Prima della mia prolungata ed involontaria assenza, avevo iniziato a parlare di quel che accade in Cina, dei rischi di crack
e della tempestosa vigilia del Congresso. La destituzione di Bo Xilai è
la conferma del carattere tutt'altro che tranquillo della transizione dall'attuale gruppo dirigente al prossimo
ed obbliga a qualche riflessione. I quotidiani del 15 marzo ne hanno
dato notizia con un certo rilievo, ma nelle pagine interne
(evidentemente la politica interna della Cina non è ancora ritenuta
degna della prima pagina) e spesso con notevoli imprecisioni: i singoli
personaggi sono spesso "spostati" da una corrente all'altra, le ragioni
dello scontro sono spesso fraintese, si immaginano schieramenti ed
alleanze molto fantasiose ecc, ma, soprattutto, quello che si legge in
una testata è spesso contraddetto da quello che si legge in un'altra. La
Cina è ancora un universo difficile da capire. Proviamo a mettere insieme un po' di notizie.
1 - La mappa delle correnti del Partito.
Il primo punto è capire quali siano le componenti del Pc cinese
e come siano distribuiti i vari personaggi. Possiamo distinguere tre
correnti principali (badando sempre al fatto che si tratta di
schieramenti che si modificano nel tempo, anche se hanno una relativa
durata):
a- i tuanpai: sono gli ex dirigenti della Lega dei
Giovani Comunisti degli anni settanta ed ottanta che attualmente
detengono le due principali cariche del partito: Presidenza dello Stato e
Segreteria Generale del Partito (Hu Jintao) e Presidenza del Governo
(Wen Jabao). Spesso si tratta di militanti che furono epurati durante la Rivoluzione Culturale
(che, nella Cina del dopo-Mao, è una sorta di tabù, da evocare come la
peggiore catastrofe della storia nazionale). Sono il gruppo di
mediazione per eccellenza, spesso ostentano posizioni politicamente
"liberal" (in particolare Wen Jabao) ma senza che
questo si traduca in atti concreti e sono i massimi custodi del primato
del Partito (ad esempio sono difensori delle imprese pubbliche)
b- la nuova cricca di Shanghai: si propongono come i prosecutori più diretti dell'opera di Deng Xiaoping ed il loro periodo d'oro è stato quello della segreteria generale di Jang Zemin (1989-2002). Il loro punto di forza è il controllo delle principali istituzioni economiche
pubbliche del paese, a cominciare dalla Popular Bank og China (Pboc, la
banca centrale) di cui è governatore Zhou Xiaochuan. Sono il gruppo
dirigente che ha gestito la repressione della rivolta democratica di
Tien An Men (1989) avviando nel contempo, le riforme liberiste e di
integrazione nell'economia mondiale. Godono una immeritata fama di riformismo politico,
perchè spesso si confonde (volutamente) fra liberismo economico e
liberalismo politico. In realtà, dal punto di vista politico, sono su
posizioni molto autoritarie (come ad esempio il Presidente
dell'Assemblea Nazionale del Popolo Wu Bangguo assolutamente ostile ad
ogni concessione in questo senso) mentre sono favorevoli alla
parificazione delle aziende private rispetto a quelle pubbliche (e,
qualcuno sospetta, ad una gradata privatizzazione di tutto il sistema
d'impresa pubblico). Ovviamente, sono i beniamini degli Usa, anche se, in materia di difesa e politica estera, non sono meno nazionalisti degli altri.
c- i principi rossi (taizi): sono i figli o (più spesso) i nipoti degli eroi della "lunga marcia" (1934) che siedono di diritto nel Comitato centrale
e che si apprestano a conquistare la poltrona più importante con Xi
Jinping che dovrebbe succedere ad Hu Jintao. Al di là della loro connotazione di casta,
non è affatto chiaro quale sia il loro orientamento in materia di
politica economica o riforme politiche (tuttavia, non sembrano molto
favorevoli a riforme democratiche, tanto del partito quanto dello
Stato). A differenza dei due gruppi precedenti, non tutti i principi
rossi (anche per ragioni anagrafiche) sono stati colpiti dalle
epurazioni della Rivoluzione Culturale, tuttavia, ugualmente esecrata.
