di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Un’operazione congiunta tra intelligence straniere e esercito libanese segna un punto contro il califfo. Una delle tre mogli di al-Baghdadi è stata arrestata insieme ad una delle figlie in Libano, al confine con la Siria, nella città di Arsal, teatro nei mesi appena trascorsi di attacchi del Fronte al-Nusra contro le truppe del paese dei Cedri.
La donna, di nazionalità irachena, stava viaggiando con una bimba di 8
anni, sottoposta al test del Dna per verificare che sia figlia del
califfo. Dopo l’arresto è stata condotta al Ministero della Difesa a
Yarze dove è stata identificata come Saja al-Dulaimi. Era stata fermata
mentre entrava in Libano 9 giorni fa con documenti falsi, dopo
informazioni raccolte da servizi segreti stranieri, tra cui quelli di
Baghdad. La Dulaimi, considerata «figura di potere all’interno
dell’Isis», è una delle 150 donne rilasciate dalle prigioni siriane a
marzo in un accordo di scambio con 13 suore catturate a Maalula da
al-Nusra.
E mentre la coalizione si chiede cosa ci facesse in Libano, si
discute dell’effetto che tale arresto può avere sullo Stato Islamico: è possibile che venga usato per barattare la liberazione di ostaggi.
Un’eventualità non da scartare: da mesi al-Nusra tratta con le autorità
libanesi il rilascio di prigionieri islamisti in cambio di 27 soldati
di Beirut. Ma, seppure al-Nusra sia oggi considerato un alleato
dell’Isis, non è detto che “conceda” i 27 militari ad al-Baghdadi per
uno scambio su cui lavora da tempo.
Non giungono commenti dall’Isis né dallo stesso al-Baghdadi sulla cui testa pende una taglia Usa da 10 milioni di dollari. Non
è da escludere una rappresaglia islamista contro le autorità libanesi,
che da anni soffrono gli effetti settari della guerra civile siriana e negli ultimi mesi sono state nel mirino di gruppi qaedisti che accusano Beirut di sostegno a Damasco. Ieri
in serata una pattuglia dell’esercito libanese è stata attaccata al
confine siriano, a Ras Baalbek, da uomini armati: 6 militari sono
rimasti uccisi, altri 7 scomparsi.
Il fronte di guerra si allarga ogni giorno di più. Sia via terra sia in aria: ieri
è stata pubblicata la notizia di raid compiuti da jet iraniani contro
postazioni Isis in Iraq. A conferma dei bombardamenti ci sarebbe un
video girato a fine novembre da Al Jazeera in cui si vede un
Phantom F-4 volare sui cieli iracheni. Un tipo di aereo usato sia da
Teheran sia da Ankara, ma le probabilità che sia iraniano sono
consistenti.
Conferma ufficiosa arriva dagli Stati Uniti chiamati di nuovo a fare i
conti con l’alleanza informale con Teheran. Se la Casa Bianca non
rilascia dichiarazioni, a parlare è un funzionario della difesa: Washington
sapeva già dei raid, compiuti a nord, in un’area che non è target della
coalizione. Per questo, ha aggiunto il funzionario, l’amministrazione
Obama non ne è particolarmente preoccupata: «Lo sappiamo. Non
dico che ne siamo necessariamente preoccupati, ma li teniamo sotto
controllo», ha detto, aggiungendo che l’intervento della Repubblica
Islamista (che avrebbe utilizzato lo stesso spazio aereo usato dagli
Usa) non metterebbe in pericolo il ruolo statunitense.
Ma sicuramente rafforza quello iraniano: primo paese ad inviare armi ai peshmerga e a mandare in Iraq consiglieri militari guidati dal capo dei pasdaran,
il generale Suleimani, per coordinare le attività delle milizie sciite
irachene, Teheran punta a rafforzare la propria influenza su Baghdad, a
scapito dei regimi sunniti del Golfo e della Turchia. Per farlo ha
più volte, ufficiosamente, cercato il coordinamento militare con gli
Usa, seppur di fronte alle telecamere l’Ayatollah Khamenei abbia sempre
rigettato forme di collaborazione. Stessa musica alla Casa Bianca.
Ma è difficile credere che jet iraniani possano sorvolare i cieli in
cui è elevatissima la presenza dell’aviazione Usa senza che prima ci sia
stato un minimo coordinamento.
Pare invece mancare il coordinamento tra Washington e Ankara: dopo
l’indiscrezione circolata lunedì di un possibile accordo per l’utilizzo
delle basi militari turche in cambio di una zona cuscinetto in Siria,
ieri la Casa Bianca ha detto di non essere ancora pronta
all’implementazione di una no-fly zone anti-Damasco.
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