Dopo sei anni di battaglia legale la Corte Suprema indiana ha respinto l'istanza dell’industria farmaceutica svizzera per il brevetto di un farmaco anti tumore. I giudici hanno stabilito che l’industria locale ha il diritto a produrre il medicinale Glivec come farmaco generico per salvaguardare il diritto alla salute della popolazione
Sei anni di battaglia legale tra il colosso farmaceutico Novartis e l’India, ma già come avvenuto con Roche e Bayer
i supremi giudici si sono messi una mano sulla coscienza dando torto a
“Big Pharma”. La Corte Suprema indiana ha respinto il ricorso
dell’industria farmaceutica svizzera relativo al brevetto di un farmaco
anti tumore. I giudici, secondo la tv Cnn Ibn, hanno stabilito che
l’industria locale ha il diritto a produrre il medicinale Glivec come farmaco generico low cost per salvaguardare il diritto alla salute
della popolazione. La sentenza arriva dopo anni di carte bollate e
recriminazioni ingaggiata dal colosso elvetico per ottenere il rispetto
delle leggi sulla proprietà intellettuale. Come motivazione la Corte
Suprema ha argomentato che il Glivec “non è un prodotto innovativo”
perché utilizza una molecola già nota e quindi non rientra nei criteri
stabiliti per le “invenzioni”. Le associazioni indiane di difesa dei
diritti umani esultano perché si tratta di una conferma dell’India come
“farmacia dei poveri” mondiale.
Poco meno di un mese fa, il 5
marzo, l’India aveva respinto un altro ricorso; quello della società
farmaceutica Bayer sempre contro una versione low cost di un farmaco
anti cancro. L’industri tedesca si era rivolta alla Commissione di
appello per la proprietà intellettuale (Ipab) per chiedere l’annullamento della decisione di cedere all’indiana Natco Pharma un brevetto per produrre a basso costo il Nexavar, usato per curare il tumore al fegato e ai reni. La Bayer
vendeva il medicinale a circa 5.600 dollari per 120 compresse, ovvero
la scorta per un mese, mentre il prezzo della versione generica indiana è
di 175 dollari per la stessa dose. Un anno fa, il governo indiano aveva
concesso il brevetto alla Natco Pharma con la motivazione che ”doveva
essere alla portata della maggior parte dei malati”. Il 3 novembre del
2012 l’India aveva revocato il brevetto di un costoso medicinale anti
epatite prodotto dalla svizzera Roche rompendo di fatto il monopolio
detenuto dalla società. Anche in questo caso la Corte di appello
indiana per i brevetti (Ipab) ha ritenuto il farmaco Pegasys, usato per
curare l’epatite C, non ”un’invenzione’‘, tale quindi
da essere protetta da un brevetto secondo il regime sulla tutela della
proprietà intellettuale noto. La cura, che dura sei mesi costa oltre
8.700 dollari, una cifra enorme per larga parte dei malati cronici di
epatite che sono in maggioranza tossicodipendenti. Il
Pegasys è stato il primo farmaco brevettato in India dove oltre il 90%
dei medicinali sono generici, ovvero ”copiati” da prodotti che sono
frutto di anni di ricerca delle aziende occidentali. Si
tratta di un annosa disputa ma che di recente, con la crisi economica
globale, è diventata di primaria importanza per i rapporti tra l’India e
le aziende occidentali.
Quello del paese asiatico è uno dei mercati più appetitosi al mondo con un giro d’affari stimato di 12 miliardi di dollari, ma
anche con una legislazione in materia di proprietà intellettuale che si
presta a molte interpretazioni, come si lamentano le case
farmaceutiche. Contrastate da organizzazioni umanitarie come ”Medici
Senza Frontiere” che si riforniscono dall’India per le loro campagne
mondiali sulla sanità e anti Aids.
Durissima la reazione della società: “La decisione della Corte suprema indiana scoraggia la ricerca di farmaci innovativi,
essenziale per l’avanzamento della scienza medica al servizio dei
pazienti. A Novartis non è mai stato riconosciuto un brevetto originale
per Glivec in India. Siamo fermamente convinti che le innovazioni
originali debbano essere riconosciute e tutelate da brevetti al fine di
incoraggiare gli investimenti nell’innovazione medica, in particolare
nel caso di bisogni clinici insoddisfatti” ha detto Ranjit Shahani, vice
chairman e managing director di Novartis India Limited.
“Abbiamo
portato avanti questo caso poiché crediamo che i brevetti tutelino
l’innovazione e incoraggino i progressi medici, soprattutto per i
bisogni clinici insoddisfatti”, ha aggiunto. “Questa sentenza
rappresenta una battuta d’arresto per i pazienti e
ostacolerà i progressi medici nelle patologie per le quali non sono
ancora disponibili opzioni terapeutiche efficaci”. In una conferenza
stampa a Mumbai trasmessa in diretta dalle tv indiane, Ranjani ha
ricordato che il Glivec è “fornito gratuitamente al 95% dei pazienti
indiani” nell’ambito delle iniziative dell’azienda svizzera per
garantire l’accesso a farmaci salvavita alle fasce
povere della popolazione. Il costoso farmaco elvetico è usato da 16 mila
malati in India. “Novartis non ha quindi interessi commerciali su
questo farmaco in India” ha aggiunto. Rispondendo a una domanda sulle
ripercussioni del verdetto, il manager ha precisato che “Novartis
continuerà a investire in India e a chiedere brevetti” per i suoi
prodotti. Si è augurato inoltre che in futuro “possa migliorare il clima
in cui si svolge la ricerca farmaceutica a beneficio delle aziende
straniere e anche di quelle indiane”. Ha poi ricordato che dal 2005
“milioni di dollari di investimenti sono andati in Cina” a discapito dell’India dove manca un “ecosistema” favorevole alla tutela della proprietà intellettuale.
Fonte
E' un po' difficile farsi un'opinione univoca sul fatto in quanto da una parte ci sta Novartis (e il resto di Big Pharma che specula tranquillamente sulla salute della gente) che dice d'aver fornito il farmaco incriminato gratuitamente al 95% dei malati indiani, dall'altra c'è l'India e la sua industria farmaceutica che notoriamente vive e prolifica sui farmaci generici che necessitano di sentenze come questa sul mancato riconoscimento di brevetti altrui.
Mi sa che tra i due contendenti, come sempre ci rimette l'anello debole della catena: il malato.
Di una cosa sono certo, lo sviluppo e la ricerca medica - e non solo - dovrebbe essere completamente espropriante da qualsiasi interesse commerciale e privato, con buona pace delle stronzate sul progresso che senza i capitali privati non sarebbe possibile.
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