell’esercito regolare, il bombardamento della colonna della Wagner in movimento verso Mosca, e ancora prima di tutto questo l’idea stessa che ha mosso Prigozhin ed almeno una parte dei suoi uomini.
È possibile che le azioni di Prigozhin riducano in modo drastico la simpatia che quest’ultimo si è guadagnato tra molti russi – militari e non – come figura capace, risoluta e antagonista della burocrazia. Alcuni, soprattutto i meno giovani, hanno già cominciato a guardare Prigozhin con sospetto e con risentimento: altri gli sono avvicinati, altri ancora forse gli si avvicineranno. Russi e non solo.
Per i più ottimisti, la vicenda potrebbe innescare un cambio di atteggiamento da parte di Washington: nei fatti l’incognita Prigozhin sembra aver preoccupato molto anche gli Stati Uniti, sia per l’antagonismo militare, sia per la sua imprevedibilità.
Nella nuova fase che potrebbe aprirsi la continuazione del conflitto ucraino potrebbe diventare un rischio sia per l’attuale amministrazione russa che per quella degli Stati Uniti.
Se il Cremlino fa i conti con Prigozhin, la Casa Bianca fa i conti, tra le molte questioni, con i problemi della controffensiva ucraina e con l’imminente inizio della campagna elettorale che si preannuncia assai complicata per la fazione di Joe Biden. Questi elementi potrebbero forse concorrere – con l’ausilio del Vaticano – ad una pur parziale e temporanea intesa tra Mosca e Washington?
Per i meno ottimisti, la vicenda non sarebbe invece destinata a produrre differenze sostanziali nel conflitto ucraino, e nella sua prospettiva di lunga durata.
La vicenda ha palesato anche agli occhi più miopi quale realisticamente possa essere, ad oggi, la natura di una possibile alternativa all’attuale amministrazione russa. Sul conto di quest’ultima si possono certamente mettere molti errori, ma si dovrebbe comunque riconoscerle, al netto dei difetti, una capacità di tenuta regolarmente sottostimata.
La forzatura di Prigozhin, alla prova dei fatti, non ha raccolto nessun consenso tangibile da parte dei vertici militari e dell’apparato di sicurezza e le forze ucraine non sono riuscite ad approfittare della situazione in modo efficace.
Che a Washington, e non solo, ci fossero informazioni sul piano di Prigozhin è senz’altro verosimile. Ma è verosimile anche che il Cremlino fosse al corrente del piano e che abbia lasciato Prigozhin muovere la propria azione: se questa fosse stata una scelta, in meno di ventiquattro ore avrebbe permesso l’integrazione della tumultuosa Wagner nei ranghi delle forze regolari, l’esilio di Prigozhin nella veste di traditore ed il rafforzamento della presidenza di Vladimir Vladimirovich.
Se non si trattasse di una scelta e di una reazione metodicamente pianificata, l’amministrazione sarebbe stata decisamente fortunata.
Il Cremlino ha evidentemente trattato con Prigozhin per evitare il peggio: non farlo, avrebbe quasi di certo portato ad uno scenario di guerra aperta. La questione dei vertici della difesa – attaccati in modo sistematico da Prigozhin negli ultimi mesi – non è, probabilmente, neanche quella fondamentale.
La vicenda ha ricordato anche ai più distratti il ruolo delle oligarchie nella Russia dei nostri giorni, e quanto gli interessi di queste finiscano spesso per contrapporsi all’interesse generale.
La lezione per il Cremlino è almeno duplice: ridimensionare il ruolo delle oligarchie rappresenta una necessità per la sicurezza dello Stato e l’interesse generale. L’inerzia e l’inadeguatezza di certa burocrazia rappresentano un problema da non sottovalutare specie quando, se non risolto, può essere cavalcato nelle proprie manovre da oligarchi e signori della guerra.
Per adesso, Prigozhin è riuscito a fare quello di cui ben pochi erano stati capaci: mettere in imbarazzo il presidente di fronte agli occhi dei russi e del resto del mondo e costringerlo alla trattativa.
Più che da chiedersi se ci sarà una resa dei conti, viene da chiedersi quali forme e risvolti la caratterizzeranno. In ogni caso l’epilogo della vicenda segnerà un’epoca: certamente per la Russia e con buone probabilità anche per lo scenario globale.
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