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04/08/2021

Giustizia: la controriforma di padroni, Ue e Marchese del Grillo

Naturalmente il mio è un giudizio di indirizzo politico, quello tecnico-giuridico lo matureranno gli esperti dopo una attenta disamina di tutti gli articoli della riforma della giustizia votata dal Parlamento.

Questo giudizio però è netto: siamo di fronte ad una classica controriforma liberista, come tutte le “riforme” che da decenni vengono chieste o imposte al nostro paese nel nome del profitto, del mercato e degli affari.

Che lo scopo della legge sia economico prima che giuridico lo ha detto chiaramente la ministra della giustizia Cartabia. Che ha affermato che “ora arriveranno più investimenti esteri nel nostro paese”. Ma che c’entrano gli affari delle multinazionali con la giustizia?

C’entrano, c’entrano... Tanto è vero che Stati Uniti ed Unione Europea da anni stanno provando a realizzare il TTIP, cioè un trattato che garantisca una sostanziale franchigia giuridica per le multinazionali, che vogliono che ovunque sia applicata la loro legge, e non quelle dei paesi ove investono, o delocalizzano.

Se la nuova giustizia italiana, per vanto dello stesso governo, sarà ben accolta dai padroni del mondo, beh, state sicuri che è perché ne troveranno dei vantaggi. Per loro, non per noi.

D’altra parte è stata la stessa UE a legare la concessione degli aiuti del Recovery alla riforma della giustizia. E anche qui sorge spontanea la domanda: che c’entra la concessione di un prestito finanziario con la durata dei processi per disastro ambientale o strage sul lavoro?

Beh la connessione è così evidente, per quanto maliziosa, che non c’è bisogno di aggiungere altro.

La riforma Cartabia nasce dal mondo degli affari e non da quello del diritto. Non che le ragioni per cambiare la giustizia un Italia non ci siano. Ce ne sono eccome. Ne sanno qualcosa le persone normali che finiscono in un processo senza poter fruire del sostegno dei soldi e del potere.

Ma queste ragioni di vera giustizia sono totalmente ignorate dalla nuova legge, che invece si occupa della tutela di quei potenti, di cui – a volte, e non tanto spesso – l’azione della magistratura ha messo in discussione privilegi ed impunità.

È la cosiddetta “giustizia giusta” chiesta quarant’anni fa da Craxi, poi da Berlusconi e ora ritornata in campo con Renzi e Salvini. Sì, proprio quel capo leghista che quando sono imputati dei migranti usa dire: “buttate la chiave”.

Proprio Salvini ora s’improvvisa “garantista”. E non è in contraddizione, perché le sue garanzie per gli imputati si fermano nel perimetro della casta politica e di quella imprenditoriale.

Da quando una parte della magistratura, sull’onda delle lotte sociali, civili e democratiche degli anni Settanta, decise di credere davvero ai principi costituzionali di eguaglianza e cominciò a guardare in alto – dentro la classe dirigente, e non solo e sempre in basso come fino ad allora si era fatto – padroni e politici di palazzo si impegnarono a fermare l’intrusione della legge nei loro affari e nel loro potere.

Negli anni Ottanta cominciò la FIAT, come sempre avanguardia nelle restaurazioni sociali e politiche in Italia. Con gli Agnelli ed i loro manager denunciò lo strapotere di quelli che vennero definiti “pretori d’assalto”. Cioè quei magistrati che avevano cominciato ad applicare davvero lo Statuto dei lavoratori e a condannare quei padroni che lo violavano.

Poi vennero democristiani e craxiani a dire “basta con le interferenze dei giudici sulla vita politica”. Con tangentopoli persero, ma adesso hanno vinto, perché si sono messi nella scia della libertà d’impresa.

Questa è anche la ragione della sconfitta finale dei cinquestelle. Il loro “giustizialismo” non solo era incompatibile con la permanenza al governo, alternativa per essi improponibile, ma soprattutto era distorto e limitato.

I cinquestelle non hanno mai avuto nel loro bagaglio culturale la consapevolezza che la giustizia è prima di tutto una questione di eguaglianza e non di legalità.

Il padrone della FIAT ed il suo operaio non sono mai realmente eguali di fronte alla legge e la giustizia esiste solo se si attrezza per superare questa disuguaglianza di fatto. Lo dice l’articolo 3 della Costituzione, il più citato ed inapplicato della Repubblica.

Rifiutando ogni analisi sociale, e limitandosi alla ridicola dialettica tra “onesti” e “disonesti”, i cinquestelle hanno aperto la via alla restaurazione della giustizia per i ricchi e i potenti. La loro assurda pretesa di far durare quasi in eterno il processo, sia per chi avesse rubato al supermercato, sia per chi avesse violato le leggi sul lavoro e l’ambiente, ha prodotto il risultato esattamente opposto.

Ora chi ha i soldi per pagarsi avvocati di grido e potere per influire sulla opinione pubblica, potrà rallentare i processi e finire prescritto. Chi invece potrà permettersi solo l’avvocato d’ufficio, probabilmente finirà per subire tutti i gradi di giudizio.

Si ripristina così la più pura giustizia di classe, la riforma Cartabia è il jobsact della giustizia.

A correttivo del meccanismo salva-potenti dovrebbe stare poi il nuovo ruolo assunto dal Parlamento nell’amministrazione della legge. Spetterà infatti alle Camere definire quali siano i reati socialmente più urgenti e pericolosi, sui quali la magistratura dovrebbe concentrare il proprio impegno per evitare prescrizioni.

A parte che questo obbrobrio afferma il principio incostituzionale che sia la maggioranza di governo a stabilire cosa debbano fare i giudici, resta anche una obiezione concreta. Vi immaginate il Parlamento della Repubblica che vota una mozione ove si impegni la magistratura ad agire prioritariamente contro la violazione delle norme sulla sicurezza e la salute del lavoro? O contro i reati ambientali?

Io proprio no, ritengo ben più probabile che le camere chiedano ai giudici di darsi più da fare contro i migranti, i poveri, i ribelli.

Ci voleva l’Europa, come sempre, per aiutare le classi dirigenti economiche e politiche italiane ad ottenere ciò che facevano fatica ad imporre da sole. Ora, grazie anche al Recovery, padroni e politici potranno di nuovo ripetere la frase che più esprime la loro anima: “io sono io, e voi non siete un c...”

Il Marchese del Grillo è la vera fonte del diritto per Draghi, Cartabia e compagnia.

P.S. Naturalmente la feroce legislazione “antiterrorismo” che ci ha visti condannati dalla Corte internazionale dei diritti umani, e il cui uso ed abuso continua ancora, beh quella resta tutta e non si prescrive.

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