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16/08/2017

Berlino è più uguale degli altri e mette la Bce sotto esame

L’Unione Europea è un dispositivo asimmetrico, fortemente coercitivo con i deboli e sostanzialmente succube dei forti.

La vicenda della Grecia potrebbe essere sufficiente per chiarire la prima parte del discorso, ma dalla Germania arrivano spesso iniziative che spiegano anche agli stupidi la seconda parte.

Vediamo perché. La Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe ha chiesto alla Corte di giustizia europea di pronunciarsi sulla legittimità del programma di quantitative easing, lanciato nel 2015 dalla Bce per sostenere l’inflazione nella zona euro acquistando titoli di stato e corporate sul mercato secondario (in borsa, in pratica). Il programma è ancora attivo, anche se su livelli meno intensi (60 miliardi al mese, prima erano 80). I giudici tedeschi, che sono stati interpellati con vari ricorsi presentati da gruppi di interesse interni, ritengono che vi “siano importanti ragioni” per considerare l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce una violazione del divieto di finanziare direttamente gli Stati. In pratica, la Bce avrebbe superato i limiti definiti dai trattati.

Non è il primo caso in cui la Corte di Karlsruhe decide di “girare” alla Corte europea un quesito imbarazzante. Era avvenuto anche per il programma Omt della stessa Bce – programma peraltro mai attivato, che prevedeva l’acquisto di titoli di stato dei paesi in difficoltà, che in cambio si impegnavano nel farsi eterodirigere la politica di bilancio – e proprio quel precedente fa pensare che alla fine anche questa contestazione costituzionale finirà nel nulla. Anche perché la sentenza, attesa tra circa un anno, potrebbe arrivare quando il quantitative easing sarà concluso o agli sgoccioli. In quel caso, infatti, la Corte europea decise che il programma Omt era congegnato in modo tale da garantire che non se ne potesse fare “un uso sproporzionato”, e i giudici di Karlsruhe – che comunque avevano l’ultima parola – condivisero quella valutazione.

Il punto “istituzionale” esula però dal caso specifico. Qui abbiamo un paese – la Germania, non per caso – il cui organo costituzionale supremo è posto giuridicamente al di sopra delle istituzioni comunitarie. Se ne condivide le scelte, tutto bene, altrimenti le dichiara incostituzionali e invita gli organi dello Stato tedesco – nel caso specifico Bundesbank, la banca centrale – a non rispettare gli obblighi europei.

Nessun altro paese dell’Unione Europea possiede questa possibilità, un’autentica via di fuga da impegni comunitari considerati economicamente o politicamente svantaggiosi. Soprattutto, la Germania non intende affatto rinunciare a questa prerogativa attribuitale dalla propria forza economica.

Questa condizione indica chiaramente la direzione in cui avverrà l’ormai prossima “stagione di riforma dei trattati europei” per disegnare un’Unione Europea a “più velocità”.

Dopo le elezioni tedesche, con la probabile riconferma di Angela Merkel, Francia e Germania si troveranno nell’invidiabile posizione di avere due governo nuovi di zecca e decisamente stabili (al netto di possibili stagioni altamente conflittuali, specie dal lato francese), con le idee molto chiare sui propri interessi nazionali e con i “partner” in condizioni decisamente opposte. Specie Italia e Spagna. Non si contano ormai gli editoriali che “avvertono” la classe dirigente italica sulla necessità di identificare con chiarezza “l’interesse nazionale” prima di sedersi e firmare modifiche ai trattati, perché potrebbero facilmente ripetere gli errori tragici del passato. Particolarmente indicativo quello di Wolfgang Munchau sul Financial Times (tradotto e pubblicato sul Corriere della Sera), in cui arriva a suggerire al governo italiano che ci sarà da “dichiarare che la sua partecipazione alla zona euro non è scontata”.

Ma qualsiasi analista – anche “borghesissimo” – che si misuri con questo tema finisce per elencare una lista di mismatch assolutamente sfavorevoli per l’Italia (e tutti gli altri paesi Piigs), se dovessero restare dentro una Unione “riformata” dall’asse Carolingio, ossia tra Parigi e Berlino.

Il problema è che ormai è stata selezionata una classe politica (si fa per dire...) di infimo ordine. Incapace di progettare e pensare qualsiasi politica, piena di portaborse promossi a cariche per loro incomprensibili, capaci di pronunciare una battuta davanti a un “microfono amico”, ma rigorosamente in assenza di domande impegnative. Del resto, anche la professione giornalistica ha seguito identiche regole di selezione, negli ultimi anni.

Messa così, le previsioni non possono che essere plumbee. I segnali globali non danno alcuna certezza che l’attuale congiuntura di “crescita anemica” possa continuare a lungo. Al contrario, le “bolle finanziarie” in circolazione sono pressoché infinite e di grandi dimensioni (basti pensare alla valutazione assurda di una moneta totalmente virtuale come il bitcoin: oltre 4.300 miliardi di dollari...).

E nel panorama geopolitico non mancano davvero gli “spilli” che possono fare esplodere una qualsiasi di queste bolle...

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