Ai margini di queste componenti principali ci sono personaggi dotati di una propria autonomia come Zhou Yongkang
(già ministro della Sicurezza nazionale, vicino ai tuanpai, ma più che
altro espressione della comunità dell'intelligence cinese nell'Ufficio
Politico) anche lui ostile a riforme di segno democratico.
All'esterno del "palazzo", ma dotati di una certa influenza nel partito ci sono molteplici gruppi sbrigativamente definiti "neo maoisti" o "nostalgici" della Rivoluzione culturale. La realtà è ben più complessa. Ad esempio il segretario personale di Mao Zedong, Li Rui,
che a rigore dovrebbe essere considerato il super-nostalgico per
eccellenza, al contrario è stato il primo a firmare, insieme a Jiang Ping (ex-presidente dell' Università di legge e scienze politiche) un appello contro la censura e per la libertà di pensiero.
Più che altro, si può parlare di una complessa area di sinistra
che ospita tanto effettivi "nostalgici" del maoismo, quanto una nuova
sinistra che rilancia le istanze di libertà della protesta studentesca
di ventitrè anni fa, poi repressa a Tien An Men.
Ci sono anche settori di quadro intermedio del partito che
sono venuti allo scoperto in occasione della morte di Zhao Ziyang (il
Presidente del Consiglio che cercò di mediare con gli studenti e, per
questo venne estromesso) manifestando orientamenti favorevoli ad una
riforma democratica del partito, se non anche dello Stato. E tutto è
amalgamato da una latente ostilità verso i processi di privatizzazione
in atto in Cina (ricordiamo l'opposizione emersa nell'Assemblea
Nazionale del Popolo in occasione dell'inserimento in Costituzione del
diritto di proprietà privata). Il richiamo al maoismo, spesso, ha una
valenza meramente simbolica: il richiamo ad una Cina egualitaria (più
immaginaria che reale) poi sovvertita dalle riforme liberiste di Deng
Xiaoping. Ma è assai dubbio che dietro questo ci sia una effettiva adesione ideologica al pauperismo maoista o il desiderio di ritornare all'epoca della Rivoluzione culturale.
2 - Bo Xilai
In questo quadro occorre inserire il potente segretario del partito di Chongquing (città di 28 milioni di abitanti) Bo Xilai
destituito in questi giorni. Dal punto di vista della sua estrazione Bo
Xilai sarebbe un purissimo taizi (principe rosso) essendo il figlio di
Boybo, uno degli "otto immortali" della lunga marcia, già vicepremier
sotto Chou Enlai. Questo ha fatto pensare ad alcuni che la sua
destituzione sia un attacco al gruppo dei taizi e,
quindi a Xi Jinping prima del suo insediamento. Analisi completamente
sbagliata: in ottobre, durante una cena di taizi cui partecipò anche la
sorella di Xi Jinping, venne approvato un documento contro chi
manifestava nostalgia per i metodi della Rivoluzione culturale: il
segnale dell'attacco a Bo Xilai cui si attribuivano quelle nostalgie.
In realtà, Bo si è mosso come un battitore libero: dopo
essere stato ministro per il commercio estero (ottenendo discreti
successi) divenne capo del partito a Chongquing dove promosse una
violenta epurazione contro le triadi e la corruzione (furono arrestate
oltre 3.000 persone e condannati a morte anche 14 dirigenti del partito
locale). Questo procurò una vastissima popolarità a Bo, cui furono
dedicate canzoni e poesie, mentre nelle strade della sua città
campeggiavano scritte al neon che dicevano "Compagno Bo tu lavori duro" e
ci fu anche una incipiente campagna a suo favore come futuro segretario
del partito. Ma tutto questo gli conquistò anche eterne inimicizie:
nel corso della campagna Bo fece arrestare anche un avvocato degli
imputati che era un "principe rosso" come lui, quel che venne visto come
un insopportabile affronto e, da quel momento, il gruppo taizi gli è
stato costantemente ostile.
