Dopo un lungo iter e anni di polemiche e scontri, il governo nazionalista giapponese è riuscito a far approvare ieri dalla maggioranza dei deputati della Camera dei rappresentanti di Tokyo la nuova Legge sulla sicurezza nazionale che prevede, tra le altre cose, anche la possibilità di utilizzare le forze armate giapponesi in iniziative belliche al di fuori del territorio nazionale. Una svolta storica rispetto al ruolo di pura rappresentanza che le forze armate giapponesi hanno avuto dal 1945 ad oggi sulla base di una Costituzione imposta al paese dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale. L’articolo 9 della Carta fondamentale del paese di fatto rendeva impossibile al Giappone svolgere alcuna funzione di tipo militare al di fuori dei propri confini e limitava la composizione delle Forze Armate del paese – definite Forze di Autodifesa – a poche decine di migliaia di effettivi.
Il provvedimento approvato dopo il via libera dell'apposita commissione parlamentare della Camera, rappresenta una rottura evidente con valori e con un sentire comune ancora diffusi tra i giapponesi la cui preferenza per il governo è scesa al 40% nonostante l’altissima popolarità fin qui ottenuta dal primo ministro Shinzo Abe e dalla sua aggressiva politica nazionalista.
La controriforma della Costituzione – tra l’altro imposta dal Partito Liberaldemocratico in maniera surrettizia visto che il governo non è stato finora in grado di superare tutti gli ostacoli giuridici e politici necessari alla modifica dell’articolo 9 – è stata accolta dal boicottaggio di alcune delle opposizioni parlamentari di sinistra e centrosinistra. Al momento del voto le opposizioni, a partire dal Partito Democratico, hanno abbandonato l'aula. La legge è però passata grazie al sostegno del centrodestra e degli alleati del New Komeito.
L'approvazione del provvedimento è stata accompagnata nelle strade di Tokyo dalla protesta di decine di migliaia di cittadini; secondo le opposizioni sarebbero stati almeno 100.000 i manifestanti scesi in piazza. Un’opposizione di massa e attiva alle aspirazioni guerrafondaie e militariste del governo che agli osservatori ha ricordato quella che nel 1960 costrinse il nonno dell'attuale premier Shinzo Abe, Nobosuke Kishi, a dimettersi dopo che allo steso modo aveva fatto passare con procedura d'urgenza il nuovo patto di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti. Intellettuali, star dello spettacolo e dello sport, giovani e attivisti della non-violenza, hanno sfilato con la gente comune nel centro di Tokyo, per denunciare che il sì al riarmo "aumenta il rischio di una guerra nel Pacifico" e che si giustifica "solo con la necessità di compiacere gli Stati Uniti". La tivù di Stato ha mostrato migliaia di cartelli con la scritta "Io non sono Shinzo Abe".
È ora possibile che l'insistenza di Abe verso un nuovo prestigio nipponico affidato anche a un ruolo aggressivo delle Forze di autodifesa con la possibilità di un impiego all'estero se richiesto all’interno delle alleanze in cui il paese è inserito con sempre maggiore protagonismo, porti a una coalizione di tutte le forze politiche, pacifiste, anti-nazionaliste e anti-nucleariste contrarie alla politica del governo in carica e nuove proteste.
Secondo i promotori la legge sarebbe necessaria per contenere la crescente minaccia cinese e quella nordcoreana, ma che per gli oppositori rischia di imporre la partecipazione a conflitti in cui dovesse essere coinvolto l'alleato statunitense. Lo stesso primo ministro ha riconosciuto che la sua mossa ha un carattere anche economico in quanto l’impossibilità imposta dalla Costituzione di partecipare alle missioni militare internazionali "preclude vitali opportunità di business".
Il provvedimento ora proseguirà il proprio cammino verso il senato. Da qui, se non dovesse essere approvata entro 60 giorni, tornerebbe alla camera per un nuovo e definitivo voto che richiederebbe almeno però i due terzi dei parlamentari, teoricamente alla portata dell’ampia maggioranza guidata dal Partito liberal-democratico. Le forze dell'opposizione intendono comunque puntare a far riconoscere dagli organi giudiziari e legislativi l'incostituzionalità della nuova normativa.
Durissima la reazione della Cina, obiettivo principale della rinnovata aggressività militare giapponese. Il ministero degli Esteri di Pechino ha dichiarato che l'abrogazione della Costituzione pacifista "è un atto senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale" e che adesso "è perfettamente legittimo chiedersi se il Giappone rinuncerà alla sua politica orientata alla difesa, abbandonando la linea dello sviluppo pacifico". Tokyo ha scelto di accelerare il riarmo dopo la vittoria di Abe alle elezioni anticipate organizzate nel dicembre scorso e il governo ha strumentalizzato lo shock provocato in una parte della popolazione dalla decapitazione di due ostaggi giapponesi da parte dei jihadisti dello Stato Islamico. A inizio anno il governo ha varato un budget-record per la difesa, destinando all'esercito ben 36 miliardi di euro.
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