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15/12/2019

3/Autonomia differenziata. Le controriforme: Titolo V della Costituzione ed art.81

Nel quadro di queste trasformazioni dell’intero sistema di relazioni trasfigurate da decenni di incessanti richieste di mistificanti riforme sociali, economiche, legislative, ed altro ancora, tutte indistintamente contrassegnate dai contenuti regressivi di spogliazione di diritti economici e sociali per le classe subalterne, si collocano le altrettanto fondamentali riforme dell’assetto politico-costituzionale in una relazione di perniciosa reciprocità con quanto si afferma nella sfera economica e politica.

Se come abbiamo cercato di argomentare il combinato disposto delle politiche di rientro dal debito e la campagna di privatizzazioni hanno dato forma alla morsa che ha destrutturato il sistema di relazioni economiche secondo i parametri ordo-liberisti imposti dall’atto costitutivo del processo di costruzione della U.E., il trattato di Maastricht(1992), il loro recepimento nell’ordinamento Costituzione ha innescato una ulteriore implementazione alle tendenze disgregatrici, con un approfondimento delle diseguaglianze e degli squilibri storici nelle aree del paese ma anche all’interno delle stesse.

L’assunzione piena della gestione politica e sociale da parte dei governi di centro-sinistra della marcia forzata per l’ingresso nella U.E., intorno al suo riposizionamento politico ed ideologico nello scenario post-guerra fredda e alla crisi della socialdemocrazia, porta allo scoperto il rapporto organico tra il centro-sinistra e le componenti della borghesia finanziaria ed industriale a traino della U.E., e che si afferma, nella instabilità politica permanente di questo processo di trasformazione/transizione, come costante e strutturato riferimento di relazioni e di indirizzo, de facto, della vicenda politica.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) si apre la strada, sotto le spoglie del decentramento legislativo e amministrativo, ad una spregiudicata riattribuzione di competenze agli organi locali, che se sul piano politico raccoglie le esigenze dei territori e delle economie del Nord-Est, sotto l’apparenza di una comune condizione ed opportunità, segna la fine del contenimento delle diseguaglianze Nord-Sud nel paese. Il gap strutturale esistente tra il Nord e il Sud del paese con la riforma del Titolo V, come dimostrato dagli andamenti economici e dagli indicatori sociali fino ad oggi, viene assunto come irriducibile ed ampliato all’interno del quadro normativo esistente.

La questione meridionale sembra trovare finalmente la sua risposta: l’impossibilità del suo superamento. La riforma del Titolo V, forse oltre le intenzioni degli autori, è il vaso di Pandora al cui interno sono inseriti gli strumenti per portare a compimento la “secessione reale”, una divaricazione di prospettive economiche e sociali tra le aree del paese. La mai superata questione meridionale, per la sua funzionalità al modello di accumulazione sostanzialmente basato sulla centralità nazionale delle forze produttive, si inasprisce delle odierne conseguenze delle asimmetrie del polo geo-economico europeo e delle sue gerarchie, sprofondando le aree più deboli nella diffusa richiesta di Zone Economiche Speciali, bassi salari e decontribuzione alle imprese, destinate, qualora realizzate, ad accrescere le diseguaglianze.

Se la riforma del Titolo V della Costituzione differisce i suoi frutti avvelenati, quanto realizzato con la modifica dell’art.81 (2012) è l’incardinamento diretto nell’ordinamento Costituzionale dei dettami della cosiddetta disciplina di Bilancio sanciti nel patto di Stabilità e Crescita e nel Fiscal Compact. Le politiche del debito essenziali per qualsiasi progetto di politica industriale nazionale vengono direzionate esclusivamente al suo contenimento a garanzia della sostenibilità e funzionalità finanziaria, ossia, alla garanzia della rendita parassitaria e speculativa attraverso il pagamento degli interessi.

Il trasferimento della norma dell’obbligo del pareggio di bilancio a tutti i livelli di spesa tradisce il paradosso di una supposta forma di equilibrio finanziaria che rende permanenti gli squilibri geografici e sociali, obbliga i territori più dissestati alla riconversione privatistica per l’urgenza di capitali l’intera formazione economico-sociale, rende disponibile il territorio all’appropriazione privatistica delle risorse ed al suo ulteriore impoverimento; insomma, la scientifica predisposizione all’espropriazione di risorse e forze produttive verso i nuovi centri dell’accumulazione. (fine terza parte)

prima parte: Autonomia differenziata. Una riorganizzazione della governance capitalista nel nostro paese

seconda parte: Dallo Stato centrale ai territori. Chi comanda?

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