“La battaglia di Raqqa è entrata nella sua fase finale” – così ha
dichiarato il comandante americano della forza Centcom Joseph Votel –
“anche se per la sua liberazione ci vorranno diversi mesi”. Quasi
tutti i protagonisti del conflitto siriano (locali, regionali e
internazionali) sembrano decisi nel partecipare alla battaglia per la
liberazione della capitale dello Stato Islamico in Siria.
Ad inizio giugno le Forze Democratiche Siriane (truppe a maggioranza
curda sostenute dagli USA) hanno avviato la quinta fase: l’attacco
decisivo a Raqqa. Dopo la conquista di Al Tabaqa, con il sostegno aereo statunitense, le FDS hanno accerchiato la città da nord, da ovest e da est e
sono riuscite ad entrare nella periferia di Raqqa.
In contemporanea le truppe di Damasco, proprio in questi giorni,
hanno conquistato la città di Al Rasafa, località a sud della capitale
di Daesh ed hanno liberato oltre 1500 Km quadrati in pochi giorni.
Da un punto di vista strategico Raqqa non rappresenta nulla.
Non ha niente a che vedere con Aleppo, seconda città siriana e capitale
economica o con Palmira, la “Perla del Deserto”, strategica per
l’accesso nel deserto siriano chiamato Badia.
Raqqa, però, è un simbolo perché è “la capitale dello Stato
Islamico” e la sua conquista rappresenterebbe la quasi definitiva
sconfitta di Daesh anche in territorio siriano, come è avvenuto in
questi giorni a Mosul in Iraq.
Fox News e Russia Today riportano, comunque, che in questi mesi lo
Stato Islamico ha spostato la maggior parte dei suoi quadri di comando
e, soprattutto, le sue risorse economiche nella città di Al Mayadin, a
sud di Deir Ez Zor. Diverse testimonianze, infatti, riportano
di una grossa mobilitazione in quell’area, strategica perché vicino al
confine iracheno, di molti miliziani e dei loro familiari.
Nella capitale dell’Isis, secondo il quotidiano francese Libération, sarebbero rimasti numerosi “foreign fighters tunisini, egiziani e ceceni pronti alla difesa della loro capitale”.
In un’intervista al canale di Hong Kong Phoenix, il
presidente siriano Bashar Al Assad ha dichiarato che “la liberazione di
Raqqa e di Deir Ez Zor sono i prossimi obiettivi di Damasco”, dopo la
riconquista in un solo anno di oltre il 40% del territorio nazionale.
Il governo siriano, infatti, controlla tutte le cinque principali città
del paese: Damasco, Aleppo, Homs, Lattakia e Hama nel quale vive oltre
l’80% della popolazione siriana.
La conquista di Raqqa e, ancor più, quella di Deir Ez Zor, risultano invece strategiche per una questione simbolica e, soprattutto, per ostacolare i piani americani nella regione. Secondo
Damasco, infatti, Washington mira a conquistare la città di Raqqa per
posizionarsi in maniera stabile e per imporre i propri piani nel paese.
Il giornale libanese Al Akhbar afferma che gli
americani vorrebbero rimpiazzare Daesh con qualche milizia tribale
“ribelle” in modo da dividere lo stato siriano nella sua parte
centro-orientale e limitare la presenza iraniana in Siria.
Scenario che complicherebbe anche la situazione dei curdi siriani. Da
questo punto di vista, come ventilato da diverso tempo dalla stampa
americana, le Ypg dovrebbero, dopo aver fatto il lavoro “sporco” per
Washington, rientrare nei loro territori ed eventualmente dover
contrastare un’ennesima “operazione di pulizia” portata avanti dal
presidente turco Erdogan.
Proprio per questo motivo diversi esponenti curdi siriani
hanno riallacciato i rapporti, come avvenuto già a Manbij, con il
governo di Damasco in maniera da poter poi mediare, eventualmente, per
una zona autonoma, ma non separata dal governo di Damasco, nel Rojava.
Vista la veloce avanzata delle FDS nella zona di Raqqa, le truppe siriane e quelle di Hezbollah stanno puntando alla liberazione di Deir Ez Zor. La città è già in possesso delle truppe lealiste, ma è assediata da diversi anni da Daesh. Le
truppe siriane mirano a chiudere qualsiasi possibilità di fuga agli
jihadisti dell’ISIS e puntano ad ostacolare qualsiasi brama di
espansione ai “ribelli” filo-americani verso la zona orientale del
paese.
L’esercito siriano, appoggiato da russi, hezbollah ed
iraniani, resta al momento il vero vincitore di questa guerra di
strategia. La presenza di Qassem Soleimani, generale iraniano
della Brigata Al Quds (reparto militare che agisce al di fuori dei
confini iraniani e risorsa fondamentale per la riorganizzazione delle
truppe irachene filo-sciite, ndr), ha portato nelle settimane scorse
alla conquista di gran parte del territorio meridionale di confine con
Giordania e Iraq.
Una vittoria che ha limitato le mire espansionistiche USA
nella zona di Al Tanf ed ha favorito il ricongiungimento delle truppe
di Damasco con quelle irachene dell’Hasced Shaabi (Unità Mobilitazione
Popolare) per contrastare Daesh e “sigillare” il confine siriano.
Resta da riconquistare, infine, la zona di Idlib dove
“sopravvive” l’altro gruppo jihadista Hayat Tahrir Al Sham (ex Al Nusra)
che in questi mesi ha eliminato tutti i gruppi “ribelli” non allineati
alle sue posizioni. Agli sforzi militari si aggiungono, comunque, anche quelli diplomatici con gli accordi di Astana.
La creazione di quattro “aree demilitarizzate” ha favorito, anche in
questo caso, il governo di Damasco visto che nelle aree possono essere
presenti solamente osservatori russi, iraniani e turchi e che la loro
creazione ha diminuito in parte la capacità sia americana sia israeliana
di sostenere militarmente i gruppi ribelli al regime.
I prossimi mesi saranno, quindi, fondamentali per capire meglio le sorti della Siria e della sua integrità territoriale. Per
il momento, invece, l’unica certezza è che all’interno di Raqqa sono
rimasti oltre centomila civili, tenuti ostaggi come “scudi umani”,
contro i bombardamenti aerei della coalizione che hanno causato in pochi
giorni oltre 200 vittime.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento