Come ci teniamo a ricordare ogni anno, il 12 Dicembre non sarà mai una data come le altre sul nostro calendario.
L’anniversario della Strage di Piazza Fontana nel dicembre del 1969, segnò il salto di qualità nella “guerra di bassa intensità” che gli apparati dello Stato, quelli statunitensi/atlantici e le organizzazioni neofasciste scatenarono contro il movimento operaio e la sinistra nel nostro paese.
Quella di Piazza Fontana continuiamo e continueremo a definirla come una Strage di Stato perché questo è quanto emerso dalla verità storica e politica ma non del tutto nitidamente da quella giudiziaria.
In questi tempi di guerra e di guerre, ci interessa riportare alla luce un aspetto che ha sempre faticato ad emergere, ma che soprattutto è stato sistematicamente rimosso dalla “politica”: le responsabilità degli apparati Usa e Nato nella concezione e nell’organizzazione delle stragi che hanno colpito il nostro paese tra il 1969 e il 1984.
Ben due inchieste sulle stragi, quella di Piazza Fontana a Milano nel 1969 e quella di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974, portano a indicare “i colpevoli di livello” negli ufficiali e negli agenti in servizio nel Comando Nato Ftase di Verona.
Sulla prima, le indagini del giudice Salvini sulla Strage di Piazza Fontana avevano portato direttamente alla pista degli “amerikani” nel nostro paese come nucleo ideatore della stagione delle stragi. E gli agenti statunitensi, almeno quelli emersi dalle indagini, erano tutti in servizio alla base militare Nato di Verona.
Nella strategia stragista, il giudice Salvini è arrivato a individuare il ruolo dei servizi segreti militari USA (non la Cia, si badi bene), e soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”.
L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri utilizzati nella strategia delle stragi ha un nome e un cognome: Joseph Luongo. Il suo braccio destro era un altro ufficiale statunitense: Leo Joseph Pagnotta. Questi nomi sono stati consegnati dal giudice Salvini alla Commissione parlamentare sulle stragi.
Per la strage di Brescia, nelle 280mila pagine di atti dei processi sulla strage depositati in quel Tribunale, oltre ai fascisti e ai servizi segreti italiani, nell’incubazione della strage emerge anche l’indicazione di un terzo livello di responsabilità che porta anche in questo caso al Comando Ftase di Verona (Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa della Nato).
Il luogo dove sarebbe stata elaborata la strategia stragista era a Palazzo Carli, a Verona, sede del Comando Nato.
“Qui, con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi, si sarebbero svolte le riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe dovuto sovvertire la democrazia italiana e rinsaldare lo scricchiolante fronte dei regimi del Mediterraneo. Quello che, all’epoca, teneva insieme il Portogallo salazarista, la Grecia dei colonnelli e la Spagna franchista”, scriveva Carlo Bonini su La Repubblica riprendendo il dispositivo della sentenza sulla strage di Brescia.
Gli “uomini neri”, cioè gli autori delle stragi di Stato, secondo quanto dichiarato dal giudice Salvini in sede di Commissione Parlamentare di inchiesta sulle stragi, non erano più di venticinque/trenta persone organizzate su cinque cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest. Ma il perno del sistema operativo era proprio a Verona, lì dove tutto è cominciato ed è ancora difficile dire oggi che tutto sia finito.
Lo Ftase di Verona è il comando delle forze terrestri Usa e Nato. In quella fase storica, Verona non era solo il “cuore nero” del paese, ma era il perno del comando degli operativi militari statunitensi e Nato nella frontiera del Nordest, quella di confine con la cortina di ferro dei paesi del Patto di Varsavia.
Non risulta che i governi italiani abbiano mai chiesto conto in via bilaterale o in Parlamento ai comandi militari della Nato di quanto è emerso dalle inchieste sulle stragi. Neanche quando il giudice Salvini pose esplicitamente il problema ai parlamentari in sede di Commissione di inchiesta sulle stragi.
Quest’anno però sono arrivate le rivelazioni di Giuliano Amato sulla strage di Ustica, dichiarazioni che allungano, ma non scoperchiano, questa lunga linea di sangue che la Nato ha seminato nel nostro paese, e tale responsabilità non può essere affibbiata solo ad uno dei membri della Nato: la Francia.
Ma Amato segnala anche un altro problema con cui il nostro paese fa i conti da troppo tempo, chiarendo come tra i vertici militari ( e quelli dei servizi segreti) italiani “tra fedeltà alla Costituzione e fedeltà alla Nato, è prevalsa la seconda”. E non solo nella strage di Ustica.
Adesso la morte biologica o l’età avanzata di molti protagonisti dell’epoca delle Stragi di Stato, non consente di mettere tutte le caselle al loro posto e ricavarne una verità giudiziaria che renda giustizia su quanto accaduto nel nostro paese nel quindicennio che va dal 1969 al 1984, ma che almeno si consenta, a chi ha il coraggio di farlo, di affrontare la verità storica e politica, senza pagine rimosse o “maledette” che impediscano alle nuove generazioni di comprendere pienamente cosa e perché è accaduto.
Il 17 dicembre 1981 un commando delle Brigate Rosse sequestrava clamorosamente il generale statunitense comandante del Comando militare Ftase di Verona: il generale Dozier. L’alto ufficiale venne liberato il 28 gennaio 1982 da un gruppo operativo dei Nocs (corpi speciali della Polizia) e con la supervisione statunitense.
È bene sapere o ricordare che per raggiungere quell’obiettivo non furono risparmiate torture ai militanti delle Br – sia uomini che donne – arrestati prima e dopo il sequestro. Il caso esplose nei mesi successivi e portò all’arresto di un giornalista de L’Espresso, Pier Vittorio Buffa, che aveva reso pubblici i casi di tortura. Poi confermati tre decenni dopo da uno dei suoi autori.
Ma un comandante della base militare Ftase di Verona non poteva non sapere che cosa stavano combinando i suoi uomini da oltre un decennio. E forse nel 1981 avrebbe dovuto e potuto rispondere a domande che fino ad allora nessuno gli aveva posto, né la magistratura né le autorità italiane, sia sulle strage di Piazza Fontana che sulla strage di Brescia.
I brigatisti non hanno avuto il tempo, la conoscenza o l’esperienza per formulare le domande giuste al gen. Dozier . La pista sul comando Nato di Verona in effetti è venuta fuori a metà degli anni Novanta, quindici anni dopo.
Ma dopo l’emersione di questa pista sulla Strage di Piazza Fontana – confermata poi anche dal processo per la Strage di Brescia – sia la magistratura sia la politica hanno avuto tutto il tempo e le conoscenze per fare le domande che andavano fatte. Ma se ne sono ben guardati per anni, anzi decenni.
Appunto, tra fedeltà alla Costituzione e fedeltà alla Nato, ha prevalso la seconda.
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