di Raffaele Sciortino
Era facile
prevedere che l’OXI glielo avrebbero fatto pagare carissimo, e così è
stato. Alla luce dell’esito durissimo del “negoziato” tra governo greco
ed Eurogruppo la discussione ruota ora intorno alle prese di posizione
pro/contro Tsipras -ha tradito o non ha tradito il mandato popolare- e/o alla questione se il prezzo per salvare l’Europa non sia magari troppo alto. Una discussione, come minimo, in ritardo di fase. Questo “accordo” infatti non evita il Grexit ma ne è a ben vedere il primo atto, ed è da qui che bisognerebbe partire.
In
effetti, a un minimo di considerazione realistica ciò che dovrebbe
saltare agli occhi è che le condizioni del diktat europeo sono
semplicemente inattuabili. Inattuabili per le prevedibili conseguenze sociali e politiche della “curatela” (così la Faz)
imposta. Perché il “piano di investimenti” che Tsipras avrebbe
strappato è una bufala - per poter investire un miliardo di euro, la
Grecia dovrà prima cederne qualcosa come venticinque in asset pubblici
pro banche e interessi, alla faccia della “crescita”. Perché il debito
greco aumenterà ulteriormente ed è già oggi inesigibile. Ma soprattutto
perché a metterci i soldi non sarà l’Europa ma dovrebbe essere Atene
stessa, non solo con le privatizzazioni ma con il bail in delle
banche greche, oramai sotto pieno controllo Bce, essendo solo questione
di tempo e modi la loro ricapitalizzazione via requisizione dei conti
correnti (secondo il precedente cipriota). È ovvio che da qui a qualche
mese salterà tutto, in un modo o nell’altro. Possibile che almeno non si
sospetti che siamo (per ora) di fronte a un Grexit al rallentatore?
Dal punto di vista di Berlino l’accordo è infatti congegnato in maniera tale da non poter che essere nei fatti disatteso (al
di là dei diversi ostacoli procedurali che dovrebbero alla fine essere
superati, dal varo di un prestito ponte alle misure della Bce sulla
liquidità). E nel momento in cui ciò sarà servito dalla macchina da
guerra della comunicazione all’”opinione pubblica” europea - neanche il terzo pacchetto di “aiuti” è servito con questa gente! - sarà di fatto Grexit a pieno titolo (le forme giuridiche poi si troveranno).
Tutto un teatrino allora il “drammatico” eurogruppo di domenica? Niente affatto: di fronte alla fortissima pressione statunitense
- il vero convitato di pietra dell’eurogruppo coadiuvato dal Fondo
Monetario - Berlino è stata costretta, temporaneamente, a rinviare un Grexit
immediato nudo e crudo, ma è rimasta ferma abbastanza per porne le basi
a breve-medio termine. Con tutti i governi europei che in un modo o
nell’altro hanno accettato l’atteggiamento tedesco - altro che
inesistenti meriti francesi, di Renzi poi non mette neanche conto
parlarne - vuoi per interessi diretti vuoi perché diligenti scolaretti
vuoi perché terrorizzati dal messaggio lanciato da Berlino (dove nel
frattempo l’asse del governo si è spostato da Merkel a favore del
ministro delle finanze Schäuble).
Forse non lo si vuol capire, ma siamo all’inizio del decoupling della Germania da questa Europa così come si è data finora. Abbiamo già discusso il perché di questa “ritirata strategica” (L'ordine non regna ad Atene). Per
Berlino l’altra Europa possibile, e a questo punto necessaria, è quella
di un nucleo di paesi “nordici” (la stessa Francia dovrà sudare per
rientrarvi) in cui le maglie delle politiche fiscali, monetarie, sociali
ecc. verranno strette come precondizione di una vera unione politica,
mentre chi non può o vuole si dovrà accomodare in uno dei cerchi
concentrici esterni, prima o più probabilmente dopo aver assaggiato la
vera austerity in salsa Schäuble. Con ciò la classe
dirigente tedesca crede (o si illude?) di poter affrontare da una
posizione di maggior forza, senza “zavorre” economiche e politiche, le
sfide poste dalla crisi e dal riaccendersi dei contrasti tra i grandi
attori globali. Comunque andrà, suonano patetici e autoconsolatori i messaggi di scampato pericolo propinati dai nostrani “prodi” del giorno dopo…
Altrettanto
autoconsolatori ma se possibile ancora più confusivi i tentativi di
cercare una sponda nella “ragionevolezza” di Washington e del Fondo Monetario
come compagni di trattativa utili a contenere e smussare la rigidità
tedesca. Quanto al Fmi, si dimentica bellamente l’intervento di Lagarde l’americana
a emendare con la matita rossa il testo che Merkel e Tsipras stavano
concordando (il che ha portato all’indizione del referendum). Ora escono
fuori con una tempistica quanto meno strana i memo sull’insostenibilità
del debito greco, ma a che pro? Perché la Germania e gli altri paesi
europei, questa la richiesta esplicita, si accollino un haircut
significativo del debito greco, mentre il Fondo si sfila da qualunque
ulteriore “aiuto” finanziario e il Dipartimento del tesoro Usa continua
la sua pressione sulle capitali europee perché ci mettano i soldi
tenendo dentro la Grecia a che non si sfili verso la Russia.