Ancor più ostile gli è stato il gruppo di Shangai e non
solo perché fra il 2006 ed il 2008 venne ripetutamente colpito per casi
di corruzione (una campagna voluta da Hu Jintao per liberarsi
dell'influenza del suo predecessore), ma anche perché vicino al loro
gruppo è anche Wang Yang (di origine tuanpai), il
predecessore di Bo a Chongngquing: la purga di Bo suonava come una
indiretta sconfessione per lui che avrebbe consentito l'estendersi della
corruzione e della malavita.
Anche il gruppo tuanpai non ha mostrato alcuna simpatia per il "modello Chongquing"
inaugurato da Bo: come molti hanno notato, né Wen Jibao né Hu Jintao si
sono mai recati in quella città durante il periodo di reggenza di Bo,
un chiaro segnale di mancato gradimento.
3 - Bo è maoista?
La propaganda di regime ha presentato Bo come un nostalgico dell'era maoista,
che stava preparando una nuova Rivoluzione Culturale. In effetti Bo ha
promosso in varie forme la rivalutazione del periodo maoista (cori con
canzoni di quel periodo, immagini di Mao, diffusione e lettura del suo
libretto rosso ecc.) e del suo "modello Chongquing" fa
parte integrante il costante appello alla mobilitazione politica che
presenta connotati abbastanza simili a quelli della rivoluzione
culturale. Ma le similitudini si fermano qui, mentre ci sono diverse
ragioni per sostenere il carattere propagandistico del "maoismo" di Bo.
In primo luogo è assolutamente improbabile che, effettivamente, Bo abbia
un giudizio positivo di Mao e della Rivoluzione Culturale, durante la
quale tutta la sua famiglia (lui compreso) fu epurata e deportata in
campo di rieducazione e la madre morì per le bastonate delle guardie
rosse. Inoltre, il padre fu riabilitato da Deng Xiaoping
e fu il vice di Chou Enlai - il "meno maoista dei maoisti" -. Non fosse
altro che per queste ascendenze familiari, il maoismo di Bo non è del
tutto convincente. D'altra parte, si tratterebbe di una svolta
ideologica assai recente, dato che prima del suo insediamento a
Chongquing non si conoscono sue dichiarazioni in questo senso.
In realtà, la spiegazione più probabile è che Bo, nella sua corsa
solitaria verso il potere (abbiamo visto come fosse inviso a tutti e tre i
principali gruppi del partito) abbia cercato di costruirsi una sua base di consenso,
rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica (se ci passate questa
espressione) e, da questo punto di vista, ha trovato utile cavalcare la
mitologia maoista per assimilare queste correnti di sinistra nel suo
"modello Chongquing". Dunque, parlare di "neo maoismo" o di nostalgie
per la Rivoluzione Culturale è totalmente fuorviante e
rivela notevole superficialità nell'analisi. E questo è ancora più
chiaro se si cerca di entrare nel merito delle sue proposte politiche e
del suo "modello Chongquing" contrapposto al "modello Wukan" del suo
rivale Wang Yang.
4 - Il "modello Chongqing" ed il "modello Guangdong".
La gestione di Bo del partito di Chongquing è andata molto al di là
dell'epurazione delle triadi e della corruzione nel partito ed ha
generato un vero e proprio modello di gestione politica
che ha preso il nome dalla città. In questo modello gli elementi di
mobilitazione politica degli strati sociali inferiori, con frequenti
ricordi propagandistici ed una buona dose ideologica, sono stati
proposti come caratterizzanti, ma lo sono stati solo fino ad un certo
punto. Ben più rilevante è stato il tentativo di costruire un abbozzo di welfare, garantendo l'assicurazione sanitaria anche alla popolazione rurale del circondario.
Più in generale, Bo ha sostenuto che è arrivato il momento di dividere il frutto della crescita,
riequilibrando la distribuzione della ricchezza. Dunque, il vero cuore
del discorso politico di Bo è la scelta di un modello di sviluppo
incentrato sullo sviluppo di un mercato interno. Una
svolta determinante rispetto agli orientamenti degli ultimi trenta anni
che hanno privilegiato le esportazioni sul consumo interno e, di
conseguenza, gli investimenti sui consumi.
