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13/07/2020

Il teorema di Boeri: licenziare i vecchi per (non) dare lavoro ai giovani

“Dobbiamo fare l’impossibile per permettere a queste generazioni sfortunate di recuperare.” L’ineffabile Tito Boeri lancia questo appello all’interno di uno dei suoi ultimi interventi che hanno a che vedere con le sorti del lavoro nei mesi a venire. Il buon Boeri si dice in pena per il destino dei giovani, cioè di quella fascia del mondo del lavoro che a causa della cronica mancanza di adeguate attenzioni rischia di vedersi penalizzata più delle altre per via delle disastrose condizioni economiche nelle quali verseremo a causa del lockdown resosi necessario per affrontare la pandemia da Covid-19.

L’ex presidente dell’INPS, a tal proposito, sostiene che il blocco dei licenziamenti deciso dal Governo, che arriverà almeno fino a metà agosto, “concentra le riduzioni dell’occupazione interamente sui più giovani. A maggio il numero di occupati con meno di 24 anni era diminuito dell’11% rispetto a un anno prima. Metà dei posti di lavoro distrutti da Covid 19 coinvolgeva persone con meno di 35 anni, nonostante gli occupati in quella fascia d’età siano appena un quarto del totale”. Il tutto alla luce del fatto che “non si era mai vista in Italia una recessione con andamenti così fortemente asimmetrici per fascia d’età e che ha un impatto così forte e immediato sul mercato del lavoro dei giovani, con riduzioni percentuali dei posti di lavoro superiori alle due cifre in solo tre mesi dall’inizio della crisi”.

Ci si potrebbe emozionare e addirittura commuovere dinanzi a una tale manifestazione di preoccupazione per il destino dei giovani, se non fosse che Boeri, pur sfoggiando un atteggiamento da buon padre di famiglia, sta in realtà dando legittimità teorica e una patina di buona fede a quello che i padroni, in maniera più diretta e gretta, già stanno facendo, cioè chiedere ulteriori razioni di precarietà. Come abbiamo già avuto modo di vedere, infatti, si sta concretizzando un notevole sforzo da parte di diversi settori del mondo padronale italiano, sia dal punto di vista politico sia mediatico, per far sì che le già risicate tutele rimaste ai lavoratori vengano ancor più compromesse. L’obiettivo, neanche tanto difficile da scorgere, è quello di mettere in soffitta le pur blandissime e timide tutele previste dal cosiddetto “Decreto Dignità”.

Al di là degli attacchi diretti e serrati, la tirata di Boeri ci mostra che un’altra strada complementare presa dai nostrani propugnatori della precarietà è quella di una infingarda moral suasion all’insegna della compassione per i più giovani, a loro dire i più deboli tra i deboli. Un altro chiaro esempio di tale modo di concepire le tutele del lavoro come un dannoso orpello quanto mai fuori posto all’interno della crisi corrente lo troviamo nell’intervento di Marco Pagano su Il Foglio. A suo dire la proroga del blocco dei licenziamenti e l’erogazione della cassa integrazione sono un inutile tentativo di rimandare l’inevitabile, ossia un drastico calo occupazionale, tanto che “il blocco dei licenziamenti spingerà le imprese a chiedere la CIG anche per lavoratori che esse non vogliono continuare a impiegare, e che licenzieranno non appena terminerà la proroga. Fino ad allora, l’aggiustamento dei livelli di occupazione si scaricherà solo sui dipendenti a tempo determinato, sotto forma di mancato rinnovo dei loro contratti”.

Insomma, non siamo troppo lontani da quella strategia per fornire sostegno alle politiche di austerità una volta passato il forte shock da Covid, strategia incentrata su ipocriti richiami alla questione ambientale e a quella dell’occupazione femminile. Il martellante assedio contro i rimasugli di protezione dell’occupazione e dei redditi viene finanche tentato di far passare per sostegno caritatevole ai giovani.

Se a riguardo della complessiva aura di ipocrisia c’è ben poco da dire, molto di più può essere evidenziato sul ragionamento di fondo che dovrebbe dare vigore alle proposte appena riportate. I fragili pilastri del quadro dipinto sono fondamentalmente due. Primo, vi sarà in ogni caso una inevitabile e drammatica crisi occupazionale, che il governo blocchi o meno i licenziamenti. Secondo, i giovani all’interno di questo quadro sono inevitabilmente destinati a soccombere, dato che i più anziani godono di tutele di ben altro calibro.

Il primo punto sembrerebbe ineludibile: come si fa a non vedere la tempesta che ci attende all’orizzonte? In effetti, su di essa ci sono pochi commenti da poter fare. La caduta del PIL a fine anno avrà quasi sicuramente dimensioni bibliche, e questo non potrà che mettere a durissima prova il mercato del lavoro. Tuttavia, i destini dei più poveri e colpiti possono essere pianti solamente dopo che tutto il possibile per contrastare questo dramma sia stato fatto. Sappiamo però benissimo che non è così: stretti tra la morsa della gabbia europea e della solita ingordigia padronale interna, le prospettive per i lavoratori del Belpaese sono sempre più fosche. Degli stimoli fiscali dalla enorme portata necessaria a fronteggiare la crisi non c’è traccia.

Ed ecco quindi che, in altra veste, si ripropone la solita storiella sulla disoccupazione: si guarda il dato a valle, quando l’assenza di interventi rende certa una caduta dell’occupazione e si deve quindi ragionare a giochi fatti redistribuendo i posti disponibili fra una massa di senza lavoro, invece che a monte, dove l’intervento statale potrebbe drasticamente limitare questo allargarsi della disperazione. Insomma, la disoccupazione ci viene presentata come un fatto naturale, di discendenza metafisica. E a quel punto, ci dice Boeri, l’unico ragionamento possibile è: chi ne paga le conseguenze? Ecco quindi la trovata geniale: facciamo pagare i vecchi.

Ed è qui che entra in gioco la “fase 2” del gioco sporco. Una volta chiusi i rubinetti della spesa statale a sostegno dell’occupazione, non resta che mettere uno contro l’altro due fronti di malcontenti: vecchi contro giovani. Boeri ci dice che i primi sono più tutelati dei secondi. E cosa ci propone, quindi? Di garantire tutele, diritti e condizioni lavorative degne anche ai giovani? Giammai! Piuttosto rendiamo precari e carne da cannone anche i vecchi. Tuttavia, qui troviamo un elemento doppiamente doloso. Primo, non vi è alcuna evidenza che indichi come minori tutele per il mondo del lavoro si traducano in maggiore occupazione. Se questo i lavoratori già lo vivono quotidianamente sulla loro pelle da decenni, oggi abbiamo anche l’evidenza scientifica a sostenerlo con forza. Secondo, tocca constatare come le puntate della mirabolante serie “Tito vs Tito” si arricchiscano di un nuovo avvincente episodio. Il buon Boeri non si lascia infatti scappare occasione per mettere in luce il suo costante doppiogiochismo. Un fulgido esempio lo avemmo nella discussione sull’effetto della riforma Fornero delle pensioni sull’occupazione. Questa volta il buon Tito piange le sorti precarie dei giovani, ma quando si è trattato di incensare il Jobs Act del Governo Renzi queste paturnie non si erano manifestate, anzi.

Una volta di più, i novelli Giano Bifronte sembrano avere lo sguardo puntato in direzioni opposte. A ben vedere però, i loro occhi sono sempre ben fermi sulle tutele dei lavoratori, per le quali nutrono una ossessione senza fine.

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