Non
va dimenticato insomma che la vicenda greca è un episodio della crisi
globale e degli scontri emersi negli ultimi anni anche tra i partner
occidentali. Non a caso il primo episodio della crisi greca coincise con
la speculazione della finanza transnazionale sui debiti statali europei
e con l’innesco dell’eurocrisi, sullo sfondo dello scontro tra dollaro e
euro. Oggi questo non si è dato, ma resta che le divergenze ricompaiono
alla superficie rinviando al problema di fondo che sta dietro
l’ennesima precipitazione della vicenda greca: chi deve bruciare i
crediti inesigibili - e quelli greci sono solo un’infinitesima parte del
capitale fittizio globale - sobbarcandosene il costo? Le nubi che si
addensano sull’economia e sulla geopolitica mondiale - dal fronte
orientale anti-russo al Medio Oriente e al Mediterraneo che bruciano,
dallo sgonfiamento della borsa cinese al futuro aumento dei tassi
statunitensi - annunciano probabilmente un nuovo passaggio di
approfondimento della crisi globale. Il grande gioco sulla pelle dei
greci ci dice che il clima complessivo sta cambiando.
Per finire, solo qualche battuta su Tsipras e sulla dèbacle di Syriza
perché il tema meriterebbe ben altri approfondimenti e il “voltafaccia”
per quasi tutti inaspettato non è mera vicenda personale riconducibile a
un “tradimento” (?!) o anche solo limitata al contesto greco. C’è
innanzitutto il dato oggettivo-soggettivo dell’isolamento completo a
scala europea in cui si è trovata e si trova la popolazione greca nel
suo tentativo di resistenza. E c’è, probabilmente ancora forte anche se
da qui è impossibile giudicare, l’ambivalenza insita in questa
resistenza tra rivendicazione di dignità e di forme di vita e però
volontà di restare ancorati all’euro e tramite questo all’Europa contro
una rottura che viene percepita come un salto nel buio. In fondo, l’euro
diventato quasi un “feticcio” è solo l’altra faccia di ciò, di
un’insufficienza di iniziativa e costruzione autonoma, di un’immaturità
della dinamica sociale antagonista che non va vista però alla sola scala
greca ma parla di noi tutti se è vero che le classi sfruttate europee
al momento vivono nell'illusione che sia meglio evitare passaggi
catastrofici della crisi nella speranza che il tutto prima o poi si
riprenda.
Qui dentro va collocata la rapidissima parabola di Syriza, che quelle insufficienze però ha amplificato
fino a un esito - pur dentro margini di manovra strettissimi che non
concedono compromessi - catastrofico. Ha qui giocato, questo l’elemento
di riflessione politica forte, il deficit costitutivo e insuperabile di
tutta la sinistra europeista che antepone, a prescindere, il quadro europeo (potenzialmente unitario, ma appunto solo potenzialmente) alla necessità, in date condizioni, di rottura
con il comando della finanza. Una rottura che da subìta può, se
organizzata e di massa, essere agita per riconquistare livelli più alti
di unificazione internazionale delle lotte. Ma per questo non si può
continuare a pensare che ci si può e deve salvare in due, noi in basso e
loro in alto, facendosi responsabilmente carico dei sacrifici
(per poi essere gettati via una volta spremuti), o che un campo
istituzionale dato sia di per sé garanzia di ricomposizione sociale e
politica a livelli più alti. Paradossalmente, ma neanche tanto, Syriza è
andata incontro al suo destino perché troppo profondamente di
“sinistra” e troppo poco “populista” (chi vuole fraintendere
fraintenda…). Per intanto, pur nella sconfitta, è stata posta per la
prima volta concretamente la questione di una cancellazione almeno
parziale del debito. Bisognerà tornarci su.
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