Complementare a questo orientamento è la diffidenza costantemente manifestata da Bo verso la penetrazione dei capitali stranieri
in Cina e verso la crescente integrazione nel sistema finanziario
mondiale. Quello che caratterizza in senso spiccatamente nazionalista la
linea di Bo.
In contrapposizione a questo modello è sorto il "modello del Guangdong",
regione a ridosso di Shanghai, del cui partito è segretario il diretto
rivale di Bo, Wang Yang. La diatriba fra i due è stata spiegata in
questi termini: dove Bo pensa a come dividere la torta, Wang pensa a
come farla più grande, in modo da poterne garantire una apprezzabile
fetta a tutti. Dunque, l'orientamento del modello Guangdong (il cd
"socialismo di mercato cinese") è quello di riforme sempre più
accentuatamente liberiste (viste come sicura garanzia di espansione
economica), serrato ritmo di esportazioni ed investimenti e crescenti
impieghi finanziari dei profitti. Sino a quando la torta non sarà
abbastanza grande da essere divisa (quando? Non si capisce). Sullo
sfondo, emergono le due questioni chiave del futuro delle imprese pubbliche e della distribuzione delle terre.
Proprio sulla seconda questione, Wang ha dovuto affrontare una forte rivolta contadina
nel piccolo centro di Wukan, dove i manifestanti hanno accusato i
dirigenti del partito di "furto di terreni agricoli". Inizialmente la
rivolta ha incontrato la consueta risposta repressiva ed uno dei suoi
leader è morto mentre era detenuto (infarto miocardico, secondo la
spiegazione ufficiale). Ma, dopo l'intensificarsi della protesta, Wang
ha scelto un'altra strada: promettere di accogliere le richieste
e consentire, nello stesso tempo, nuove elezioni locali caratterizzate
da una insolita libertà. Ne sono risultati eletti i leaders della
protesta e segretario del locale comitato è stato eletto Lin Zulkuan, un imprenditore iscritto al partito dal 1965.
Tutto questo ha fatto parlare di una "svolta epocale",
dell'avvio di riforme politiche democratiche di cui Wang sarebbe il
portabandiera, di "modello Wukan" che aprirà la strada alla
democratizzazione del sistema. La mossa di Wang è stata assai abile, ma
di qui a parlare di riforme politiche democratiche ne corre:
a- si tratta di elezioni locali (neppure a livello provinciale) di un piccolo centro di circa 10.000 elettori
b- si tratta pur sempre di elezioni di partito, non si parla affatto di pluralismo politico
c- in Cina esiste un modo di dire "Fare i conti dopo il raccolto"
per indicare la prassi costante delle autorità di fare concessioni per
placare le proteste e poi, una volta calmatesi le cose, procedere alla
repressione.
5 - Il nodo del contendere, e che c'entriamo noi?
Sappiamo ancora troppo poco delle circostanze che hanno portato alla defenestrazione di Bo:
si sa che tutto è iniziato con l'improbabile fuga di Wang Lijun (capo
della polizia di Chongquing e braccio destro di Bo nella campagna contro
la corruzione) e con la sua richiesta di asilo presso il consolato
americano. Dopo Wang Lijun fu preso in consegna dalla polizia fedele a
Hu Jintao e sottoposto ad interrogatorio durante il
quale avrebbe fatto accuse a Bo, anzi, è circolata una lettera nella
quale Wang (sempre che non si tratti di un falso) accusa Bo di aver
usato la lotta alla corruzione per eliminare i suoi avversari politici
ed a fini di arricchimento personale, per estorcere,
tramite detenzione, minacce ed addirittura torture, beni che avrebbe
accumulato. Ovviamente ignoriamo quale sia il fondamento di queste
accuse ma, pur non volendo idealizzare Bo Xilai, ci ricordano troppo da
vicino la consueta prassi di distruzione dell'immagine del dissidente.
