Lo Stato Italiano ha pagato a Morgan Stanley lo
0,15 per cento del proprio Pil per chiudere un
contratto derivato che era stato sottoscritto nel 1994 dal
ministero del Tesoro, quando
il direttore generale era Mario
Draghi. Di questa esorbitante
spesa sappiamo poco o nulla,
la risposta del governo all’interrogazione parlamentare
presentata dall’Idv chiarisce
un po' il quadro agli addetti ai
lavori, ma insinua il ragionevole dubbio che i conti dello
Stato siano “corretti” da 160
miliardi di contratti derivati.
La composizione complessiva del
portafoglio di derivati
della Repubblica italiana è
uno dei segreti meglio custoditi della storia d’Italia, nessun governo
di nessun colore
politico ha negli ultimi venti
anni comunicato al Parlamento o anche alla sola Commissione bilancio
l’esatta esposizione finanziaria del ministero delle Finanze e le
perdite o
i guadagni relativi.
L’onerosa chiusura del
contratto di swap con Morgan
Stanley getta un’ombra sulle
stesse dichiarazioni del governo in carica secondo il quale
“In merito al valore di mercato
del ‘portafoglio derivati’ della
Repubblica italiana, si precisa
che lo stesso è definito come il
valore attuale dei flussi futuri
scontati al presente e che varia
continuamente al variare sia
del livello dei tassi di mercato
sia della conformazione della
curva dei rendimenti. Appare
evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per
uno Stato sovrano risulta essere limitata”.
La limitata rilevanza per lo Stato sovrano non
sarebbe tale se all’interno dei
contratti ci fossero clausole
che stabiliscono un costo futuro certo che l’Italia si troverà
a dover pagare nei prossimi
mesi o nei prossimi anni. Spesso i derivati sono stati usati
nella contabilità pubblica per aggirare i vincoli di bilancio
europei, la Grecia è stato l’esempio più lampante ma i nostri enti locali non sono stati
da meno, attraverso complicati contratti sono in molti ad
aver posposto l’onere del debito al futuro liberando così risorse finanziarie da spendere
nel presente. In sostanza gli
enti pubblici occultano un
prestito che viene loro erogato dalle banche internazionali
e che non è contabilizzato come tale, la restituzione del prestito è scaglionata in un tempo
lontano quando il derivato inizia a produrre i suoi effetti e il
flusso di cassa relativo non
può essere più occultato.
Dati i numerosi casi di questo
tipo che coinvolgono Regioni,
Province e Comuni italiani è
lecito chiedersi se anche la Repubblica Italiana abbia contratto
derivati di questo tipo. È
inoltre lecito chiedersi se tali
derivati non siano stati usati
per coprire buchi di bilancio e
far quadrare i conti rispetto alle regole imposte dall’Europa .
Allo stato delle informazioni in
possesso del Parlamento, dell’opinione pubblica e di tutti i
cittadini italiani non possiamo
sapere quali e quanti oneri saremo costretti a pagare, o stiamo già
pagando alle banche internazionali per coprire la cattiva gestione del
bilancio pubblico dei governi precedenti.
Il governo attuale sta chiamando tutti noi a sostenere grandi
sacrifici in nome di un interesse pubblico superiore, ma la
sua reticenza sullo svelare la
struttura e la composizione
del portafoglio di contratti finanziari della Repubblica italiana ci fa sorgere il dubbio che
in realtà la maggior parte delle
nostre tasse aggiuntive serviranno solo a coprire i buchi
del passato che riemergeranno allo scadere delle clausole
inserite dalle banche d’affari e
sottoscritte dai governi precedenti. Se già questo non fosse
abbastanza grave si aggiunga
che il New York Times nel febbraio 2010 ha sostenuto che
l’Italia è entrata nell’euro grazie a un massiccio uso di strumenti derivati che le hanno
consentito di mascherare il vero deficit che sarebbe stato
ben al di sopra di quello stabilito dall’Unione europea.
Il governo Monti dovrebbe sgonfiare sul nascere
questa bolla di sospetti, tanto
più pericolosa ora che la fiducia è un bene sempre più raro
nella finanza internazionale.
Se, come sostiene il Tesoro, i
derivati sono solo e tutti di
“copertura dal rischio di tasso
o dal rischio di cambio” non si
vede perché l’opinione pubblica non ne debba conoscere
la natura e la composizione. Se
di coperture si tratta la speculazione internazionale non potrà
beneficiare dell’informazione in quanto, per definizione, a una perdita da una lato
dell’operazione dovrebbe corrispondere un simmetrico
guadagno.
Se così non fosse
sarebbero invece guai seri per
il professor Monti. E per tutti i
suoi predecessori.
Fonte.
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