Nelle ultime settimane, sul nostro giornale abbiamo riportato alcuni casi di pesante repressione che hanno colpito studenti e dottorandi nelle università statunitensi, a causa del sostegno e della solidarietà data alla causa palestinese. Le vittime della lunga mano del sionismo non fanno che moltiplicarsi, ma questo non succede solo al di là dell’Atlantico.
L’articolo qui riportato è stato tradotto da The Intercept, ed è comparso anche su +972 Magazine. È stato scritto dal giornalista Hanno Hauenstein, i cui lavori sono comparsi anche sul The Guardian e Haaretz. La storia che ricostruisce è quella di come le autorità di Berlino stanno adottando la stessa logica di Trump per l’espulsione dei solidali con la Palestina.
In un certo senso, per le specifiche legali che vengono evidenziate nell’articolo e la cittadinanza di paesi dell’area Schengen di tre dei quattro manifestanti colpiti dagli ordini di espulsione, forse questi casi sono ancora peggiori di quelli degli USA. Ma non è certo il caso di fare una classifica della ‘migliore’ repressione.
Prima di lasciare il lettore alle parole di Hauenstein, vogliamo sottolineare solo due questioni. La prima è come, in maniera sempre più diffusa, il combinato disposto tra l’associazione di ogni forma di dissenso alla categoria di “terrorismo” e l’invocazione di “ragioni di sicurezza nazionale” vengano usati per la repressione del fronte interno di una guerra che pervade la società occidentale, fuori e dentro i suoi confini.
Questo non avviene solo negli Stati Uniti di Trump, che con una semplice elezione, da “culla della democrazia” si sono trasformati in un paese quasi “canaglia”, e anche un po’ sottosviluppati culturalmente (stando alle parole suprematiste sentite nella piazza per l’Europa guerrafondaia di Michele Serra).
Avviene nel cuore della UE, in Germania, dove il principale partito è l’equivalente della nostra vecchia Democrazia Cristiana. E dove è stato fatto votare un parlamento ormai scaduto (ovvero “senza più potere di decidere”) per superare il vincolo costituzionale di bilancio che metteva freno al riarmo, nuova cartina tornasole del livello di civiltà e di democrazia nella vulgata bellicista di Bruxelles.
Insomma, alla fin fine, almeno se si tratta di reprimere ogni voce critica, USA e UE non sono poi così diversi.
L’altro elemento che a questo punto va sottolineato è che di fronte ai casi tedeschi suscita davvero rabbia la difesa che abbiamo sentito a più riprese in vari programmi televisivi, per cui – sì – è vero, anche l’Occidente ha violato il diritto internazionale, ma qui abbiamo il diritto di denunciarlo.
Le ritorsioni che stanno subendo i quattro manifestanti di cui si parla qui sotto mostrano che non è più vero neanche questo minimo. Se si prova a denunciare la complicità in un genocidio mentre questo accade, la tua vita viene resa impossibile. Forse, a distanza di qualche decennio, quando lo sterminio sarà completato, le classi dirigenti potrebbero permettere a qualcuno di dirlo: “è vero, i nostri governi sono stati complici del genocidio“.
Per quanto sia solo un’illusione (non accadrà davvero e, nel caso, troveranno sempre una scusante per giustificare il suprematismo europeo), questo è un insegnamento da tenere a mente: il capitale al massimo ti potrà concedere di dire le cose, non di cambiarle. Che è quello che vogliono davvero le forze emancipatrici in una società ingiusta.
Buona lettura.
L’articolo qui riportato è stato tradotto da The Intercept, ed è comparso anche su +972 Magazine. È stato scritto dal giornalista Hanno Hauenstein, i cui lavori sono comparsi anche sul The Guardian e Haaretz. La storia che ricostruisce è quella di come le autorità di Berlino stanno adottando la stessa logica di Trump per l’espulsione dei solidali con la Palestina.
In un certo senso, per le specifiche legali che vengono evidenziate nell’articolo e la cittadinanza di paesi dell’area Schengen di tre dei quattro manifestanti colpiti dagli ordini di espulsione, forse questi casi sono ancora peggiori di quelli degli USA. Ma non è certo il caso di fare una classifica della ‘migliore’ repressione.
Prima di lasciare il lettore alle parole di Hauenstein, vogliamo sottolineare solo due questioni. La prima è come, in maniera sempre più diffusa, il combinato disposto tra l’associazione di ogni forma di dissenso alla categoria di “terrorismo” e l’invocazione di “ragioni di sicurezza nazionale” vengano usati per la repressione del fronte interno di una guerra che pervade la società occidentale, fuori e dentro i suoi confini.
Questo non avviene solo negli Stati Uniti di Trump, che con una semplice elezione, da “culla della democrazia” si sono trasformati in un paese quasi “canaglia”, e anche un po’ sottosviluppati culturalmente (stando alle parole suprematiste sentite nella piazza per l’Europa guerrafondaia di Michele Serra).
Avviene nel cuore della UE, in Germania, dove il principale partito è l’equivalente della nostra vecchia Democrazia Cristiana. E dove è stato fatto votare un parlamento ormai scaduto (ovvero “senza più potere di decidere”) per superare il vincolo costituzionale di bilancio che metteva freno al riarmo, nuova cartina tornasole del livello di civiltà e di democrazia nella vulgata bellicista di Bruxelles.
Insomma, alla fin fine, almeno se si tratta di reprimere ogni voce critica, USA e UE non sono poi così diversi.
L’altro elemento che a questo punto va sottolineato è che di fronte ai casi tedeschi suscita davvero rabbia la difesa che abbiamo sentito a più riprese in vari programmi televisivi, per cui – sì – è vero, anche l’Occidente ha violato il diritto internazionale, ma qui abbiamo il diritto di denunciarlo.
Le ritorsioni che stanno subendo i quattro manifestanti di cui si parla qui sotto mostrano che non è più vero neanche questo minimo. Se si prova a denunciare la complicità in un genocidio mentre questo accade, la tua vita viene resa impossibile. Forse, a distanza di qualche decennio, quando lo sterminio sarà completato, le classi dirigenti potrebbero permettere a qualcuno di dirlo: “è vero, i nostri governi sono stati complici del genocidio“.
Per quanto sia solo un’illusione (non accadrà davvero e, nel caso, troveranno sempre una scusante per giustificare il suprematismo europeo), questo è un insegnamento da tenere a mente: il capitale al massimo ti potrà concedere di dire le cose, non di cambiarle. Che è quello che vogliono davvero le forze emancipatrici in una società ingiusta.
Buona lettura.
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Le autorità per l’immigrazione di Berlino stanno procedendo all’espulsione di quattro giovani residenti stranieri con l’accusa di aver partecipato alle proteste contro la guerra di Israele a Gaza, una decisione senza precedenti che solleva serie preoccupazioni sulle libertà civili in Germania.
Gli ordini di espulsione, elaborati ai sensi della legge tedesca sull’immigrazione, sono stati emessi in mezzo a pressioni politiche e a obiezioni interne da parte del capo dell’agenzia per l’immigrazione di stato di Berlino. Il conflitto interno è sorto perché tre di coloro che sono stati presi di mira per l’espulsione sono cittadini di stati membri dell’Unione Europea che normalmente godono della libertà di movimento tra i paesi dell’UE.
Gli ordini, emessi dallo stato di Berlino, la cui amministrazione del Senato sovrintende all’applicazione delle leggi sull’immigrazione, dovrebbero entrare in vigore in meno di un mese. Nessuno dei quattro è stato condannato per alcun crimine. Questi casi sono paragonabili all’uso che gli Stati Uniti fanno degli ordini di espulsione per reprimere i movimenti sociali.