Tirando le somme, la defenestrazione di Bo appare come l'operazione concordata da tutte e tre le principali correnti del partito
per disfarsi dell'ingombrante "lupo solitario" che cercava di imporre
la sua presenza nell'Ufficio politico. Al di là di queste consuete
dinamiche di scontro di potere, si intravede un nodo del contendere che è
quello del modello di sviluppo che la Cina vuole darsi
per i prossimi trenta anni: proseguire nel modello rivolto alle esportazione e all'accumulazione di crediti o puntare, già
da ora, alla crescita di un mercato interno che dia stabilità al
sistema. Bo è caduto su questo e tutto fa supporre che
il posto in Ufficio politico sarà preso da Wang, che vuole "ingrandire
la torta" non si capisce sino a quando, cioè punta sempre su
esportazioni e finanza. Ma non è detto che le cose debbano andare
necessariamente in questo modo: al di là dello scontro di potere, la
questione potrebbe essere riproposta dal gruppo tuanpai, in particolare
da Li Kequiang ed il gruppo dirigente potrebbe nuovamente dividersi.
Peraltro è da capire con chi si schiererà Wang se dovesse entrare
nell'ufficio politico. La provenienza lo vorrebbe a fianco dei tuanpai, ma i discorsi politici sembrano più prossimi al gruppo di Shanghai, d'altra parte, è il segretario del partito di quell'area.
Ma noi cosa c'entriamo con tutto questo? Molto.
Certo noi possiamo fare poco e nulla per influenzare lo scontro congressuale nel Pcc, ma gli esiti di quello scontro influiranno pesantemente sul percorso della crisi, per cui occorrerà tenerne conto.
In primo luogo, se la linea confermerà il rilancio delle esportazioni questo significa che la posizione cinese sul renminbi resterà invariata, con un cambio molto basso che favorisce le esportazioni cinesi
e sfavorisce le importazioni. Vice versa, se, come oggi sembra poco
probabile, dovesse affermarsi la linea dello sviluppo interno, questo
potrebbe favorire una diversa sistemazione dei cambi.
In secondo luogo, il cambio di mano avviene nel momento in cui si sta profilando una recessione
non passeggera (già quest'anno si calcola che l'incremento del Pil
scenderà sotto l'8%, per la prima volta in trenta anni). Forse i dati
sono ancora meno favorevoli e tenuti nel cassetto sino al congresso, per
poi esplodere nel prossimo anno. Se così dovesse essere, questo
avrebbe effetti molto pensanti sulla domanda aggregata mondiale: ad
esempio sarebbero pasticci molto seri per l'industria mineraria australiana, così come potrebbero esserci perturbazioni molto forti del prezzo del rame
con effetti negativi sui paesi produttori. E dunque non è affatto
indifferente capire che scelte farà il nuovo gruppo dirigente (e che
compattezza esso avrà) di fronte ad una congiuntura sfavorevole di
questa portata.
C'è poi un problema nel problema: dobbiamo ancora spiegarci le ragioni reali che hanno portato la Cina al blocco delle terre rare
e capire come questo potrebbe evolvere con i diversi assetti del gruppo
dirigente. E non è una questione da poco perché tutto fa intendere che
l'industria elettronica occidentale (come la produzione di auto
elettriche, radar ecc) stia andando avanti dando fondo alle scorte o
ricorrendo al mercato nero. In entrambi i casi, se la situazione non si
sblocca, l'avvenire del settore si fa molto fosco.
C'è poi un altro aspetto da considerare: Bo, in qualche modo, si era proposto come canale di trasmissione della domanda politica
dei settori di sinistra del partito (o a sinistra del partito) che oggi
restano senza referente, ma non è detto che scompaiano. Una ipotesi da
prendere in considerazione è quella di una ondata senza precedenti
(dalla rivoluzione culturale in poi) della conflittualità sociale.
E questo farebbe saltare tutti i calcoli sia del gruppo dirigente
cinese che di quanti fuori della Cina ne aspettano le evoluzioni.
Forse dovremmo imparare a collocare anche i nostri problemi di piccola Italia
in un contesto mondiale più vasto e capite che, se l'avvenire di Monti
può essere in qualche modo determinato dalle nostre scelte e quello di
Bo Xilai no, è però vero che un incidente come quello successo a Bo
Xilai conta enormemente di più di tutti i decreti di Monti.
Fonti: 1 - 2
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