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11/08/2020

Libano - "Il rinnovamento non sarà cosmetico ma nemmeno radicale"

Pur essendo superata dai fatti - il governo Diab ha infatti rassegnato le dimissioni - proponiamo di seguito un'intervista da leggere sull'attualità libanese all'indomani del disastro al porto di Beirut.

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di Michele Giorgio – Il Manifesto

La rabbia popolare è incontenibile in Libano. Il governo vacilla e il premier Hassan Diab ieri sera ha chiamato ad elezioni anticipate. Dei riflessi dell’esplosione a Beirut nella politica libanese abbiamo parlato con Mouin Rabbani, tra i maggiori analisti politici arabi. «Le ricadute in politica interna sono inevitabili» dice Rabbani «i libanesi proseguiranno con più intensità le proteste contro una classe politica che considerano avida, incompetente e dannosa».

Questa classe politica si farà da parte?

Non è garantito che la catastrofica esplosione che ha devastato Beirut e ucciso più di 150 persone produca l’auspicata uscita di scena di personaggi politici, ai vertici talvolta da decenni, che hanno già dimostrato in passato una incredibile capacità di adattamento nelle situazioni di crisi. Un rinnovamento ci sarà e non sarà cosmetico ma, temo, neppure tanto radicale.

Hezbollah è preso di mira. Una parte dei libanesi accusa il movimento sciita, la forza più influente oggi nel panorama politico nazionale, di aver contribuito in modo determinante alla crisi economica e all’isolamento del paese da parte dell’Occidente a causa dei suoi stretti legami con l’Iran e della sua alleanza con la Siria di Bashar Assad.

Queste critiche sono giustificate solo in parte. Hezbollah ha delle responsabilità nella crisi economica libanese ma non più degli altri partiti. Il movimento sciita è entrato stabilmente nel quadro politico libanese non da molti anni e non può aver creato da solo problemi, politici ed economici, che hanno radici lontane. Se ci riferiamo al sistema confessionale, Hezbollah inizialmente ha provato a scardinarlo, anche perché la demografia è dalla sua parte. Un sistema democratico fondato su “un cittadino, un voto” può favorirlo. Ma non è riuscito nel suo tentativo. Ha scelto di unirsi al sistema settario e ora lo difende. E ciò è un problema per quei libanesi che pur non essendo suoi militanti non gli sono ostili e approvano almeno parte delle sue scelte regionali. Questi libanesi spesso sono giovani progressisti, della sinistra radicale, che chiedono un cambiamento vero per salvare il paese allo sbando e sentono di non avere più accanto questa forza che per anni si era proposta come rivoluzionaria, anti-sistema.

Però il sistema settario non lo ha imposto Hezbollah, lo dice la storia del Libano.

Per questo le accuse rivolte al movimento sciita sono giustificate solo in parte. In molti casi sono solo il frutto dell’agenda di forze che vorrebbero vedere una collocazione regionale e internazionale del Libano opposta rispetto a quella che vuole Hezbollah. La tensione tra i due schieramenti salirà con l’annuncio (il 18 agosto, ndr) della sentenza del processo all’Aja (al Tribunale speciale per il Libano) ai presunti responsabili dell’attentato in cui è rimasto ucciso nel 2005 il premier sunnita Rafiq Hariri. Sul banco degli imputati ci sono quattro membri di Hezbollah, non escludo scontri con conseguenze imprevedibili.

Ancora sul sistema settario, davvero gran parte del paese ne vuole la fine? La minoranza cristiana, solo per citare un punto critico, finirebbe per perdere buona parte degli ampi poteri che gli ha assicurato il colonialismo francese.

Lo vuole sinceramente soltanto una parte del paese. I libanesi più di tutto vogliono l’immediata uscita di scena dell’elite politica che da anni grazie al sistema settario si è creata posizioni di vantaggio, anche economico, facendo colare a picco il Libano. Quanto ai cristiani se da un lato il sistema li favorisce in termini di posizioni istituzionali e militari, dall’altro non riescono a ricavarne tutti i benefici. Da anni la minoranza cristiana è spaccata tra coloro che guardano all’alleanza con i musulmani sunniti e all’ex premier Saad Hariri e quelli (sostenitori del capo dello stato Michel Aoun, ndr) che sono convinti che la collaborazione con Hezbollah faccia gli interessi del paese e della loro comunità. Tra questi due schieramenti numerosi giovani cristiani guardano oltre l’appartenenza religiosa e desiderano la fine del sistema confessionale. Lo stesso vale per tanti giovani sunniti e sciiti. Il quadro libanese è molto complesso.

In questa complessità rientrano anche i libanesi che a metà settimana imploravano il presidente Macron di rendere di nuovo il Libano una colonia francese?

Quelle implorazioni, per quanto riprovevoli, non sono incomprensibili dopo un disastro del genere provocato da una amministrazione pubblica fallimentare sotto tutti i punti di vista. Quella gente che abbracciava Macron forse immagina che a Parigi tutto sia meravigliosamente bello e funzionante rispetto al loro paese in ginocchio e in povertà. Sono convinto che i libanesi, o gran parte di essi, siano consapevoli che la classe politica che vogliono cacciare è al potere grazie al sistema settario che ha creato la potenza coloniale francese. Proprio i libanesi che aprono le braccia all’Occidente dovrebbero considerare che gli Usa, parte dell’Europa e alcuni Stati arabi vicini a Washington sono stati fondamentali per consolidare lo status quo emerso dopo la guerra civile libanese (1975-1990, ndr) e che le politiche francesi e americane contribuiscono alla rovina del Libano.

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