Il premier israeliano Benyamin Netanyahu non è solo
nella critica durissima che porta all’accordo sul programma nucleare
iraniano sottoscritto a Vienna da Tehran e dai Paesi del gruppo 5+1 (i
membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania). A
dare forza alla protesta del leader del governo di destra alla guida di
Israele, ci sono alcuni Paesi arabi che hanno accolto con grande
diffidenza l’accordo che interrompe l’isolamento internazionale
dell’Iran e che, a loro dire, potrebbe espandere “l’influenza sciita”
nella regione.
Ci riferiamo alle monarchie sunnite del Golfo. I
regnanti di questi Paesi temono che la fine delle sanzioni
internazionali, che per anni hanno strangolato le potenzialità
economiche dell’Iran, offrirà a Tehran l’opportunità per un ulteriore
sviluppo della sua influenza in Medio Oriente.
La regione da anni è paralizzata da uno scontro a distanza
tra le petromonarchie – peraltro accusate da più parti di sostenere in
varie forme i gruppi qaedisti e jihadisti che agiscono nell’area – e la
Repubblica islamica iraniana. I monarchi del Golfo, in
particolare i sauditi, combattono indirettamente l’Iran in Siria dove le
proteste popolari del 2011 si sono trasformate in una guerra civile e
infine in un conflitto tra le potenze regionali e tra i musulmani
sunniti e sciiti. Senza dubbio il sostegno di Tehran a Damasco ha
contribuito a puntellare l’esercito siriano sfiancato da quattro anni di
combattimenti contro jihadisti e qaedisti e tanti altri nemici, sempre
più armati.
I sauditi da mesi sono impegnati in una pesante campagna
aerea in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi, appoggiati dall’Iran. E
Riyadh gioca un ruolo determinante anche a sostegno dei sunniti iracheni
schierati contro il governo centrale di Baghdad che ritengono
“controllato” dall’Iran.
“La tensione nella regione, non è certo finita”, ha commentato Abdulkhaleq Abdullah,
un professore di scienze politiche alla United Arab Emirates
University, “se l’Iran crescerà come potenza regionale penso che vivremo
momenti difficili”. “Questo accordo, dal nostro punto di vista,
rappresenta una minaccia indiretta agli interessi arabi e alla pace”, ha
aggiunto da parte sua Tariq Al-Shammari, un analista saudita e presidente del Consiglio del Golfo per le Relazioni Internazionali.
Dietro le quinte le monarchie sunnite lavoreranno per cercare di tenere l’Iran isolato politicamente ed economicamente.
L’Arabia Saudita si è già mossa per migliorare i rapporti con la
Russia, alleata dell’Iran, allo scopo di allentare le relazioni tra
Mosca e Tehran e di spingere Vladimir Putin ad interrompere l’aiuto
militare alla Siria.
Tuttavia, a differenza dell’Arabia Saudita, altre monarchie del Golfo
hanno cercato, almeno ufficialmente, di mostrare una posizione più
aperta. Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno legami commerciali di
lunga data con Tehran, e l’emiro del Kuwait, che ha visitato Teheran lo
scorso anno, nel tentativo di migliorare le relazioni bilaterali, hanno
subito inviato messaggi di congratulazioni all’Iran ed espresso la
speranza che l’accordo di Vienna contribuisca alla sicurezza regionale e
alla stabilità.
Da parte sua l’Egitto, attraverso il portavoce del
ministero degli esteri, Badr Abdelattie, ha espresso l’auspicio che
l’accordo con l’Iran rappresenti “un passo verso una regione esente da
armi nucleari”. E’ un punto sul quale batte da lungo tempo il Cairo che
denuncia la presenza, tenuta sino ad oggi segreta, di armi atomiche in
Israele, paese che non ha ancora firmato il Trattato di non
proliferazione nucleare.
Un clima ben diverso si respira a Damasco dove si spera in un maggiore aiuto dell’Iran, economico e militare, una volta che Tehran sarà libera dalle sanzioni.
Il presidente siriano Bashar Assad si è affrettato a congratularsi con
il leader supremo iraniano Ali Khamenei e il presidente Hassan Rouhani.
Nel messaggio indirizzato a Khamenei, Assad ha descritto l’accordo come
“una grande vittoria” ottenuta dall'Iran e una “svolta storica” nella
storia della regione e del mondo. “Siamo certi che la Repubblica
islamica dell’Iran continuerà, con maggiore slancio, a sostenere le
giuste cause delle nazioni”, ha scritto.
Ottimismo anche a Baghdad. Saad al-Hadithi,
portavoce del primo ministro (sciita), Haider al-Abadi, ha descritto
l’accordo “un catalizzatore per la stabilità regionale”, che porterà ad
una migliore unità nella lotta contro il terrorismo. Decisamente più
cauto il deputato sunnita Hamid al-Mutlaq. “Speriamo ora di vedere una
interferenza iraniana positiva, non negativa nella regione”, ha detto.
A dir poco rabbiosi sono i militanti sunniti più radicali che parlano di “acquiescenza alla diffusione del potere iraniano”. Un importante religioso saudita, Salman al-Ouda,
ha avvertito in un tweet che “l’Iran si sta muovendo secondo una
visione chiara e ben studiata, che tende ad assorbire i suoi avversari.
Dove sono i governi arabi? Dove si trova il loro progetto alternativo
per affrontare la sfida?”.
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