Il filo della memoria é di ferro, forgiato nel doppio binario di una
linea che non c’è più: la ferrovia Pisa-Tirrenia- Livorno. Veniva
chiamata il trammino e portava gli operai alla Fiat di Marina e i
vacanzieri a Tirrenia. Comparse e tecnici la prendevano per arrivare
agli stabilimenti della Cosmopolitan film, dove si giravano i kolossal.
Tagliava campi e pinete, ansimando a sessanta all’ora lungo una terra
rubata al mare e alla malaria dai granduchi, lanciata nel futuro da
Mussolini e approdata al presente tra militari americani e magnati
russi. Oggi costeggia l’Arno, affondata nei rovi. Nel 1943 il traffico
di passeggeri raggiungeva i tre milioni e mezzo. Il 31 agosto di
quell’anno, le bombe dei B-17 americani de- vastarono la stazione di
partenza, nel quartiere pisano di Porta a Mare. Mille i morti, nei
rifugi allagati dall’Ar- no. Gli obiettivi erano lo scalo ferroviario,
la fabbrica di vetro Saint-Gobain e la Piaggio, che costruiva motori per
gli idrovolanti.
La linea venne ripristinata solo in parte,
perché gli americani si erano appropriati del tratto tra Marina e
Calambrone per costruire la base Nato di Camp Darby. Nel ’47 le corse
ripresero, ma per conoscere un declino inarrestabile. Qualche anno dopo
la motrice investì un carretto, e la modernità travolse il trasporto su
rotaia. Dopo l’incidente, il quotidiano Il Telegrafo titolò: “Il trenino
é in agguato”. Cominciava un’epoca nuova. Con il boom dell’auto la
gomma cancellò il ferro.
La periferia industriale di Porta a Mare
riprese lentamente a vivere, prosperando fino agli anni Ottanta. Oggi
attraversa una fase alterna: se dopo decenni di crisi la Saint-Gobain ha
assistito a un inatteso rilancio (i francesi hanno investito cento
milioni di euro scongiurando i temuti licenziamenti), parte della
cantieristica navale è in crisi, gli operai degli storici Cantieri di
Pisa, proprietà del Gruppo Baglietto, hanno passato mesi in cassa integrazione, mentre i nuovi capannoni per la nautica da diporto, spuntati
come funghi anche in previsione della ristrutturazione della darsena,
sono ancora vuoti. La Piaggio, invece, costruisce ancora pezzi di
ricambio. Poi verrà trasferita per sempre a Pontedera per lasciar spazio
al megaprogetto di Matteo Colaninno, che attraverso la valorizzazione
degli immobili vedrà sorgere un residence con centinaia di
appartamenti.
Il percorso del trammino non esiste più. Ma le
stazioncine sono intatte, abitate dagli ex dipendenti, ai quali sono
state date in affitto dopo lo smantellamento, avvenuto nel settembre del
1960. Ornata con fioriere, gli orti tra i binari, polli e conigli nelle
gabbie, quella di San Piero a Grado ospita Aldo e Osanna Madrigali. La
coppia apre casa come da usanza antica, contadina. Offrono un dolce e
del vino. «Osanna, sì, mi hanno chiamato così. Quando in chiesa dicono
“nell’alto dei cieli” io faccio i corni in terra e gli scongiuri». Aldo
faceva il meccanico per la Compagnia trasporti pisani. «Aggiustavo le
corriere. Ma prima ho fatto un po’ di tutto, perché si era contadini
poveri. Anche se in famiglia eravamo in quattordici, per chiudere la
porta si metteva una seggiola di traverso, a dire che la nostra casa era
sempre aperta». D’estate a San Piero si «scotevano le pine» e
arrivavano gli stagionali a raccogliere pinoli. «Pulivamo il granaio, e
gli ospiti dormivano lì. Mangiavamo fagioli a pranzo e a cena». E il
trammino? «Il trammino non c’è più, siamo rimasti noi. In affitto nella
stazione a quattrocento euro al mese».
Tonnellate di bombe
A
San Piero a Grado una basilica romanica celebra la leggenda: l’approdo
di San Pietro dalla Palestina in terra pisana. O livornese. Ma allora
non c’erano province, e la terra era una, repubblica marinara. La chiesa
è definita “Monumento messaggero di pace” dall’Unesco. Eppure,
giusto di fronte, immerse in un idillio di lecci e pini domestici, sono
sepolte tonnellate di bombe. Da Camp Darby decolla la guerra. Partirono
dai 125 bunker della base, nitidamente visibili cliccando su Google
maps, tutti gli ordigni scaricati sull’Iraq nel ’91 e il 60 per cento di
quelli sganciati in Kosovo nel ’99. Anche le bombe per la Libia, dicono
alcuni, sono uscite dalla pancia di Camp Darby. Nella base entrano una
linea ferroviaria e il canale rinascimentale dei Navicelli, che arriva
dritto nel porto di Livorno. A pochi chilometri c’è l’aeroporto
militare. Presto canale e aeroporto verranno ampliati. Il primo per far
passare due chiatte armate anziché una. Il secondo sarà lo snodo
aeroportuale italiano di tutte le missioni militari all’estero, a totale
disposizione della Nato. Da Camp Darby è pronta alla guerra, in ogni
momento, un’intera brigata meccanizzata: dai carri armati agli
stuzzicadenti.
Perché la base fu costruita proprio tra Pisa e
Livorno? Perché è un territorio perfetto. Ponte strategico nel
Mediterraneo, avamposto ideale durante la Guerra fredda, centro di
ascolto elettronico (si dice che fu uno dei punti della rete Echelon).
Perfetto anche per la conformazione geomorfologica: monti alle spalle e
mare di fronte disegnano un’enorme antenna naturale, come una parabola
satellitare.
Se n’era accorto il cervello in fuga Guglielmo
Marconi, che nel 1911 fu fatto rientrare dalla Cornovaglia. Da lì, nel
1901, aveva lanciato la prima trasmissione radio transatlantica. Il re
Vittorio Emanuele III gli aveva donato la più grande stazione
radiotelegrafica d’Europa. Di fronte a Camp Darby, a Coltano, sorgevano
torri alte fino a 250 metri per lanciare onde radio alle colonie
d’Africa, accendere le lampadine del Cristo Redentore di Rio e –
secondo una narrazione metà storica e metà leggendaria – captare e
rilanciare l’s.o.s. lanciato nel 1912 da Harold Bride, l’addetto radio
del Titanic, prima che il transatlantico affondasse. Della stazione
rimangono oggi i piloni di ancoraggio delle antenne, un centro Rai e una
vecchia palazzina diroccata, che il Fondo per l’ambiente italiano ha
segnalato per la ristrutturazione. Il sindaco di Pisa, Marco
Filippeschi, vorrebbe costruirci un museo e un laboratorio. Ma i fondi
non ci sono. E allora si aspetta.
Coltano fu terra di prigionia.
Gli americani vi avevano raccolto i prigionieri di guerra e trentamila
repubblichini di Salò. Anche il poeta Ezra Pound vi soggiornò
brevemente, rinchiuso in quella che chiamò poi “la gabbia dei gorilla”,
un cubicolo infuocato dal sole di agosto. I suoi Canti pisani furono
ispirati dalla cattività. Ammirava il fascismo, anche se si dichiarava
pacifista. Parlava di “guerra di merda”, nel Canto LXXII, dedicato
all’amico Marinetti. E nel suo testamento spirituale scriveva: “Ciò che
sai amare rimane, il resto è scoria”.
Una colata di cemento
Il
trammino puntava verso il mare. A Marina di Pisa neanche gli operai ci
sono più, e lo stabilimento metalmeccanico ex Fiat è stato abbattuto
quattro anni fa per far spazio al porto di Boccadarno. Costruivano
idrovolanti, qui. Anche quelli che partirono per il Polo con Roald
Amundsen. Gli abitanti non rimpiangono quei tempi, perché l’investimento
è cospicuo: 150 milioni di euro per la nautica da diporto (400 posti
barca), nuovi residence (550 alloggi) e un’area commerciale (42
esercizi). Dalla bocca dell’Arno la linea devia verso Livorno. Nella
stazioncina di Marina vive dal 1958 Alfredo Bargagna, ottantasette anni.
«Mi alzavo alle cinque, le mie giornate duravano venti ore, dalle
cinque a mezzanotte. Ogni mezz’ora un treno. D’estate la stazione si
affollava: sette-ottocento persone, che dovevo scansare per andare a
girare gli scambi. Facevo i biglietti, spazzavo il piazzale e pulivo i
gabinetti. Accendevo i semafori coi lanternini a petrolio. Con ’ste
giornate dense mi toccava far l’amore sulla sedia».
Bargagni esce
da casa e apre il cancello che dà su quella che una volta era la
banchina. Accanto all’orto, le galline. «Volete un ovo? E’ fresco di
stamani». Smise il lavoro di casellante quando la linea chiuse. Ha fatto
l’autista di autobus e il contabile, prima di andare in pensione.
