I sondaggi vanno sempre presi con le molle, soprattutto quando le elezioni sono ancora lontane, eppure i rilevamenti della Swg
pubblicati ieri, e che danno il blocco populista stabile al 60%,
sembrano essere più che plausibili anche per gli osservatori poco
attenti alle cose della politica. Si tratta
di numeri in linea con le chiacchiere che ascoltiamo nei bar o mentre
facciamo la fila alla posta. Percentuali che sono in sintonia con la
pancia di un Paese impoverito in cui cova il rancore più che la rabbia, e
che ci restituiscono l’immagine di un quadro politico evidentemente
bloccato, anche se niente affatto stabilizzato.
A prima vista potremmo pensare di trovarci di fronte ad una sorta di
paradosso, uno di quei fenomeni anomali della politica destinato a
sgonfiarsi velocemente non appena tornerà finalmente a prevalere “la
ragione”, magari grazie proprio all’intervento di Bruxelles. Un
auspicio, a leggere gli editoriali sui giornali, condiviso tanto da
destra quanto da sinistra, ma che corre seriamente il rischio di
rimanere tale. Viene generalmente sottovalutata, infatti, la capacità
del populismo di restare all’opposizione anche quando sale al governo,
addossando a questo o quel nemico “esterno al popolo” l’impossibilità di
realizzare quanto aveva promesso, sia esso una multinazionale,
un’agenzia di rating o qualche disperato su un barcone nel mediterraneo.
D’altronde cos’è il “popolo” se non la costruzione tutta politica di
un “noi” e un “loro”. La vicenda del ponte di Genova da questo punto
di vista è davvero emblematica, con la capacità dimostrata di incassare e
capitalizzare politicamente tanto gli applausi ai membri del governo
durante i funerali, quanto i fischi di ieri contro Regione e Comune e a
cui Di Maio si è subito idealmente associato mettendosi “dalla parte dei
cittadini”. Del resto in questi suoi primi mesi di vita il governo
giallo-verde non ha fatto ancora praticamente nulla per il blocco
sociale di cui è espressione, anzi, ha addirittura bloccato i fondi che
erano precedentemente destinati alle periferie, dove pure raccoglie gran
parte dei suoi consensi, eppure non solo non ne ha pagato dazio, ma
continua a rafforzarsi. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per le
sparate di Salvini contro le occupazioni a scopo abitativo, per
l’estensione della “legittima difesa” o per i taser dati in dotazione
alla polizia. L’odio nei confronti della vecchia classe dirigente in
questo momento è però talmente forte da superare perfino le
contraddizioni più evidenti, e se qualcuno proverà a rieditare una
qualche forma di centrosinistra (magari con un PD derenzizzato) finirà
con lo scavare un solco ancora più profondo tra sé e le classi
subalterne.
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