In un’intervista rilasciata qualche giorno fa da Sanders al network «The Young Turks», il candidato delinea un percorso, una strada per continuare verso la «political revolution» di cui lui sarebbe portatore. A pensarci bene, in effetti, è soltanto con lui e da molto poco che il dirsi socialisti ha smesso di essere una colpa imperdonabile negli Stati Uniti. Un piccolo passo, certo, ma non un passo trascurabile.
«Se non dovessimo vincere – ha detto Sanders – dovremmo chiederci cosa l’establishment del Partito Democratico farà per noi. Sono pronti a dare il benvenuto tra i democratici alla classe lavoratrice e ai giovani oppure sarà il partito delle classi medio-alte e dei finanziatori più forti della sua campagna?». Lo spettro che si agita sullo sfondo è sempre lo stesso: i miliardari che innaffiano di dollari le candidature e, di fatto, poi controllano gli eletti, i lupi più o meno famelici di Wall Street, la versione risciacquata dello strapotere repubblicano tra i ricchissimi a scapito della gran massa di poveri lasciata in eredità dalla crisi economica e impossibilitata a muoversi dal turboliberismo che domina, ha dominato e continuerà a dominare sugli Stati Uniti.
Le dichiarazioni di Sanders, comunque, non sono soltanto una domanda (legittima) sul futuro, ma anche una mossa elettorale. Insomma, lui si candida tra i democratici, certo, ma anche contro i democratici per ciò che rappresentano ora: un progetto di potenziale rottura, e molti consensi infatti sono stati incamerati proprio per questo suo essere l’esatto contrario della Clinton e dell’establishment. Insomma, si vedrà.
Dalle parti di Socialist Alternative, però, arriva anche una via d’uscita: in caso di sconfitta Bernie dovrebbe candidarsi comunque da indipendente, oppure cercare una convergenza sul Green Party, storica enclave di una parte del radicalismo statunitense.
Provocazione? Sì, ma solo fino a un certo punto. Perché se è difficile ipotizzare che Sanders alla fine uscirà dal partito (in fondo le primarie con la Clinton non stanno facendo registrare colpi bassi tali da pensare a una rottura in futuro), dall’altra c’è una base di militanti che a questa annunciata «rivoluzione politica contro i miliardari» ci sta credendo davvero. Rimarranno delusi?
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