“Dobbiamo fare l’impossibile per permettere a queste generazioni sfortunate di recuperare.” L’ineffabile Tito Boeri lancia questo appello all’interno di uno dei suoi ultimi interventi che hanno a che vedere con le sorti del lavoro nei mesi a venire. Il buon Boeri si dice in pena per il destino dei giovani,
cioè di quella fascia del mondo del lavoro che a causa della cronica
mancanza di adeguate attenzioni rischia di vedersi penalizzata più delle
altre per via delle disastrose condizioni economiche nelle quali
verseremo a causa del lockdown resosi necessario per affrontare la
pandemia da Covid-19.
L’ex presidente dell’INPS, a tal proposito, sostiene che il blocco dei licenziamenti
deciso dal Governo, che arriverà almeno fino a metà agosto, “concentra
le riduzioni dell’occupazione interamente sui più giovani. A maggio il
numero di occupati con meno di 24 anni era diminuito dell’11% rispetto a
un anno prima. Metà dei posti di lavoro distrutti da Covid 19
coinvolgeva persone con meno di 35 anni, nonostante gli occupati in
quella fascia d’età siano appena un quarto del totale”. Il tutto alla
luce del fatto che “non si era mai vista in Italia una recessione con
andamenti così fortemente asimmetrici per fascia d’età e che ha un
impatto così forte e immediato sul mercato del lavoro dei giovani, con
riduzioni percentuali dei posti di lavoro superiori alle due cifre in
solo tre mesi dall’inizio della crisi”.
Ci si potrebbe emozionare e addirittura
commuovere dinanzi a una tale manifestazione di preoccupazione per il
destino dei giovani, se non fosse che Boeri, pur sfoggiando un
atteggiamento da buon padre di famiglia, sta in realtà dando legittimità
teorica e una patina di buona fede a quello che i padroni, in maniera
più diretta e gretta, già stanno facendo, cioè chiedere ulteriori razioni di precarietà. Come abbiamo già avuto modo di vedere,
infatti, si sta concretizzando un notevole sforzo da parte di diversi
settori del mondo padronale italiano, sia dal punto di vista politico sia mediatico, per far sì che le già risicate tutele rimaste ai
lavoratori vengano ancor più compromesse. L’obiettivo, neanche tanto
difficile da scorgere, è quello di mettere in soffitta le pur
blandissime e timide tutele previste dal cosiddetto “Decreto Dignità”.
Al di là degli attacchi diretti e
serrati, la tirata di Boeri ci mostra che un’altra strada complementare
presa dai nostrani propugnatori della precarietà è quella di una
infingarda moral suasion all’insegna della compassione per i
più giovani, a loro dire i più deboli tra i deboli. Un altro chiaro
esempio di tale modo di concepire le tutele del lavoro come un dannoso orpello quanto mai fuori posto all’interno della crisi corrente lo troviamo nell’intervento di Marco Pagano su Il Foglio.
A suo dire la proroga del blocco dei licenziamenti e l’erogazione della
cassa integrazione sono un inutile tentativo di rimandare
l’inevitabile, ossia un drastico calo occupazionale, tanto che “il
blocco dei licenziamenti spingerà le imprese a chiedere la CIG anche per
lavoratori che esse non vogliono continuare a impiegare, e che
licenzieranno non appena terminerà la proroga. Fino ad allora,
l’aggiustamento dei livelli di occupazione si scaricherà solo sui
dipendenti a tempo determinato, sotto forma di mancato rinnovo dei loro
contratti”.
Insomma, non siamo troppo lontani da quella strategia per fornire sostegno alle politiche di austerità una volta passato il forte shock da Covid, strategia incentrata su ipocriti richiami alla questione ambientale e a quella dell’occupazione femminile.
Il martellante assedio contro i rimasugli di protezione
dell’occupazione e dei redditi viene finanche tentato di far passare per
sostegno caritatevole ai giovani.
Se a riguardo della complessiva aura di
ipocrisia c’è ben poco da dire, molto di più può essere evidenziato sul
ragionamento di fondo che dovrebbe dare vigore alle proposte appena
riportate. I fragili pilastri del quadro dipinto sono fondamentalmente
due. Primo, vi sarà in ogni caso una inevitabile e drammatica crisi occupazionale,
che il governo blocchi o meno i licenziamenti. Secondo, i giovani
all’interno di questo quadro sono inevitabilmente destinati a
soccombere, dato che i più anziani godono di tutele di ben altro calibro.
Il primo punto sembrerebbe ineludibile:
come si fa a non vedere la tempesta che ci attende all’orizzonte? In
effetti, su di essa ci sono pochi commenti da poter fare. La caduta del
PIL a fine anno avrà quasi sicuramente dimensioni bibliche, e questo non
potrà che mettere a durissima prova il mercato del lavoro. Tuttavia, i
destini dei più poveri e colpiti possono essere pianti solamente dopo
che tutto il possibile per contrastare questo dramma sia stato fatto.
Sappiamo però benissimo che non è così: stretti tra la morsa della gabbia europea e della solita ingordigia padronale interna, le prospettive per i lavoratori del Belpaese sono sempre più fosche.
Degli stimoli fiscali dalla enorme portata necessaria a fronteggiare la
crisi non c’è traccia.
Ed ecco quindi che, in altra veste, si ripropone la solita storiella sulla disoccupazione:
si guarda il dato a valle, quando l’assenza di interventi rende certa
una caduta dell’occupazione e si deve quindi ragionare a giochi fatti
redistribuendo i posti disponibili fra una massa di senza lavoro, invece
che a monte, dove l’intervento statale potrebbe drasticamente limitare
questo allargarsi della disperazione. Insomma, la disoccupazione ci viene presentata come un fatto naturale, di discendenza metafisica.
E a quel punto, ci dice Boeri, l’unico ragionamento possibile è: chi ne
paga le conseguenze? Ecco quindi la trovata geniale: facciamo pagare i
vecchi.
Ed è qui che entra in gioco la “fase 2”
del gioco sporco. Una volta chiusi i rubinetti della spesa statale a
sostegno dell’occupazione, non resta che mettere uno contro l’altro due
fronti di malcontenti: vecchi contro giovani. Boeri ci dice che i primi
sono più tutelati dei secondi. E cosa ci propone, quindi? Di garantire
tutele, diritti e condizioni lavorative degne anche ai giovani? Giammai!
Piuttosto rendiamo precari e carne da cannone anche i vecchi. Tuttavia,
qui troviamo un elemento doppiamente doloso. Primo, non vi è alcuna
evidenza che indichi come minori tutele per il mondo del lavoro si
traducano in maggiore occupazione. Se questo i lavoratori già lo vivono
quotidianamente sulla loro pelle da decenni, oggi abbiamo anche l’evidenza scientifica a sostenerlo con forza.
Secondo, tocca constatare come le puntate della mirabolante serie “Tito
vs Tito” si arricchiscano di un nuovo avvincente episodio. Il buon
Boeri non si lascia infatti scappare occasione per mettere in luce il
suo costante doppiogiochismo. Un fulgido esempio lo avemmo nella
discussione sull’effetto della riforma Fornero delle pensioni sull’occupazione.
Questa volta il buon Tito piange le sorti precarie dei giovani, ma
quando si è trattato di incensare il Jobs Act del Governo Renzi queste
paturnie non si erano manifestate, anzi.
Una volta di più, i novelli Giano
Bifronte sembrano avere lo sguardo puntato in direzioni opposte. A ben
vedere però, i loro occhi sono sempre ben fermi sulle tutele dei
lavoratori, per le quali nutrono una ossessione senza fine.
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