“Quello che stiamo vedendo qui è tratto direttamente dal manuale dell’estrema destra”, ha detto Alexander Gorski, un avvocato che rappresenta due dei manifestanti. “Lo si può vedere negli Stati Uniti e ora anche in Germania: il dissenso politico viene messo a tacere prendendo di mira lo status di migrante dei manifestanti”.
“Da un punto di vista legale, siamo rimasti allarmati dal ragionamento, che ci ha ricordato il caso di Mahmoud Khalil“, ha detto Gorski, riferendosi al laureato palestinese della Columbia University e residente permanente negli Stati Uniti che è stato prelevato dal suo condominio con l’accusa di attività pro-Palestina nel campus.
Le quattro persone destinate all’espulsione – Cooper Longbottom, Kasia Wlaszczyk, Shane O’Brien e Roberta Murray – sono cittadini, rispettivamente, degli Stati Uniti, della Polonia e, negli ultimi due casi, dell’Irlanda.
Secondo la legge tedesca sull’immigrazione, le autorità non hanno bisogno di una condanna penale per emettere un ordine di espulsione, ha affermato Thomas Oberhäuser, avvocato e presidente del comitato esecutivo per il diritto dell’immigrazione presso l’Ordine degli avvocati tedesco. Le motivazioni citate, tuttavia, devono essere proporzionali alla gravità dell’atto di espulsione, che può implicare fattori come la separazione dalla propria famiglia o la perdita della propria attività.
“La domanda chiave è: quanto è grave la minaccia e quanto è proporzionata la risposta?”, ha detto Oberhäuser, che non è coinvolto nel caso. “Se qualcuno viene espulso semplicemente per le sue convinzioni politiche, si tratta di un enorme eccesso”.
Ognuno dei quattro manifestanti deve affrontare accuse separate da parte delle autorità, tutte sostanziate sulla base di file della polizia e collegate ad azioni pro-Palestina a Berlino. Alcune accuse, ma non tutte, rientrano nel diritto penale in Germania; quasi nessuna di esse è stata portata dinnanzi a un tribunale penale.
Le proteste in questione includono un sit-in di massa presso la stazione centrale di Berlino, un blocco stradale e l’occupazione di un edificio presso la Free University di Berlino, avvenuta a fine 2024.
L’unico evento che collega i quattro casi è l’accusa che i manifestanti abbiano partecipato all’occupazione dell’università, che ha comportato “danni alla proprietà” e una presunta ostruzione di un arresto, con lo scopo di bloccare la detenzione di un altro manifestante.
Nessuno dei manifestanti è accusato di particolari atti di vandalismo o dell’ostruzione dell’arresto presso l’università. Invece, l’ordine di espulsione cita il sospetto che abbiano preso parte a un’azione di gruppo coordinata. La Free University ha detto a The Intercept di non essere a conoscenza degli ordini di espulsione.
Alcune delle accuse sono di minore entità. In due, ad esempio, sono accusati di aver definito un agente di polizia “fascista“, e perciò di aver insultato un agente, che è un reato. In tre sono accusati di aver manifestato con gruppi che scandivano slogan come “From the river to the sea, Palestine will be free” (che è stato dichiarato illegale l’anno scorso in Germania) e “Free Palestine”. Le autorità affermano inoltre che tutti e quattro hanno urlato “slogan antisemiti” o anti-Israele, anche se nessuno è specificato.
Due di loro sono accusati di aver afferrato il braccio di un agente o di un altro manifestante nel tentativo di fermare gli arresti durante il sit-in alla stazione ferroviaria. O’Brien, uno dei cittadini irlandesi, è l’unico dei quattro il cui ordine di espulsione includeva un’accusa, ovvero quella di aver definito un agente di polizia “fascista”. Reato per il quale è stato portato davanti a un tribunale penale di Berlino, dove è stato assolto.