«Qualche mese fa ci hanno aumentato l’affitto». Non paga quanto l’ex
collega di San Piero? «No, qui costa seicento. Siamo vicini alla
spiaggia della villeggiatura, sa, Tirrenia…». Il fascismo ha costruito
Tirrenia nel 1932. Gli studi Pisorno (fusione di Pisa e Livorno)
avrebbero dovuto glorificare il regime e divenire il centro
cinematografico d’Italia. Il primo film fu Camicia nera di Giovacchino
Forzano, girato nel ’33. Con la guerra, divennero deposito d’armi per
gli americani. Diventati Cosmopolitan, dopo un periodo di splendore
neorealista negli anni Cinquanta e Sessanta, chiusero nell’87, con Good
morning Babilonia dei fratelli Taviani. Da allora, un’onda
immobiliarista di cemento e di lusso ha invaso il litorale fino a
Livorno. La terra di mezzo non è più il mesto paesaggio delle colonie
marine fatiscenti e della pineta del Tombolo, il “paradiso nero”
ritratto nell’omonimo film del ’47, dove i soldati di colore americani
se la facevano con le segnorine. Schiere di cantieri stanno trasformando
gli studi Cosmopolitan in un albergo (che si aggiunge ai due campi da
golf del resort a cinque stelle), le colonie del welfare fascista Rosa
Maltoni (la madre di Mussolini), Vittorio Emanuele II e Firenze in
villette residenziali con piscine, campi da tennis, centri fitness.
Seicentomila metri quadri da affittare o comprare. In prima fila, i
russi, che già a Rimini e Viareggio sono l’ossigeno alla domanda
immobiliare nel settore del real estate di pregio.
Prima comunisti, poi fascisti…
A
Livorno le stazioni erano i varchi della cinta daziaria: barriera
Garibaldi a nord, barriera Margherita a sud, una corsa sferragliante in
mezzo alla città. Laddove un tempo c’erano i binari, oggi c’é il nuovo
mercatino americano, un’istituzione livornese, trasferito nel 2009 da
piazza Garibaldi dopo le proteste dei residenti. Al mercatino lavora dal
’77 Piero Salvini. «Rispetto all’epoca – spiega – siamo diventati un
po’ un supermercato. Non abbiamo più solo “pezzi” militari. Dopo la
guerra si comprava l’aspirina, il burro di arachidi, il dentifricio
sbiancante. Oggi c’é davvero di tutto. Ma trovare cose che arrivano
dalla base… beh, se si ha qualche amico dentro, non è escluso che sia
possibile». Come nacque il mercatino lo spiega Mario Spallino, attore e
regista, allievo di Vittorio Gassman e Giorgio Gaber. «Nacque per
sopravvivenza, dai disertori del Tombolo, molti dei quali erano di
colore. Rubavano dentro Camp Darby. Qualunque cosa. E se la facevano con
le famose segnorine. Quando i disertori venivano arrestati, le
segnorine prendevano le merci dai nascondigli e le vendevano al
mercatino. Sopravvivevano così. Non erano ben viste dai livornesi, che
le insultavano e le spogliavano perché andavano coi neri. Questi ultimi
spesso finivano gettati nei canali. A quei tempi il razzismo era molto
forte, anche coi comunisti al potere».
Come é noto, la scissione a
Livorno si consumò nel ’21 al Teatro Goldoni. Qui rimasero i
socialisti. Al teatro San Marco andarono i comunisti. Racconta Spallino:
«Quando Costanzo Ciano, gerarca livornese, convocò un’adunata al
Goldoni, disse: “Dove sono finiti i sovversivi che frequentavano questo
teatro?”. “A sor Costanzo, siamo sempre qui. Siamo sempre gli stessi”,
gli fu risposto dal fondo del teatro. Prima comunisti, poi fascisti, poi
comunisti. Livorno è così. E’ questo alternarsi di passioni estreme».
Con Spallino andiamo a mangiare il cacciucco alla Cantina senese,
davanti alla Darsena nuova. I camerieri hanno una maglietta con la
scritta Enjoy Cacciucco, al posto di Enjoy Coca-Cola. «Sapete come
dicono che morì Costanzo Ciano, detto “il ganascia” per il suo
appetito?», domanda Spallino. «Su una puttana. Dopo un’indigestione di
cacciucco». Enjoy cacciucco.
Fonte.
Amo questo genere di articoli, anche senza immagini mi vedo scorrere davanti agli occhi interi decenni di vita italiana.
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