Dopo oltre un mese di detenzione arbitraria nel carcere di Petah Tikva, un altro mese di restrizioni ordinate dal tribunale di Rishon Letzion e altre settimane privato di documenti e titoli di viaggio, dunque impossibilitato al rientro in Italia, sabato mattina finalmente sono riuscito ad atterrare a Roma.
Ora posso ringraziare tutti coloro che si sono mobilitati per la mia liberazione, chi ha mostrato sostegno e solidarietà ed è stato vicino alla mia famiglia in questo periodo difficile.
La mobilitazione portata avanti in Italia è stata fondamentale nell’evitare il rischio di detenzione amministrativa, in special modo vista l’incapacità delle autorità israeliane nel formulare accuse contro di me nonostante – per usare un eufemismo – l’utilizzo di ogni tipo di pressione fisica e psicologica.
Ci tengo a ricordarlo, il regime carcerario della detenzione amministrativa permette di essere trattenuti per un lasso di tempo potenzialmente infinito senza accuse formali, senza un equo processo e senza sapere neanche le motivazioni alla base della detenzione.
Tengo anche a ribadire che il mio non è un caso isolato, ma fa parte di un fenomeno più ampio, quello di una politica sistematica volta a reprimere la resistenza del popolo palestinese che da oltre settantacinque anni continua ad opporsi alla colonizzazione della propria terra.
Torno in Italia lasciando dietro di me decine tra parenti, amici e conoscenti nelle carceri israeliane, persone che non hanno la fortuna di avere una cittadinanza straniera a loro protezione. Forse è più difficile identificarsi con loro, distanti migliaia di chilometri, con vite e vicissitudini che raramente si intersecano con quelle di chi vive lontano da quella realtà.
Ciononostante mi auguro che coloro che si sono spesi per la mia liberazione vogliano continuare ad impegnarsi per la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi, specie in questo momento di crescente repressione dentro e fuori le carceri israeliane.
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