Tutti e quattro sono accusati, senza prove, di sostenere Hamas, gruppo che la Germania ha definito un’organizzazione terroristica. Tre dei quattro ordini di espulsione invocano esplicitamente presunte minacce alla sicurezza pubblica e il supporto ad Hamas per sostenere che i manifestanti non possono far valere i loro diritti costituzionali alla libertà di espressione e di riunione durante i procedimenti di espulsione.
“Quello a cui stiamo assistendo sono le misure più dure possibili, basate su accuse estremamente vaghe e in parte del tutto infondate”, ha affermato Gorski, l’avvocato di due dei manifestanti. In una mossa senza precedenti, ha affermato Gorski, tre dei quattro ordini di espulsione citano come giustificazione l’impegno nazionale della Germania a difendere Israele, la Staatsräson, termine tedesco per ragion di Stato.
Oberhäuser, del comitato per l’immigrazione dell’Ordine degli avvocati, ha affermato che Staatsräson è un principio piuttosto che una categoria giuridica significativa. E un organo parlamentare ha recentemente sostenuto che non vi sono effetti giuridicamente vincolanti della disposizione.
Questa distinzione, ha affermato Oberhäuser, rende giuridicamente dubbio l’uso dello Staatsräson nei procedimenti di espulsione: “Ciò è inammissibile secondo il diritto costituzionale”.
Le e-mail interne ottenute da The Intercept mostrano pressioni politiche dietro le quinte per emettere gli ordini di espulsione, nonostante le obiezioni dei funzionari dell’immigrazione di Berlino. La battaglia si è svolta tra i burocrati del Senato di Berlino, dell’organo esecutivo del Land sotto l’autorità del sindaco Kai Wegner, a sua volta eletto dall’organo parlamentare della città.
Dopo che il Dipartimento degli Interni del Senato di Berlino ha chiesto un ordine di espulsione, Silke Buhlmann, responsabile della prevenzione della criminalità e del rimpatrio presso l’agenzia per l’immigrazione, ha sollevato delle obiezioni.
In una e-mail, Buhlmann ha sottolineato che le sue preoccupazioni erano condivise dal funzionario più alto in grado dell’agenzia per l’immigrazione, Engelhard Mazanke. Buhlmann ha espressamente avvertito che la base giuridica per revocare la libera circolazione dei tre cittadini dell’UE era insufficiente e che la loro espulsione sarebbe stata illegale.
“In coordinamento con il signor Mazanke, vi informo che non posso ottemperare alla vostra direttiva del 20 dicembre 2024, ovvero condurre udienze per gli individui elencati da a) a c) e successivamente determinare la perdita della libertà di movimento, per motivi legali”, ha scritto Buhlmann, riferendosi ai tre cittadini degli stati dell’UE come casi da A a C.
Buhlmann ha scritto che, sebbene i rapporti della polizia “suggeriscano una potenziale minaccia all’ordine pubblico da parte degli individui interessati, non ci sono condanne penali definitive per comprovare una minaccia sufficientemente seria e reale”.
L’obiezione interna, assunta come rimostranza, è stata rapidamente respinta dal funzionario del Dipartimento del Senato di Berlino, Christian Oestmann, che ha respinto le preoccupazioni e ha ordinato di procedere comunque con gli ordini di espulsione.
“Per questi individui, la libertà di movimento continuata non può essere giustificata per motivi di ordine pubblico e sicurezza, indipendentemente da eventuali condanne penali”, ha scritto. “Pertanto, chiedo che le udienze siano condotte immediatamente come da istruzioni”.
In una dichiarazione rilasciata a The Intercept, un portavoce del Dipartimento del Senato ha dichiarato che il Dipartimento degli Interni aveva autorità sull’ufficio immigrazione. “Il Dipartimento per gli Interni e lo Sport del Senato esercita la supervisione tecnica e amministrativa sullo State Office for Immigration”, ha affermato il portavoce. “Come parte di questo ruolo, detiene l’autorità di emanare direttive”.
