Con il termine “lunga Resistenza” si designa il periodo storico che vide impegnati molti militanti antifascisti, soprattutto comunisti, che inizia con l’esilio all’estero, prosegue con la guerra di Spagna, la detenzione nei campi dei reduci delle Brigate Internazionali in Francia e il confino in Italia per concludersi con la Resistenza nel 1943-'45. Si tratta di una vicenda storica importante, di cui abbiamo già avuto modo di trattare su Contropiano in occasione dell’uscita di un bel documentario interattivo disponibile in rete realizzato dall’AICVAS (Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna): La lunga Resistenza: dalla guerra di Spagna all’Italia.
La guerra di Spagna, a cui parteciparono, nelle forze repubblicane, circa cinquemila italiani, fu il momento fondamentale di formazione militare per coloro che avrebbero costituito in seguito gran parte del gruppo dirigente della Resistenza. Per questo possiamo dire oggi che la Resistenza italiana non avrebbe avuto lo stesso sviluppo senza la guerra di Spagna.
Tuttavia, se la militanza nelle Brigate Internazionali costituì una decisiva formazione militare, non si deve trascurare la scuola politica che avvenne nei lunghi anni seguenti, tra la prigionia che il governo francese riservò ai reduci della Spagna e in seguito, al rientro in Italia, al confino, soprattutto a Ventotene.
In quelle condizioni di detenzione gli antifascisti riuscirono a organizzare comunque dei corsi di politica, di economia, di storia che affiancarono la formazione culturale a quella militare. In tutte queste vicende si forgiò un gruppo consistente di militanti comunisti che presero parte alla Resistenza in ruoli dirigenti.
Proprio su questi aspetti della storia resistenziale ma anche, in seguito, della storia italiana s’incentra un libro uscito recentemente presso Derive e Approdi: I fascisti tradirono l’Italia, di Anello Poma (a cura di Italo Poma e Alberto Zola, pp. 95, €14), che della “lunga Resistenza” fu uno dei protagonisti. Si tratta di un libro di un centinaio di pagine, ma è importante per riprendere alcuni aspetti della Resistenza e dei primi anni della Repubblica italiana attraverso la testimonianza e la biografia di Poma.
Anello Poma era nato nel 1914 a Biella e sin da giovanissimo iniziò la sua militanza nel PCd’I. Tuttavia, anche per ragioni generazionali, non arrivò alla guerra di Spagna attraverso l’esilio, ma in un modo più curioso. Sentendo fortissima la motivazione di aderire alle Brigate Internazionali, partì per Parigi nell’agosto 1937 approfittando di una gita dopolavoristica organizzata per visitare l’Esposizione Internazionale.
Nella capitale francese si dileguò dal gruppo e si mise in contatto con compagni che organizzarono il suo viaggio verso la Spagna. In seguito fu appunto detenuto in Francia, confinato a Ventotene e comandante partigiano nel biellese con il nome di battaglia di Italo.
La prima parte del libro è costituita dalla trascrizione di un intervento di Anello Poma, che dà anche il titolo al libro, I fascisti tradirono l’Italia tenuto nel giugno del 1996 in una scuola media. Si tratta di un testo in cui Poma chiarisce quali siano i principi della guerra di guerriglia, diversi dalla guerra tradizionale tra eserciti e tocca la delicata questione di come considerare i giovani che si erano arruolati nelle brigate nere della RSI.
Una questione che nel 1996 era di bruciante attualità per le sciagurate affermazioni del Presidente della Camera, Violante, sulla necessità di comprendere le ragioni dei giovani che si arruolarono con la Repubblica di Salò.
La posizione di Anello Poma è molto chiara e distingue chi si arruolò volontario nelle brigate fasciste che, si badi, furono destinate esclusivamente alla lotta antipartigiana e chi, della classe 1925 o '26, per paura di rappresaglie o per ignoranza subì l’arruolamento nell’esercito della RSI.
È evidente che si tratta di due situazioni diverse, tanto che se verso i primi l’unica parola d’ordine fu “arrendersi o perire”, per i secondi i partigiani tentarono spesso azioni di recupero che videro molti giovani cambiare campo. Tuttavia, in ogni caso non si può accettare lo schierarsi con l’occupante tedesco e la discriminante storica e politica della questione è chiara.
Non è un caso, purtroppo, che anche in occasione dell’ottantesimo della Liberazione molti esponenti della destra, anche di matrice MSI, abbiano rispolverato il discorso di Luciano Violante.
All’intervento di Anello Poma segue un saggio dello storico Alberto Zola che si incentra su due questioni controverse nella storia dei comunisti italiani: la svolta di Salerno e l’amnistia Togliatti, traendo spunto da questi fatti per analizzare alcuni aspetti del dibattito interno al PCI negli anni successivi alla Liberazione e come fu vissuto dalla generazione resistenziale di cui faceva parte Anello Poma.
