L’analista geopolitico Emanuel Pietrobon (Limes, Insideover, ecc.), attraverso un ricordo storico, spiega perché è un errore sottovalutare la Cina. In realtà l’elemento centrale è l’ignoranza, in questo caso dei fondamenti minimi dell’antropologia culturale, ossia quella disciplina che studia(va?) le differenze tra le diverse culture umane scoprendo, fra l’altro, che non ne esiste una “migliore”.
Ma è una scoperta mortale per i suprematisti occidentali, degni eredi dei Pizarro e dei Cortez. Per loro non esiste proprio il problema: loro si sentono i più fighi del mondo e gli altri (specie se con diverso colore di pelle) sono o merce da sfruttare o ostacoli da rimuovere con mezzi sbrigativi.
Il problema, come stiamo cercando di spiegare, è che tranne qualche popolazione primitiva ancora non in contatto con il resto del mondo, quei “selvaggi ingenui e disarmati” cui si potevano dare perline colorate in cambio di pepite d’oro, oppure spazzar via a suon di cannonate e fucileria contro archi e frecce, sono un tantinello evoluti.
Alcuni sono stati capaci di far fuggire gli eserciti più moderni (do you remember Afghanistan?) anche restando, in fondo, pastori o poco più. Altri, come appunto la Cina, hanno raggiunto e in qualche campo superato gli ex dominatori. Anche perché non ragionano da suprematisti supponenti...
Buona lettura.
Ma è una scoperta mortale per i suprematisti occidentali, degni eredi dei Pizarro e dei Cortez. Per loro non esiste proprio il problema: loro si sentono i più fighi del mondo e gli altri (specie se con diverso colore di pelle) sono o merce da sfruttare o ostacoli da rimuovere con mezzi sbrigativi.
Il problema, come stiamo cercando di spiegare, è che tranne qualche popolazione primitiva ancora non in contatto con il resto del mondo, quei “selvaggi ingenui e disarmati” cui si potevano dare perline colorate in cambio di pepite d’oro, oppure spazzar via a suon di cannonate e fucileria contro archi e frecce, sono un tantinello evoluti.
Alcuni sono stati capaci di far fuggire gli eserciti più moderni (do you remember Afghanistan?) anche restando, in fondo, pastori o poco più. Altri, come appunto la Cina, hanno raggiunto e in qualche campo superato gli ex dominatori. Anche perché non ragionano da suprematisti supponenti...
Buona lettura.
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Una cosa che i policy maker occidentali, specie statunitensi, non capiscono della Cina è questa: nel pensiero strategico cinese non esiste il bluff; esiste l’imperscrutabilità, che è un’altra cosa.
Quando i cinesi minacciano, non bluffano: è l’ultimo monito prima dell’azione. Nell’ottobre del 1950 i cinesi inviarono a Truman un ultimatum attraverso l’India: “se sconfinerete oltre lo Yalu, interverremo e sarà guerra, anche se voi siete gli Stati Uniti”.
Truman e MacArthur pensarono a un bluff, anche perché Mao non godeva del supporto di Stalin. Se i cinesi avessero voluto reagire allo sfondamento delle truppe USA oltre il confine sino-coreano, lo avrebbero dovuto fare senza l’appoggio sovietico e a fronte di un divario tecnologico e militare enorme.
Era per forza un bluff per spingere gli USA a rimanere dov’erano. MacArthur aveva concluso, dopo un’attenta valutazione delle forze in gioco, che i cinesi sarebbero andati incontro al “più grande massacro” (greatest slaughter) della loro storia se avessero combattuto vis a vis contro l’esercito americano. Minacciavano per bluffare, chiaro.
Questo è quello che succede quando un giocatore di poker incontra un giocatore di go: la notte del 19 ottobre, in assenza di risposta da Truman e notando che il contingente ONU a guida USA stava procedendo verso il confine sino-nordcoreano, i cinesi attaccarono per primi.
Il loro attacco a sorpresa non fu affatto simbolico: Mao radunò un numero enorme di combattenti (volontari), circa 200.000, in pochi giorni.
Erano tantissimi e impreparatissimi, ma avevano dalla loro il morale, che per Mao era più importante della supremazia militare. Dopo aver usato la loro massa per soverchiare le forze sudcoreane, i volontari andarono immediatamente alla ricerca dello scontro – diretto e sul campo – con le truppe statunitensi.
La prima battaglia avvenne il 1 novembre. Ricordavano i kamikaze giapponesi. In dicembre Truman dichiarò l’emergenza nazionale.
MacArthur, davanti alle perdite americane e al lento avanzare dei cinesi verso Seul – che tentarono di catturare due volte – iniziò a fare pressioni su Truman perché autorizzasse… l’utilizzo dell’atomica.
Truman prese l’iniziativa nell’aprile 1951, segnalando a Mao che gli Stati Uniti erano disposti a un compromesso: dimissioni di MacArthur, ritiro a sud del 38esimo parallelo.
I critici di MacArthur accusavano il generale di parlare di Cina senza averci mai messo piede. Erano accuse vere: MacArthur aveva confuso la Cina per la Germania nazista o per l’Italia fascista, insomma, per un paese culturalmente comprensibile. Ma la Cina era ed è quanto di più lontano potesse e possa esserci dal pensiero strategico occidentale.
Ho riesumato questo episodio storico, purtroppo semisconosciuto, perché l’amministrazione Trump mi sembra popolata da tanti MacArthur, a partire da Vance ed Hegseth, che sono pieni di eccezionalismo e vuoti di conoscenze. Persone che parlano di Cina senza averla studiata e che forse ignorano persino questo precedente storico.
Non stupirebbe, visto che Vance di recente ha bollato i cinesi come dei “contadini” buoni solo a produrre beni su larga scala coi sussidi americani.
Si va verso lo scontro totale con una potenza che ci ostiniamo a sottovalutare e purtroppo non abbiamo dei Truman né dei Kissinger a guidare i nostri passi: abbiamo soltanto dei MacArthur.
Speriamo che non ci conducano a un nuovo 1950, perché la direzione che abbiamo intrapreso è quella.
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