Il Senato ha rifiutato di commentare i dettagli dei casi, citando la protezione della privacy. L’agenzia per l’immigrazione non ha risposto alla richiesta di commento di The Intercept. Alla fine, Mazanke, il massimo funzionario della giustizia sull’immigrazione, ha rispettato la direttiva e ha firmato l’ordine.
Nelle interviste rilasciate a The Intercept, i quattro manifestanti destinatari degli ordini di espulsione hanno rifiutato di discutere le accuse specifiche rivolte loro. Nel frattempo, a tutti e quattro è stato ordinato di lasciare la Germania entro il 21 aprile 2025, altrimenti saranno espulsi con la forza.
Le conseguenze più gravi spetterebbero a Longbottom, uno studente americano di 27 anni di Seattle, Washington, a cui l’ordine impedirebbe di entrare in uno qualsiasi dei 29 paesi della zona Schengen per due anni dopo aver lasciato la Germania.
Longbottom, che ha negato qualsiasi antisemitismo, ha dichiarato a The Intercept che gli restano solo sei mesi per completare la sua laurea magistrale presso l’Università Alice Salomon di Berlino, dove studia diritti umani. “Riuscirò a finire il mio percorso qui? Dove andrò a vivere?” ha detto Longbottom. “Tutte queste domande sono molto poco chiare”.
Longbottom, che è trans, vive a Berlino con il suo compagno, un cittadino italiano. La prospettiva di essere separati pesa molto su di loro. “Non ho niente da cui ricominciare”, ha detto. “Come persona trans, l’idea di tornare negli Stati Uniti in questo momento mi fa davvero paura”.
Kasia Wlaszczyk, 35 anni, operatrice culturale e cittadina polacca, ha affermato di non aver mai immaginato che ciò potesse accadere. Ha sottolineato che le accuse di antisemitismo sono prevalentemente una tattica razzista rivolta contro palestinesi, arabi e musulmani in Germania e gli ordini di deportazione riflettono un aumento nell’uso dell’accusa contro chiunque si schieri in solidarietà con loro.
“La Germania usa queste accuse come un’arma”, ha affermato. Wlaszczyk, anch’egli trans, non vive più in Polonia dall’età di dieci anni. “Se ciò andasse si concretizzasse, verrei sradicato dalla comunità che ho costruito qui”, ha affermato.
Tra i manifestanti era comune il senso di imminente perdita di senso di comunità. “La mia illusione di Berlino è stata infranta dalla mancanza di risposta al genocidio”, ha detto Shane O’Brien, 29 anni, cittadino irlandese. La violenta repressione delle comunità arabe a Berlino, ha detto, lo ha lasciato scosso.
Dopo tre anni a Berlino, la minaccia di espulsione ora appare come una rottura per Roberta Murray, 31 anni, anche lei irlandese. “La mia vita è qui“, ha detto. “Non sto facendo progetti per l’Irlanda. Credo che vinceremo, e che resteremo. Non credo che questo reggerà in tribunale”.
Gorski e altri avvocati hanno ora presentato una mozione urgente per ottenere provvedimenti provvisori, insieme a un ricorso formale per contestare la legalità degli ordini di espulsione.
Ha sottolineato di aver lavorato su casi simili in cui la legge sull’immigrazione è stata utilizzata per prendere di mira attivisti filo-palestinesi per i loro discorsi, ma ciò che distingue gli attuali quattro casi, ha affermato, è la facilità con cui la cosiddetta Staatsräson tedesca viene utilizzata per giustificare le espulsioni.
“I precedenti penali di queste persone sono puliti”, ha detto Gorski. Eppure il governo di Berlino sembra costruire una narrazione di “pericolo imminente” per eludere il giusto processo.
Gorski ha avvertito che i casi rappresentano un banco di prova per una più ampia repressione contro immigrati e attivisti in Germania, e non riguardano solo quattro manifestanti. Ha detto: “Vengono usati come cavie”.
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