Secondo Zola, la svolta di Salerno fu concepita da Togliatti per ottenere l’accettazione del Partito Comunista come partito nazionale (non più della classe operaia e della rivoluzione) che avesse anche funzioni di direzione ma che divenne incompatibile con la politica fondata sul CLN come fondamento del nuovo stato. In terzo luogo, Zola individua nel seguito della svolta di Salerno il percorso che portò il Partito dalla concezione della democrazia di tipo nuovo che realizza misure di carattere socialista verso una democrazia semplicemente rappresentativa e borghese.
Il Partito aveva avuto, in quel periodo, due centri dirigenti, uno a Milano e uno a Roma. Il centro di Milano era legato all’esperienza partigiana con un costante confronto con la classe operaia e la lotta di classe mentre quello romano, dopo i lunghi anni di clandestinità, viveva l’esigenza di collaborare strategicamente con le tradizionali forze borghesi mettendo di fatto in secondo piano il ruolo rivoluzionario. Un contrasto che è stato simbolicamente rappresentato con il vento del nord e il vento del sud.
Quanto all’amnistia Togliatti, Zola ricorda che il suo effetto fu quello di vedere uscire di galera molti fascisti, responsabili anche di stragi e di torture. Inoltre, nel maggio del 1945 i tribunali militari alleati iniziarono a imputare a partigiani, soprattutto garibaldini, azioni avvenute in guerra ma considerate illegittime. Con la ricostituzione della magistratura repubblicana, in cui erano presenti giudici del vecchio regime, i partigiani si trovarono a passare da liberatori a imputati mentre i fascisti scamparono alla giustizia.
Anello Poma dopo la Liberazione fu per poco tempo dirigente di partito a Vercelli, ma ben preso fu chiamato a Roma, per collaborare con Secchia alla commissione organizzazione, vivendo ospite di Mauro Scoccimarro di cui aveva sposato la figlia con un singolare rito partigiano. Tuttavia non si ambientò mai a Roma: la mancanza del lavoro operaio, del contatto diretto con la lotta di classe lo portarono a tornare a Biella dove svolse ancora attività di dirigente di partito e di giornalista.
Entrò nel comitato regionale piemontese del PCI, ma fu progressivamente emarginato dai ruoli dirigenti sinché nel 1968 venne sollevato da tutti gli incarichi, insieme ad alcuni altri funzionari che si erano battuti perché il PCI si aprisse alle istanze dei movimenti giovanili. Da quel momento la vita di Poma fu soprattutto dedicata all’attività storica.
Al di là dei giudizi sulla svolta di Salerno, che sono ancora oggi oggetto di dibattito storico, la vita di Anello Poma illustra quella che fu la storia di una generazione di militanti comunisti e in parte anche del dibattito all’interno del PCI sino al termine degli anni sessanta. Tali militanti e dirigenti, che si erano formati sin dai tempi della guerra di Spagna, furono progressivamente emarginati dai ruoli dirigenti, parallelamente a colui che ne era, in buona parte, il punto di riferimento: Pietro Secchia.
In maniera troppo sbrigativa la questione è stata spesso ridotta a quella dello stalinismo, ma in realtà si trattava di divergenze significative che riguardavano il rapporto del partito con la classe operaia e con le istituzioni della repubblica liberale. Divergenze che sono ben evidenti rileggendo oggi gli scritti di Pietro Secchia che però non si esplicitarono mai completamente, non solo per disciplina di partito ma anche perché per tutti quei militanti il Partito aveva rappresentato, per decenni, la ragione di vita e anche, in qualche modo, l’unica protezione quasi in forma familiare.
Lo stesso Secchia riteneva che la scelta migliore fosse quella di restare comunque nel Partito, e i casi milanesi come quelli di Giuseppe Alberganti “Cristallo” e Raffaellino De Grada che invece lo abbandonarono verso il Movimento Studentesco furono eccezionali.
Oggi possiamo rileggere molti documenti che testimoniano l’apertura di Secchia verso i movimenti giovanili del 1968 e anche prima il suo interesse per la rivoluzione cinese. Secchia fu anche un punto di riferimento ideale per vari movimenti della nuova sinistra post-sessantotto; basti ricordare la commemorazione che avvenne alla Statale di Milano al momento della sua morte, nel 1973. Proprio a Secchia è dedicato l’ultimo capitolo del libro I fascisti tradirono l’Italia, in cui Anello Poma sostiene l’opportunità di recuperare e ristudiare il contributo politico e storico di Secchia.
Questo piccolo libro, ricostruendo la vita e il pensiero di un protagonista della Resistenza come Anello Poma, permette anche di tratteggiare almeno a grandi linee non solo alcune vicende problematiche dell’Italia resistenziale, ma anche la biografia politica di una generazione di comunisti che vissero i momenti storici seguenti alla Liberazione avendo un punto di vista diverso da quello della maggioranza togliattiana del PCI.
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