di Urayb ar-Rintawi – ad Dustour
(traduzione di Romana Rubeo)
L’Amministrazione Obama e molti Stati Europei sostengono che sia
impossibile ‘azzerare’ l’influenza dell’Iran sulla regione. Una
posizione antitetica rispetto a quella di alcuni governi e organi di
stampa ufficiali “Sunniti” o “Arabi moderati”. L’Occidente,
tuttavia, non ha tra le sue priorità la definizione degli “interessi
dell’Iran” nella regione. I suoi obiettivi hanno una duplice natura: da
una parte, garantire la stabilità del mercato petrolifero e delle rotte
di approvvigionamento energetico; dall’altra, assicurare la sicurezza e
la supremazia di Israele.
Ma sul versante arabo del Golfo, quindi sull’altro fronte della guerra tra diversi schieramenti e gruppi religiosi, non
si è aperta una vera discussione in merito agli interessi dell’Iran né
si assiste a tentativi di delineare delle mappe che distinguano ciò che è
accettabile e auspicabile da ciò che non può essere tollerato.
Al contrario, si ripete spesso che l’Iran non dovrebbe intromettersi
negli ‘affari interni’ dei Paesi Arabi e gli si chiede con insistenza di
porre fine alle politiche ostili che minano la sicurezza interna e la
stabilità degli Stati nella regione.
Si potrebbero azzardare ipotesi circa il contenuto delle
dichiarazioni congiunte tra gli Stati Arabi o tra loro e altre potenze
regionali, forse attraverso comunicati della Lega Araba o della
Organizzazione della Cooperazione Islamica. Si potrebbero anche
includere le dichiarazioni emerse dagli incontri tra governi arabi e
occidentali, che auspicano la fine degli interventi e delle politiche
ostili da parte dell’Iran. Ma questi discorsi diplomatici non
sono realmente utili per i ricercatori e gli osservatori che vogliono
capire l’autentica natura della posizione araba o distinguere,
all’interno dei vari interessi, tra quelli accettabili, meno
accettabili e non tollerabili.
Anche l’Iran, dal suo canto, sta tenendo un comportamento
simile. Preferisce mantenere le carte coperte. Alcuni dei suoi leader
‘rivoluzionari’ si spingono oltre parlando di ‘spazio vitale’ della
Repubblica Islamica. Si riferiscono all’ingresso di alcune
capitali arabe nella sfera di influenza iraniana e alle sponde del
Mediterraneo come a ‘scuderie’ per Tehran e le sue Guardie
Rivoluzionarie. Al contrario, i politici ‘riformisti’ dipingono l’Iran
come una sorta di organizzazione benefica, una specie di Caritas il
cui unico ruolo sarebbe la promozione della solidarietà e dell’amicizia
e il cui unico interesse sarebbe un futuro comune migliore per le
nazioni della regione e il consolidamento dei rapporti di vicinanza e di
fratellanza islamica, senza alcuna ingerenza negli affari interni di
altri Stati.
Il punto è che la regione avrebbe assoluto bisogno di un
dialogo tra Arabi e Iran fondato su tutt’altre basi: dovrebbe liberarsi
dal discorso diplomatico e dai rapporti reciproci che alimentano la
fiamma dell’odio confessionale e della mobilitazione nazionalistica e
dovrebbe arginare le guerre per procura che hanno sfiancato le società
arabe, riducendole a un cumulo di macerie e devastazione.
Il dialogo dovrebbe fondarsi, devo riconoscerlo, sulle basi delineate
da Obama, che pure hanno stizzito alcuni e sollevato critiche da parte
di altri. Un dialogo il cui fine dovrebbe essere la delineazione
degli interessi delle diverse parti in gioco e del loro reciproco
riconoscimento. Dovrebbe anche essere fondato su una stima
accurata dei pro e dei contro. In fondo, la regione è stata praticamente
dissanguata dal conflitto che ha investito entrambe le sponde del Golfo
Arabo/ Persiano.
Ovviamente, un dialogo del genere non determinerebbe la fine
immediata dei conflitti e delle crisi che interessano la regione, o la
trasformazione degli odi e delle ostilità in amore incondizionato tra le
parti. Tuttavia, un fruttuoso dialogo strategico con l’Iran
potrebbe creare meccanismi adeguati per contenere e gestire i conflitti,
in modo da salvaguardare gli interessi minimi delle parti e fornire
loro una exit strategy che non le induca verso scenari più rischiosi e
onerosi. A tal proposito, si potrebbe guardare ad alcune scelte
attuate durante la Guerra Fredda, che hanno impedito lo scoppio di un
conflitto diretto tra i due campi. In altri casi, determinate scelte
hanno giocato un ruolo fondamentale per porre fine o per stemperare le
crisi, invece di incoraggiare politiche che avrebbero condotto a un
conflitto ‘fuori controllo’, per citare il Segretario di Stato
Statunitense John Kerry, che ha così descritto la situazione siriana,
con una delle dichiarazioni più pessimistiche mai formulate sinora.
Ad esempio, si potrebbe considerare l’ipotesi di un’organizzazione
regionale per la sicurezza e la cooperazione che inizi a definire gli
interessi delle parti. In un secondo momento, si potrebbe lavorare sugli
interessi comuni e concordare sulla gestione del conflitto senza
sfociare nella violenza, nello spargimento di sangue e nella
devastazione sistematica.
La speranza è che, un giorno, questo crei un sistema solido,
in grado di condurre la regione verso un clima di cooperazione e scambi
reciproci. Potrebbe sembrare una chimera o una proposta del
tutto utopica, in una congiuntura storica in cui, da Taiz a Aleppo, da
Baghdad a Beirut, la tensione sembra ai massimi livelli. Ma, in fondo,
anche il cammino intrapreso dall’Europa per la sicurezza e la
cooperazione tra la regione orientale e quella occidentale potrebbe
essere iniziato da una sorta di utopia, prima che la ‘ragione’ e la
‘volontà’ la trasformassero in una solida rete di relazioni politiche e
internazionali.
Gli Arabi hanno timori da dissipare e interessi da difendere,
ed è proprio questo che li caratterizza in quanto tali. E l’Iran ha,
anch’esso, i suoi timori e i suoi interessi e troverà sempre chi li
sostiene, sia nella corrente ‘rivoluzionaria’ sia in quella
‘riformista’. Ma l’Iran deve rinunciare al ruolo di potenza dominante
sulla maggioranza etnica e confessionale [Araba Sunnita] nonostante la
debolezza e la fragilità della politica del mondo arabo; e gli Arabi,
dal canto loro, devono rinunciare al proposito di ‘azzerare’ gli
interessi iraniani.
La domanda che si pone è dunque: esiste un reale punto di convergenza tra le parti? Se sì, dove? E quando sarà trovato?
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